La religione è una forza generatrice di pace o, piuttosto, l’humus che alimenta le guerre? L’esperienza religiosa costituisce un elemento di coesione identitario per i popoli, ma la storia insegna come la guerra abbia trovato nutrimento nelle emozioni che caratterizzano l’uomo a contatto con il Sacro. Oggi è ancora vero? Abbiamo girato la domanda a Brunetto Salvarani.

Barbara Bonfiglioli 

 

RELIGIONI IN DIALOGO 01 (Silvia Cavedoni)Un Dio prêt-à-porter

L’incidenza delle religioni nella vita sociale potrebbe essere un bluff

 

di Brunetto Salvarani

teologo, esperto di dialogo interreligioso, dirige la rivista «Cem Mondialità»


Dio sulla bocca e non nel cuore 

«Non si dovrebbe parlare di Dio. Non conosciamo la sua lingua. L’Universo si manifesta e scompare senza parole, siamo noi a inventare una voce al suo terribile silenzio. […] Perché immiserire Dio, visto che di dèi miseri e impotenti è piena la storia? Perché voler dare a Lui il volto incerto delle nostre idee e della nostra preghiera?».

Così prende avvio Frate Zitto, il racconto che ispira il titolo della raccolta di Stefano Benni, La grammatica di Dio, presentando liricamente un appello in controtendenza rispetto all’attuale spirito del tempo. Un tempo, quello che stiamo faticosamente attraversando, che - non pago di avere riaperto i canali del discorso pubblico su Dio dopo la sbornia dell’eclissi del sacro che aveva contrassegnato gli anni Sessanta e Settanta - rischia di essere esposto al sacrosanto rimprovero del teologo luterano Bonhoeffer, che diffidava di quanti hanno sempre la parola Dio sulle labbra ma poi non se ne fanno coinvolgere più di tanto a livello di scelte quotidiane. Un tempo in cui di Dio anzi si straparla, intervenendo a suo nome nei contesti più improbabili (e blasfemi). Ma di quale Dio si tratta? Il Dio che giustifica la guerra santa e l’uccisione del nemico, che compare a ripetizione in libri biblici quali Giosuè e Giudici, o il Dio che parla per bocca del profeta Isaia, assicurando che in un futuro non lontano gli uomini «forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci, un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra» (Is 2,4)?

 

RELIGIONI IN DIALOGO 02 (Thomas Leuthard)Ambiguità e contraddizioni

 La domanda, ovviamente, appare cruciale, nell’odierna congiuntura storica, augurandoci che lo straordinario messaggio di pace che sta regalandoci papa Francesco cominci a far presa: quale Dio sta prendendosi la sua rivincita (Gilles Kepel) oggi? Quello ambiguamente invocato dal cristiano rinato Bush junior per giustificare al mondo benestante la sua guerra preventiva e infinita, o dal musulmano risvegliato Bin Laden per chiamare le nuove plebi del pianeta a uno jihad terroristico e blasfemo? O quello in nome del quale Giovanni Paolo II e poi Benedetto XVI e i leader religiosi mondiali hanno pregato a più riprese a partire dal 27 ottobre 1986, divisi ma all’unisono, ospiti del Povero d’Assisi, invocando la pace su un pianeta dilaniato e sbigottito? Difficile rispondere. Il quadro accidentato che vi è sotteso rimanda, del resto, a un ulteriore interrogativo, altrettanto pressante: che spazio c’è per il dialogo nel tempo del ritorno della religione sulla scena del villaggio globale e del pluralismo religioso come esperienza diffusa? Se il primo aspetto presenta la sfida a rendere le religioni un fattore di pace e di convivenza positiva nel contesto di una coscienza sempre più planetaria del nostro abitare la terra, il secondo rinvia all’esigenza del riconoscimento rispettoso e accogliente della diversità di fedi. E guardare alla storia, o ai testi sacri, ci aiuta fino a un certo punto: vi abbondano le contraddizioni, e a ogni frammento di narrazione incentrata sul messaggio della pace se ne potrebbe contrapporre un altro, a giustificare la violenza, ovviamente per una buona causa. Guardando in casa nostra, al Dio della mitezza si può accostare, in un impressionante cortocircuito, il Dio degli eserciti e dello cherem, lo sterminio sacro, della caccia alle streghe e dell’antigiudaismo; alla tregua di Dio, le guerre infracristiane che hanno insanguinato fino a pochi secoli fa quell’Europa che oggi - forse per una comprensibile cattiva coscienza - ha scelto di non riconoscere le proprie radici a partire da quell’orizzonte di pensiero.

Il Dio dei fondamentalismi, spesso, infatti, è in effetti un Dio tribale, assolutista e premoderno, a dispetto delle tecnologie decisamente à la page adottate dai suoi seguaci. Un Dio sanguinario, nazionalista, incapace di fare i conti con i processi di meticciamento avanzato che sono il portato normale di fenomeni diffusi su scala mondiale.

Dall’altra parte, in contraddizione solo apparente col modello evocato, affiora un Dio low cost: poco esigente e liquido come la società odierna. Se tutto appare più frastagliato, meno certo rispetto a ieri, e i credenti si sentono più liberi, oltre che meno sicuri della loro direzione spirituale, le consolidate istituzioni religiose appaiono più vulnerabili, e l’assolutezza del loro messaggio è messa in discussione della pluralità delle scelte possibili che ci troviamo davanti. È il Dio, sincretistico e olistico, della Next Age, estrema propaggine, ancor più individualistica, della New Age, disposto a concorrere senza scrupoli al supermarket del sacro e a competere con altri messaggi di salvezza a colpi di workshop e manuali di benessere.

 

Vittoria di Pirro

Ecco, sono innanzitutto tali caratteri, opposti ma alla fine complementari, che lasciano presagire, al di là dei boom di facciata, come il Dio narrato dalla Bibbia, dal Talmud, dal Corano, stia vivendo con giustificata apprensione il suo fragoroso ritorno sulla scena pubblica.

Fino a rendere legittimo chiedersi se si tratti di un ritorno dopo la parentesi della secolarizzazione (Jürgen Habermas parla di una “società postsecolare”, e la formula sta avendo fortuna), o se non rappresenti piuttosto lo stadio finale della religione. In tale chiave, almeno nel panorama occidentale, più che sparire dalla scena, essa sarebbe invece liquidata attraverso la sua commodification (mercificazione), divenendo alla fine un mero prodotto di consumo: e la trascendenza alimentata dal supposto ritorno, più che approdare all’incontro col Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, condurrebbe a un trascendere se stessi in un’esperienza dal sapore emozionale, estremo, trasgressivo. Dieci anni fa un teologo inglese, Graham Ward, nel suo True Religion, che cuce appunto questa lettura della trasformazione della religione attraverso la modernità dal sedicesimo secolo a oggi, parla di un Dio a effetti speciali, con una religione ridotta a feticcio, merce fra le altre merci che ci consente di partecipare al ritmo frenetico del gioco capitalistico, con la percezione peraltro di non essere realmente in esso. Ed ecco il Dio virtuale, legittimo patrono della simulazione della realtà in cui siamo immersi ormai senza più accorgercene, capace di sedurre e di espandere il desiderio a dimensioni illimitate. Un orizzonte che - se confermato - potrebbe alla fine trasformare l’acclamata rivincita di Dio in una vera e propria, e amarissima, vittoria di Pirro.