“In missione” celebra il Natale 2013 in Africa con un’intervista a padre Raffaello Del Debole, missionario nel Dawro Konta in Etiopia, che ha raccontato una sua giornata tipo, tra scimmie fameliche, pentole a pressione che fischiano e trasporti pesanti, effettuati con lo zaino o a spalla. Una piccola buona notizia arriva anche dalla Repubblica Centrafricana, dove in ottobre è tornato padre Antonino Serventini, che ci aggiorna sull’evolversi della situazione nel Paese.

Saverio Orselli  

 

IN MISSIONE Raffaello 01 (Ivano Puccetti)I tempi di una vita concreta

Conversazione con padre Raffaello Del Debole


Proprio come ha detto papa Francesco ai giornalisti sull’aereo che lo portava a Rio de Janeiro per la Giornata mondiale della gioventù, qualche settimana prima di rilasciarne una serie memorabile, anche padre Raffaello ha detto di non amare le interviste. L’ha sempre detto e, per quanto abbia cercato di trovare l’occasione, mai mi era riuscito di fermarlo davanti a un registratore. Con queste premesse è facile immaginare la meraviglia nel vederlo seduto davanti a me. Quella che segue è solo una parte della chiacchierata di un’ora e un quarto fatta. Verrà l’occasione per presentare anche quella parte di intervista, ma per questo numero il racconto si limita a una giornata tipo in Dawro Konta, sperando - dice lui - che possa interessare a qualcuno…

La mia giornata inizia al mattino molto presto, a volte anche prima delle quattro e, a ogni modo, quando sorge il sole. Alle cinque e mezzo sono sempre in piedi e, dopo essermi lavato, celebro la Messa davanti a una vecchia immagine della Madonna alla quale sono molto legato e quindi vado a vedere quello che nella notte ha fatto lo zebegnà, la guardia alla missione, per tenere lontane le bestie feroci.

La mia giornata prosegue con la preparazione del cibo: metto a bagno il porridge, una specie di grano durissimo, tritato che diventa come una minestrina, cuocendolo con l’acqua. Una volta cotta nella pentola a pressione, verso le sette mangio questa minestrina, alla quale aggiungo un uovo se l’ho a disposizione. Altre volte, se non ho l’uovo, devo fare i conti con quel che c’è al mercato. Quando c’è molta erba le mucche fanno più latte e, una volta munte, le donne riescono a fare innanzitutto il burro, sbattendo il latte anche per diversi giorni, e dal latte che rimane ricavano una ricotta molto acida, che vendono al mercato il martedì. Se c’è molta erba la ricotta costa poco, mentre a volte, quando il latte è scarso, è molto cara. Io mi limito a comprarla quando è a buon mercato. Ora anche le uova costano molto… un uovo arriva a costare anche 1 birr! [1 euro = 23,5 birr, ndr] Tornando alla ricotta - che viene prodotta con l’aggiunta di molta acqua, così da risultare più voluminosa e quindi più costosa - proprio per il grande contenuto di acqua, devo metterla a strizzarla la sera prima con un setaccio, poi al mattino la metto in un tegame e sul fuoco cerco di farla rammollire un poco, quindi, una volta sciolta e aggiunto un cucchiaio di sale la passo ancora nel setaccio, per togliere il liquido acido. Se il liquido è tanto metto la ricotta in una piccola pressa e cerco di eliminare più acido possibile, ottenendo così un formaggio che sembra un sasso duro e che, con un coltello, piano piano, cerco di sbriciolare in piccoli pezzi, quasi fosse farina che aggiungo alla minestrina di grano duro e che in una decina di minuti di cottura si trasforma in una specie di pappina che diventa la mia colazione delle sette.


IN MISSIONE Raffaello 02 (Ivano Puccetti)Il tutto con la pentola a pressione…

Sono quasi quarantadue anni che la mia cuoca è la pentola a pressione e mi accompagna nella preparazione di tutti i cibi.


E pensare che qui c’è ancora tante gente che ha paura a utilizzarla!

Certo, se uno non ha pratica può essere pericolosa, ma io ormai la considero la mia cuoca. Dopo le sette viene il mio catechista, Aseffa, quello che ha attraversato con me il fiume Omo quando ancora ero a Timbaro, usando io il gommone e lui la pelle di capra, per dare vita alla prima stazione missionaria del Dawro Konta, con la costruzione di un fidel, una scuola di alfabetizzazione, e la sistemazione di una sorgente di acqua per il villaggio.


La pelle di capra come veniva usata?

Veniva gonfiata come fosse un salvagente e utilizzata come un materasso sul quale il mio catechista veniva trainato al di là del fiume. Con questi mezzi abbiamo fatto tanti di quei viaggi! E trasportato di tutto, persino il cemento, per aiutare questa comunità a cui mancava ogni cosa. Tutti i materiali che sono serviti per intubare la sorgente li abbiamo portati attraverso il fiume, dopo averli trasportati a spalla dal villaggio alla riva in una ripida discesa e, oltre il fiume, lungo una salita molto faticosa. Si tratta di un dislivello di sette o ottocento metri per ogni sponda, oltre alla fatica di attraversare il fiume. Con il mio catechista Aseffa abbiamo iniziato così la nuova comunità, portando a spalla o nello zaino tutti i materiali necessari per costruire il primo fidel e la prima fontana, perché era importante partire dall’acqua e dall’alfabeto.

