Borghi 01 (Emanuele Rosso)Di dogmi, di guerre e di altre verità


Dialogo scolastico sui massimi sistemi e dell’incidenza delle religioni su di essi

 

di Gilberto Borghi

della Redazione di MC


Assist per la discussione 

Già alla seconda settimana di scuola “hanno fatto la piena”, cioè sono stufi delle spiegazioni: «Cavolo, prof, abbiamo avuto tre ore consecutive di economia, sono già distrutto». In una quinta, Eros viene alla cattedra e si lamenta, mentre sto cercando di aprire il pc per segnare le assenze. Gli dico: «Eh, mi sa che devi abituarti, forse sei ancora con i ritmi dell’estate». E mentre scrivo la password, il suo compagno Roberto sfila dalla tasca del mio giubbotto stravaccato sulla cattedra il giornale che ho comprato poco prima. Apro la home del pc inizio a fare l’appello. Ma Roberto mi brucia con una domanda: «Prof, mi spiega questa roba della strage di Nairobi? Cosa facevano recitare per vedere se uno era musulmano?».

In prima pagina, di spalla, una foto del centro commerciale della capitale del Kenya, dove il 21 settembre scorso un gruppo di terroristi legati ad Al Qaida hanno ucciso più di 130 persone. Il titolo “Scatta il blitz dopo la strage al centro commerciale” ha fatto venire in mente a Roberto la notizia del tg della sera prima: i terroristi salvavano quelli che sapevano recitare la shahada e uccidevano invece chi dimostrava di non essere musulmano.

«Eh, Roberto, una bruttissima storia, - gli dico - la shahada è il primo dei cinque pilastri dell’islam, che abbiamo visto l’anno scorso, la recita della formula del loro “credo”: testimonio che non c’è divinità se non Allah e testimonio che Muhammad è il suo messaggero». «Ah, ho capito, prof: quello che devono recitare un sacco di volte al giorno». «Sì, Roberto, ma non è che devono, scelgono di farlo, perché definisce la loro identità religiosa. Ma in questo caso è davvero assurdo che sia stata usata come confine tra la vita e la morte delle persone». «Ma prof non è assurdo. È la solita storia di ogni religione, che finisce per essere intollerante con chi non la pensa uguale. Non ci possiamo lamentare poi se alla fine si arriva a queste cose».

E improvvisamente capisco che Roberto mi ha offerto un “assist” favoloso per aprire con loro la discussione proprio sulla questione del rapporto tra religione, guerra e pace, che in effetti mi stava a cuore. Perciò lo fermo: «Roberto, la tua provocazione merita di essere allargata alla classe. Perciò dammi un attimo che la riprendiamo». Lo mando a posto e racconto alla classe l’antefatto, la domanda di Roberto e la sua provocazione. E chiedo: «Secondo voi davvero le religioni sono fonte di guerre e allontanano il mondo dalla pace?».

Inizia Elena: «Beh, questa cosa della strage è davvero bruttissima, e sono convinta anche io che spesso le religioni non aiutano a mettersi d’accordo, ma spingono le persone a dividersi di più. Anche se a parole sono per la pace, di fatto aiutano i conflitti». «Sì, prof, - interviene ancora Roberto - finché ci saranno delle religioni che hanno dei dogmi fissi le divisioni sono inevitabili. Aveva ragione John Lennon…». Lo interrompo: «Conosci Lennon?» .«Certo, prof, la canzone “Imagine” dove lui sogna un mondo in cui le persone vivono in pace perché non c’è motivo per uccidere e non ci sono più religioni».


Borghi 02 (Giusy Baioni)Sul come vivere in pace 

«Ma scusate, ragazzi, questo vuol dire che secondo voi non si può vivere in pace se si hanno idee diverse? La pace allora sarebbe possibile solo se le persone avessero tutte la stessa identica idea? Omologazione totale! A ben guardare è un sogno che questa cultura post-moderna a volte accarezza. Sapete benissimo anche voi quanto vi disturba che tutti vi vestite allo stesso modo, ballate, pensate, vi divertite allo stesso modo. E ci state dentro tristemente a questo modo di vivere, senza però immaginarne uno diverso».

«No, prof, non la faccia così pesa». Arianna, che anche prima voleva buttarsi nella discussione, ma non trovava spazio, finalmente ci riesce. E continua: «Si può stare in pace anche se si hanno idee diverse; certo, coi miei amici stiamo bene e non la pensiamo allo stesso modo». «E come fate quando su una cosa avete idee diverse?». «Beh, di solito la chiudiamo lì perché non abbiamo voglia di litigare. Tanto poi ognuno ha diritto di pensarla come vuole, o no?».

