Complicato entrare nel mondo della musica rock, difficile restarci, molto difficile avere successo, ancor più difficile se si affrontano temi spirituali e non si nasconde la propria fede, riconquistata dopo anni di alcool, sesso e droga. A volte capita: è la storia della band The Sun, riconosciuta nel 2004 al M.E.I. come “miglior punk rock band italiana nel mondo”. Li abbiamo intervistati a Cento, dove hanno suonato il 23 settembre scorso per raccogliere fondi per la ricostruzione post terremoto.

 

Lucia Lafratta

VIA EMILIA & VANGELO 03Cambia la musica

Intervista a Francesco Lorenzi, del gruppo musicale The Sun


a cura di Alessandro Casadio

della Redazione di MC

 

Raccontaci un po’ la vostra parabola di vita, sia artistica che esistenziale.

Come gruppo, abbiamo iniziato a suonare insieme nel ’97 e per dieci anni abbiamo vissuto un sogno, suonando musica punk con influenze statunitensi, pubblicando quattro album distribuiti in molti paesi e realizzando quello che era il nostro sogno adolescenziale. Nel momento, però, della vera ascesa, ci siamo fatti prendere la mano da un tipo di vita dissoluto, a base di alcool, sesso e droga, rischiando di compromettere la nostra amicizia e facendoci capire che, nonostante quello che avevamo ottenuto, la nostra vita non ci dava alcuna gioia. Sono rinate in me le domande sul senso dell’esistenza, quasi una nostalgia dei buoni sentimenti con la consapevolezza di quanto mi fossero mancati. Tutto ciò fu possibile attraverso l’incontro che ebbi con persone nella mia parrocchia, pastori che hanno saputo parlare al mio cuore e che trasmettevano attenzione e amore. Ci ero tornato un po’ per caso, nonostante in quel momento la mia sensibilità fosse lontanissima dalla Chiesa, su invito dei miei genitori, che mi sono sempre stati vicini. Ho ricominciato a leggere il vangelo, scoprendo che esso, in ogni istante, ci parla di quello che stiamo vivendo. Di lì, ho iniziato a cambiare il mio modo di vivere e di scrivere canzoni. È stato un passaggio molto duro, perché se la vita spirituale aveva trovato un suo indirizzo, nella concretezza delle cose questo cambiamento ha incontrato grandi ostacoli, avendo io scelto di continuare a far musica vivendo questa esperienza come una vocazione.

 

VIA EMILIA & VANGELO 01 (Emanuele Boccafoglia)Cosa è cambiato o sta cambiando dopo il successo che avete incontrato? Siete riusciti a mantenere vive le vostre amicizie e le vostre relazioni precedenti o, in questo ambito, avete dovuto fare delle rinunce?

La nostra amicizia, arricchita dalla fede, cresce giorno dopo giorno e il rapporto tra i componenti del gruppo acquista profondità e ricchezza. Per me, la cosa più difficile è stato il non riuscire a vivere una piena relazione di coppia, in quanto, come ho detto, avvertivo l’esperienza musicale come una vocazione, che, di conseguenza, occupava il primo posto nella mia vita. Trovavo ingiusto, nei confronti di un’eventuale compagna, relegarla in un ruolo subalterno. Ho, perciò, preso coscienza di questa realtà e ne ho tratto le conseguenze: in questo senso, mi è sembrato doveroso operare una rinuncia.

 

VIA EMILIA & VANGELO 02 (Emanuele Boccafoglia)Quali difficoltà avete incontrato nello showbiz e come sono i vostri rapporti con gli addetti ai lavori?

L’esperienza più difficile è quella con i media generalisti, soprattutto con la televisione, che tende a semplificare tutto, a rendere tutto sensazionale, invece la vita è fatta di profondità, di lentezza, di meccanismi che si incontrano passo dopo passo. Questa umanità non ha nulla a che vedere con il modo con cui viene comunicata in televisione, che ne stravolge lo spirito e i suoi tempi. D’altra parte, il nostro lavoro ha bisogno di quegli stessi media e non è facile muoversi nell’equilibrio tra la collaborazione con loro e l’evitare di fare troppi compromessi, che “comprometterebbero” il messaggio del tuo lavoro artistico. In questo ultimo periodo, per una serie di circostanze, ci stanno capitando, tuttavia, una serie di opportunità per concerti ed esibizioni, la cui notizia si propaga su altri canali, il che ci fa capire di non avere poi questo estremo bisogno dei media e ciò ci rende molto più liberi.

 

Da certi testi di vostre canzoni, Ciò che rimane o Indelebile, mi sembra emerga il concetto della memoria del bene: vale a dire che ciò che viviamo di bello è quello che lascia il segno nella nostra vita e nella relazione con gli altri. Cosa vi portate dietro dalla vostra vecchia esperienza di rock tutto sesso, alcool e droga? Cosa recuperate di quella esperienza?

Ogni sera mi chiedo cosa rimarrà di noi nel tempo e, in effetti, credo che solo l’amore, l’affetto, la tenerezza, la dolcezza, la presenza, rappresentino il senso di ciò che saremo stati e di ciò che avremo vissuto. Dovremmo, perciò, acquisire maggior coscienza di questa memoria e migliore attenzione nel costruirla. Dalla nostra esperienza iniziale, ereditiamo inoltre una consapevolezza: che il vuoto che ci portiamo dentro non potrà mai essere riempito da illusioni o da falsi paradisi, consapevolezza autenticata dall’averli sperimentati di persona e dall’esserci scottati. Rimangono, inoltre, i tanti momenti musicali magici, nei quali oggi rileggo tanta presenza e pazienza del Signore, che ha utilizzato anche la nostra incoscienza per costruire il suo progetto.

 

È molto forte, nei vostri testi, la ricerca di una propria identità, anche a costo di sofferenze, anche a costo di andare contro corrente. Quando arriva per voi la consapevolezza di doversi rivolgere agli altri? Di dedicare loro attenzione?

È necessario mantenere sempre una propria interiorità, una propria vita spirituale, perché prima di rivolgerci agli altri dobbiamo scoprire, almeno un po’, chi siamo. Almeno fare i primi passi per cercare di non essere superficiali. Questa scoperta può determinare una sofferenza, che è necessaria. Rivedo nella mia vita quei silenzi, quelle attese, quelle mancanze di lavoro: erano tempi necessari per maturare ed avere qualcosa da portare agli altri. Se avessi avuto tutto subito, non avrei potuto avere niente da donare. Questo è un po’ il limite degli artisti di oggi, che non si danno il tempo di conoscersi e non hanno molto da comunicare. Non ne faccio loro una colpa, ma è il sistema che funziona così, impoverendoci.

 

Perché è necessario immaginare un mondo migliore?

Il Signore ci ha dato un mondo da migliorare e non c’è niente di più bello che avere l’occasione per farlo, perché cambiando noi stessi, muta anche la percezione della realtà esterna e si genera empatia con essa. La forza per fare questo ci viene dalla preghiera, una fonte di energia profonda. Quando è nato il disco “Luce” ho quasi condotto una vita monacale per nove mesi, chiedendo al Signore di cosa avrei dovuto parlare in quel contesto. La musica è un’esperienza divina, è uno strumento che il Signore ci ha dato per entrare in vibrazione con lui. In questi giorni, in cui sto pensando ad un nuovo album, ancora una volta mi affido alla preghiera per far crescere la mia ispirazione e fare in modo che ciò che comunico musicalmente coincida con quanto sono in grado di donare agli altri e sia un segno della mia attenzione nei loro confronti.