Con Aseffa la mattina cerchiamo di programmare il lavoro della giornata, parlando anche con gli operai che, in certi periodi, arrivano a essere anche dieci e devono essere organizzati. In questo periodo c’è un parassita devastante che colpisce le banane, e così c’è da tagliare le piante, tirare via il pesantissimo fusto e, con il fuoco cercare di limitare il rischio che la malattia si propaghi. Purtroppo oltre un centinaio di banani è stato colpito… Sono tanti i lavori disponibili: abbiamo due buoi e una vacca con due vitelle, così si può arare il terreno con i buoi e seminare il girasole, così coi semi prodotti, trinciati con mulino fatto apposta, facciamo il macinato con altri cereali come l’orzo, il granoturco, i semi di lino, il sorgo da dare al vitello, in aiuto al latte della vacca che non è mai abbondante. Quel macinato è tutto per gli animali che stanno crescendo. Così discutiamo su quale lavoro sia meglio o più urgente fare, visto che ultimamente le forti piogge hanno rovinato le strade; in giugno poi c’è da piantare il barzaf, che è una pianta in grado di fare molta ombra, particolarmente utile vicino alla clinica, per chi aspetta di essere visitato. Gli operai vanno seguiti.

Verso le undici il lavoro si ferma e Aseffa va nella sua casetta, coperta di lamiera, e si prepara il pranzo, mentre io torno nella mia casa, fatta di blocchetti e di lamiere. per cucinare. Lui usa un fornellino a butangas, mentre io sono un po’ più ricco e posso usare il gas della cucina economica, per prepararmi un piatto di spaghetti, che mangio a mezzogiorno, dopodiché mi butto nel letto per un’oretta. A quell’ora, a parte nel periodo delle piogge, comincia un caldo pesante che ti toglie le forze e si fa fatica a scendere in falegnameria o in officina. Negli ultimi due mesi ho lavorato per costruire i piedi delle colonne di barzaf, che dovrebbero sostenere la chiesa di Balla, ricostruita perché le termiti l’avevano quasi distrutta. Così, dopo un tira e molla con la comunità, indecisa sul come procedere, il mio catechista li ha convinti a venire a prendere gli undici appoggi di metallo che ho costruito per sostenere, una volta piantati nel terreno, i pali di barzaf e poter ricostruire un po’ più piccola la cappella che serve anche da scuola.

Verso le cinque del pomeriggio interrompo il lavoro nell’officina, che in linea d’aria dista poche centinaia di metri dalla mia casa, ma con un dislivello notevole, che si fa sentire. La clinica rimane ancora più in basso, rispetto all’officina e il ritorno è faticoso. A quel punto bisogna preparare la cena, con quel che c’è a disposizione; nel frattempo viene la guardia che fa il turno di notte, mette la firma nel quaderno delle presenze e prende il fucile che gli consegno, un vecchio arnese della prima guerra mondiale che pesa dieci chili e più. La sua presenza serve a tenere lontani eventuali ladri e animali feroci; ne avrei fatto volentieri a meno, ma dicono che non è prudente.

La mia giornata prosegue così, con qualche lettura in attesa della guardia; in particolare mi piacciono gli articoli di Jesus, che mi arriva sempre.


IN MISSIONE Raffaello 03 (Ivano Puccetti)Bisogna leggere Messaggero Cappuccino

Quello lo trovo troppo spirituale, con tanti articoli sulla Bibbia e su san Francesco… e quindi leggo di più Jesus e meno Messaggero Cappuccino. In realtà leggo anche MC, ma io sono un tipo pratico e cerco le cose adatte a me. Ecco, anche questa intervista mi piace perché è il racconto di una giornata, molto concreto.


A dire il vero ogni volta che incontro un missionario cerco di far sì che il racconto non sia astratto e distante, ma concreto, capace di mostrare che non si tratta di una vita inarrivabile. Per la teoria esistono i documenti, che ogni tanto trovano spazio nel giornale, ma la vita reale solo chi la vive può raccontarla.

A me è questo che piace. Ma sto facendo troppe parentesi… Una volta preso il fucile, la guardia scende in una capanna vicina a dove vive Aseffa; è la prima che abbiamo costruito a Duga, all’inizio degli anni novanta. Fu nel ’91 che attraversammo per la prima volta il fiume e poi di nuovo nel ’92, nel periodo più secco, quando l’Omo era più basso. Poi col tempo sono venute le altre costruzioni, la scuola e la sorgente. Per trovare una sorgente da imbrigliare ci sono voluti quattro anni; prima era tutto un acquitrino, con le bestie che bevevano a monte e, a valle, beveva la gente, che poi si ammalava di tifo e moriva. Quando, grazie all’aiuto di un’organizzazione parigina, sono riuscito a sanare la sorgente, con un abbeveratoio separato per le bestie, la situazione è cambiata radicalmente.

Mentre lentamente si fa buio, posso sfruttare il pannello solare che fra Maurizio mi ha montato qualche anno fa, illuminando la stanza con la lampadina da 12 volt. Verso le sei e mezza è l’ora di mettere sul fuoco la pentola a pressione per la cena, generalmente con due manciate di riso, alle quali aggiungo un po’ di formaggio sfarinato e un bicchiere d’acqua; guardo anche se nell’orto c’è un po’ di insalata o qualche fagiolo dall’occhio, che hanno incominciato a crescere, ma non piacciono solo a me: le scimmie me li hanno mangiati tutti, nonostante le protezioni che avevo montato per impedirlo.

La mia giornata si conclude così, leggendo le parole della compieta: «Al termine del giorno, o sommo Creatore, vegliaci nel riposo con amore di Padre…». Al mattino gli chiedo di aiutarmi per la giornata e alla sera lo ringrazio di quel che mi ha dato in quel giorno, mangio quel poco che ho preparato e poi mi butto nel letto.