IN CONVENTO Gioacchino 01 (Archivio Provinciale)Fioretti cappuccini

Come frate Gioacchino questuava i fagioli

Frate Gioacchino era un uomo schietto, arguto di un’arguzia che poteva scandalizzare le orecchie della gente raffinata, ma non la popolazione di campagna, abituata a parlare chiaro, senza inutili giri di parole. Armato di quest’arma che faceva miracoli, girava per le campagne della bassa Romagna riuscendo a smontare ogni prevenzione nei suoi confronti, anzi suscitando simpatia. Era ben consapevole come le vicende della guerra avessero generato molta diffidenza verso i preti, un po’ meno verso i frati, ma sapeva anche che chi si diceva pronto a sbattergli la porta in faccia, alla fine si trovava costretto a capitolare e ad accoglierlo in casa. Le sue battute erano divenute proverbiali, e chi non lo conosceva poteva rimanere interdetto dalla rudezza del suo parlare, ma, tant’è, lui era fatto così, e il suo linguaggio schietto gli creava amicizie anche con chi di Chiesa non voleva neppure sentire parlare. Insomma frate Gioacchino, con la sua lunga esperienza, non aveva timore di nessuno, e a tutti diceva sempre «una buona parola», di quelle che colpiscono sempre nel segno.

La questua nelle campagne lo aveva abituato al linguaggio dialettale dei contadini, non sempre ripetibile in convento, ma lui era fatto così: era nato nell’alta Romagna, forse la più raffinata del territorio romagnolo, ma si era adeguato presto al modo di esprimersi della Romagna più profonda, che nel parlare non andava certo giù per il sottile. Come avvenne nell’episodio accaduto tanti anni fa.

Un giorno era in giro per la questua delle patate, ma soprattutto dei fagioli. Frate Gioacchino, cresciuto a patate e fagioli, sapeva molto bene come i fagioli, in tempo di ristrettezze alimentari qual era il primo dopoguerra, fossero un’autentica provvidenza, perché, oltre che essere buoni, davano un apporto calorico e proteico non da poco. Era proprio quello che ci voleva per i fratini del seminario di Imola: tante bocche da sfamare, e quale migliore alimento se non un buon piatto di fagioli? Fagioli e patate: questo era il menù quotidiano, e ci fosse stato sempre! Così, al passo di un mulo e con un sacco in spalla, frate Gioacchino batteva le campagne del comune di Massa Lombarda, nel territorio ravennate. Il clima politico era ancora avvelenato, e a farne le spese erano spesso i frati questuanti, che la gente della bassa vedeva come fumo negli occhi: andavano in giro con sandali non proprio profumati e con tanti anni sotto la suola, non si distinguevano per la pulizia del loro abito color caffè macchiato tutt’altro che in maniera omogenea e la loro barba superava di gran lunga quelle delle pannocchie di granoturco, buona solo per fare degli scopini. Almeno così si diceva. Venivano additati come vagabondi alla ricerca di sbarcare il lunario con poca fatica. In realtà solo loro, i frati questuanti, sapevano a quanta fatica dovessero sobbarcarsi nel raccattare qualcosa da portare in convento per sfamare le bocche mai sazie dei fratini e anche degli altri frati.

Frate Gioacchino conosceva ancora poco quella zona, ma non si dava eccessivo pensiero dei dinieghi e degli insulti che avrebbe potuto incontrare, perché in Romagna si rivelavano come il miglior benvenuto. Non che fosse indifferente alle sgarberie, no, ma accettava anche quelle pur di riempire il suo sacco o di patate o di fagioli. Sapeva che nella gente di quelle campagne, sotto una scorza alquanto ruvida, batteva il buon cuore romagnolo. Ben raramente se ne partiva dalle case senza una manciata di fagioli o qualche patata, che a quei tempi se non era oro, poco ci mancava.

Rubrica in Convento 04 (Archivio Provinciale)Aveva già visitato tante case, quando giunse sull’aia di una casa presso la quale mai prima si era fermato. Forse era abitata da una famiglia nuova o forse se ne era tenuto alla larga su consiglio dei vicini. Non ricordava bene. Comunque diede una voce a quelli di casa: «Ehi, c’è qualcuno?». Aspettò alquanto, e poi ripeté la domanda. Finalmente uscì dalla stalla un omone con un forcale in mano. «Ohi, speriamo che stia buono con quell’arnese!», si disse frate Gioacchino, stringendosi contro il mulo. «Che cosa cercate qui? Che cosa volete?», lo apostrofò il contadino. Frate Gioacchino, che teneva sempre d’occhio il forcale, perché le mani di quell’uomo gli sembravano non solo grandi e grosse, ma anche alquanto nervose, si presentò: «Sono un frate cappuccino e passo alla cerca dei fagioli. Ne avete un po’ per i miei ragazzi?». L’uomo gli rispose sgarbatamente, tanto da non lasciare alcuna speranza: «Di fagioli per i frati non ce n’è nemmeno uno. Cavatevi dai piedi!». E giù una bestemmia così secca da tagliare l’aria. Il contadino non si era espresso proprio così, ma non sempre la lingua italiana riesce a trasmettere l’intensità delle forme dialettali, soprattutto quelle non proprio ortodosse. Frate Gioacchino, per la sua lunga esperienza, capiva che quel modo di esprimersi non era cattiveria, e con calma, a voce bassa, disse più per sé che per il contadino: «Non c’è bisogno di bestemmiare per due fagioli, sarà questione di una scurèza in meno» (traduzione: “emissione spesso sonora di gas intestinali”). «Che cosa avete detto?», chiese l’uomo, che aveva udito poco, ma quanto bastava per mettersi sul chi va là, nel dubbio che il frate lo avesse insultato. «Ho detto che i miei fratini faranno una scurèza in meno sotto le lenzuola!», tradusse meglio e con voce più sostenuta il suo pensiero frate Gioacchino, che di quegli inconvenienti provocati dai fagioli aveva l’esperienza di una vita. L’uomo non rispose subito, ma si capiva bene che aveva abbandonato l’atteggiamento aggressivo iniziale. Voltò le spalle, appoggiò il forcale al muro della stalla e dopo un momento gli disse: «Venga pure in qua, che i fagioli per una scurèza glieli do anch’io». Frate Gioacchino ebbe diverse manciate di fagioli. Manciate generose, perché le mani di quell’uomo assomigliavano a pale. E poi ebbe anche delle patate, di quelle novelle, appena dissotterrate, che al solo vederle ti facevano venire l’appetito.

Quando verso sera, prima che il sole cominciasse a calare, prese la via del ritorno in convento, frate Gioacchino poteva davvero dirsi soddisfatto. Aveva raccolto belle patate, e molti fagioli, sicuro che i suoi fratini avrebbero gradito tutto quel ben di Dio e avrebbero continuato a fare scurèz (plurale di scurèza), con buona pace di ogni reazione olfattiva per quel fenomeno. Lui non vi aveva mai fatto gran caso, abituato com’era dalle scurèz del suo mulo, che pur dei fagioli mai aveva gustato, nemmeno lontanamente, il sapore.