Toschi 01Nessuno faccia rinascere Caino


La nuova profezia di pace nelle parole di papa Francesco

 

di Massimo Toschi

scrittore e politico impegnato per la pace tra i popoli


Senza pace non c’è sviluppo 

Come i profeti dell’Antico Testamento papa Francesco ha parlato e scritto ai potenti della terra, riuniti nel G20 di San Pietroburgo tramite il presidente pro tempore Putin.

In questa lettera egli si misura sul tema ordinario dell’incontro: la riforma delle organizzazioni internazionali, in modo che l’economia mondiale possa permettere «una vita degna a tutti gli esseri umani, dai più anziani ai bambini ancora nel grembo materno, non solo ai cittadini dei Paesi membri del G20, ma ad ogni abitante della terra, persino a coloro che si trovano nelle situazioni più difficili o nei luoghi più sperduti».

La sfida della sicurezza alimentare appare decisiva se il mondo e le sue popolazioni vogliono avere un futuro. Ciò che si contrappone a questo sono i conflitti armati, la guerra nelle sue multiformi vesti. Dice ancora il papa che «le guerre costituiscono il rifiuto pratico ad impegnarsi per raggiungere quelle grandi mete economiche e sociali, che la comunità internazionale si è data, quali sono, per esempio, i Millennium Development Goals (obiettivi del millennio per lo sviluppo)».

Anzi il papa insiste dicendo che i conflitti armati e le guerre moltiplicano povertà e sofferenze nella popolazione civile. E pone la pace come condizione necessaria di ogni sviluppo. Non è lo sviluppo che genera la pace ma al contrario senza pace non c’è sviluppo, rovesciando così la prospettiva di Paolo VI, che nel 1967 aveva fatto della pace il nome nuovo dello sviluppo.

Come narrazione concreta di tutto questo egli pone la situazione del Medio Oriente e in particolare della Siria, dove «duole constatare che troppi interessi di parte hanno prevalso da quando è iniziato il conflitto siriano, impedendo di trovare una soluzione che evitasse l’inutile massacro a cui stiamo assistendo». Il papa conosce bene la tragedia dei 110.000 morti siriani, nei due anni di guerra, con l’uso devastante delle armi chimiche, e la scelta dell’Occidente di armare l’opposizione, che ha cercato di duplicare i risultati della guerra in Libia.

Di fronte a coloro che pensano che la guerra può evitare la guerra, papa Francesco indica un orizzonte totalmente diverso: «A tutti loro [i leader del G20], e a ciascuno di loro, rivolgo un sentito appello perché aiutino a trovare vie per superare le diverse contrapposizioni e abbandonino ogni vana pretesa di una soluzione militare».

 
Toschi 02 (Matteo Casadio)Vane le soluzioni militari 

Ecco il punto dirimente: è vana la pretesa di una soluzione militare, le armi non producono la pace, se non quella dei cimiteri. È finito il tempo della giustificazione della guerra. La guerra non ha più cittadinanza. Ecco la profezia di papa Francesco, che si è manifestata in tutta la sua forza nella liturgia di preghiera e di digiuno per la pace in piazza San Pietro.

L’omelia ha spiegato il fondamento storico/spirituale di questo giudizio profetico. Nell’«in principio» di Dio il mondo è «cosa buona» e ha la misura della pace e della fraternità: «una fraternità reale», fondata da Dio stesso e sigillata dal suo agire, ma la storia degli uomini ha ben altre caratteristiche: «la violenza, la divisione, lo scontro e la guerra».

In mezzo c’è il peccato dell’uomo, che «quando pensa solo a se stesso, ai propri interessi e si pone al centro, quando si lascia affascinare dagli idoli del dominio e del potere, quando si mette al posto di Dio, allora guasta tutte le relazioni, rovina tutto; e apre la porta alla violenza, all’indifferenza e il conflitto».

Ciò che cambia la storia è il peccato dell’uomo. È in forza di questo peccato che l’uomo spezza la “casa buona di Dio” e «arriva ad alzare la mano contro il fratello per ucciderlo». La fraternità generata e donata da Dio è violata e spezzata dall’omicidio di Abele e si cade così nel caos, dove è violenza, contesa scontro, paura. Ma, nel cuore del caos, Dio chiede conto a Caino della sorte del fratello Abele.