«Certo, ognuno la può pensare come vuole, - le ribatto - ma mi sembra che in questo modo la pace sia possibile tra di voi a condizione di una reciproca indifferenza, evitando il confronto. Immagini cosa vuol dire questo a livello mondiale? Avrebbero ragione quelli che dicono che noi stiamo a casa nostra e loro a casa loro, qualsiasi sia questo “loro”. Non vedendo che è ormai impossibile, perché internet connette quasi 5 miliardi di persone, perché in 150 paesi, su 180 al mondo, i giovani vedono MTV e quindi ascoltano la stessa musica dalla stessa tv, perché le migrazioni verso gli stati più ricchi, nonostante tutte le regole messe, non si fermano. Come facciamo a pensare che la pace si possa davvero vivere solo nella reciproca indifferenza? Tiriamo su dei muri? Chi ha provato a farlo fisicamente non ha migliorato molto la propria condizione di pace, semmai ha aumentato la propria e altrui paura».

«No, prof. Così non ci si scappa, ha ragione». Marika, spesso equilibrata e coi piedi abbastanza per terra, aggiunge la sua: «Coi miei amici quando si discute su una cosa e ci sono idee diverse non facciamo finta di niente. Ognuno dice la sua ma non vuole certo imporla sugli altri, e alla fine di solito si trova una soluzione che può essere buona per tutti, anche perché spesso discutendo ci rendiamo conto che le differenze non sono poi così grandi. Se vuoi stare con gli altri devi essere un po’ elastico». «Ah, Marika, interessante, ma cosa vuol dire essere elastico? Vuol dire che rinunci a qualche tua convinzione?». «No, non dico questo, ma rinuncio ad imporre la mia convinzione, perché poi so che, se ho ragione, saranno le cose a dimostrarlo».

 

Borghi 03 (Fr. Lawrence Lew, op)Presupposti alla pace 

«Oh, ragazzi, per conto mio - dico alla classe - l’idea di Marika mi piace. Sarebbe un bel modo per stare in pace avendo anche idee diverse, ma senza essere indifferenti. E se fosse usata a livello mondiale forse le cose andrebbero meglio. Ma vi voglio far notare che questa idea sta in piedi su due presupposti. Uno è che Marika ci tiene di più a salvare l’amicizia che ad avere ragione a tutti i costi. L’altro è che lei immagina che la sua verità sia solo un pezzo della Verità e che anche altri possono portare lì il loro pezzo e tutti ne traggono giovamento. Insomma l’idea che la Verità sia un po’ anche un mistero da scoprire insieme. Se ci pensate seriamente, sono poche le volte in cui siamo davvero sicuri che la nostra idea sia vera. Più spesso la crediamo vera. E allora dovremmo ricordarci che la verifica non sta nella nostra convinzione, ma nel confronto con la realtà».

«Ma allora prof lei dà ragione a me - riprende Roberto - quando dico che il problema sta nei dogmi delle religioni, che danno per scontato che certe cose siano vere senza dimostrazione reale. E su questi la gente poi fa i casini e le guerre!». «Un momento, Roberto. Tu dai del dogma una lettura estremista. Dipende da come li prendi, i dogmi. Dire che Dio si è incarnato in Gesù di Nazareth può essere preso come una roba già chiara e assodata, di cui io mi sento padrone perché ne ho visto una sua logica interna, benché non ne abbia la dimostrazione. E quindi non accetterò che qualcuno possa metterla in discussione, perché non c’è spazio per continuare la ricerca su quella verità. E sì che allora si può rischiare di aprire un conflitto con chi non riconosce quel dogma. Ma può essere preso anche come un mistero da continuare a scoprire, come se io fossi avvolto e afferrato da quella verità, che però mi sorpassa e per questo devo capire sempre meglio cosa significa per me e che effetti può avere nella mia vita. Fino a vedere se, nella realtà, questa idea mi rende più uomo, più felice. Cioè lentamente nella vita di una persona questa verità viene “verificata” dalla realtà. In questo modo posso anche accettare che questa verità non venga riconosciuta da altri e anzi il confronto con loro diventa un passaggio essenziale per me, per verificarla nella realtà. La pace allora tra chi ha idee diverse è possibile anche se ci sono dogmi. Dipende da quanto noi pensiamo di essere padroni di quell’idea o se quell’idea invece ci avvolge e ci sorpassa e ci possiede, continuando ad interrogarci».

Alla fine arriva la campana. E mentre la classe si “ricrea” Roberto mi dice: «Lei potrà anche pensarla così, ma non vedo in giro molte persone che pensano ai dogmi in questo modo. E le guerre continuano».