Qui la forza profetica di papa Francesco si rivela in tutta la sua forza: «Sì, tu sei custode di tuo fratello! Essere persona umana significa essere custodi gli uni degli altri. E invece, quando si rompe l’armonia, succede una metamorfosi: il fratello da custodire e da amare diventa l’avversario da combattere, da sopprimere. […] in ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino. Noi tutti! E anche oggi continuiamo questa storia di scontro tra i fratelli, anche oggi alziamo la mano contro chi è nostro fratello».

Nell’«in principio» Dio dona la fraternità, che non è legata a interessi, a legami di sangue, o di razza, ma ha il suo fondamento nell’agire di Dio. Per questo la fraternità rimane anche nella violenza che la contraddice. Noi uccidiamo sempre non il nemico, ma il fratello, perché anche il nemico è nostro fratello. Certo nella violenza e nella guerra rinasce Caino, ma anche Caino è nostro fratello.

E se oggi in Siria e in tanti luoghi del mondo è rinato Caino, questo non significa che la guerra ha cittadinanza, perché la violenza e la guerra moltiplicano se stesse e «portano solo morte, parlano di morte. La violenza e la guerra hanno il linguaggio della morte». Sono parole fortissime, che pongono il giudizio di Dio su ogni guerra, a partire da quella in atto in Siria, che si vorrebbe sconfiggere con la guerra. Si vorrebbe uccidere la bestia con la bestia stessa, ma questa è una illusione, che produrrà ulteriore sofferenza e morte.

Per uscire da questa spirale, bisogna ripartire dalla fraternità, dall’«in principio» di Dio, che ha il suo compimento sulla croce. Dice il papa, con tutta la sua fede povera e disarmata: «la mia fede cristiana mi spinge a guardare alla croce. Come vorrei che per un momento tutti gli uomini e le donne di buona volontà guardassero alla croce! Lì si può leggere la risposta di Dio: lì, alla violenza non si è risposto con la violenza, alla morte non si è risposto con il linguaggio della morte. Nel silenzio della croce tace il fragore delle armi e parla il linguaggio della riconciliazione, del perdono, del dialogo e della pace».

La fraternità dell’«in principio» si compie sulla croce. La risposta alla guerra non è la guerra ma il perdono, il dialogo e la riconciliazione, che nascono dalla fraternità in Dio e generano la fraternità sulla terra. In questo rinasce Abele e non Caino. Questa non è una pia parola per i credenti ma il vangelo della fraternità per tutte le donne e per tutti gli uomini di buona volontà.


Toschi 03La strategia della croce 

E insiste il papa, quasi in forma di supplica rivolgendosi ad ogni donna e ad ogni uomo: «Ognuno si animi a guardare nel profondo della propria coscienza e ascolti quella parola che dice: esci dai tuoi interessi che atrofizzano il cuore, supera l’indifferenza verso l’altro che rende insensibile il cuore, vinci le tue ragioni di morte e apriti al dialogo, alla riconciliazione; guarda al dolore del tuo fratello - penso ai bambini: soltanto a quelli… - guarda al dolore del tuo fratello, e non aggiungere altro dolore, ferma la tua mano, ricostruisci l’armonia che si è spezzata; e questo non con lo scontro ma con l’incontro! Finisca il rumore delle armi! La guerra segna sempre il fallimento della pace, è sempre un fallimento per l’umanità».

La riconciliazione, il perdono, la pace e il dialogo chiamano a leggere la storia non come storia di guerra, ma come storia di fraternità: «Guarda al dolore del tuo fratello»… «penso ai bambini»… «guarda al dolore del tuo fratello […] e ferma la tua mano». Questo è il realismo unico ed efficace, che cambia il mondo: quello della fraternità del vangelo e del perdono.

Alla vigilia di giorni drammatici, più di quelli vissuti fino ad ora, il papa ci indica la via della pace, oltre antiche giustificazioni della guerra, oltre le astuzie della ragion politica e di stato, e oltre i dialoghi astuti e le diplomazie furbe e talora capaci di ricattare i paesi deboli.

Una pace che sta sulla croce e che è visibile nel volto sfigurato dei piccoli e nel loro grido muto. Una pace che cambia la storia, indicando che non c’è alternativa al perdono e alla fraternità, che davvero fecondano la terra.

Tutto questo apre alla conversione dei cuori e della politica, che appare cieca, muta e zoppa di fronte a un papa che nella sua debolezza ha detto tutta la verità del vangelo, arrivando al cuore di tutti i popoli, in primo luogo del popolo della Siria e dei popoli del Medio Oriente.

La lettera a Putin e l’omelia di piazza San Pietro costituiscono una nuova profezia della pace, che papa Francesco consegna a tutti, donne e uomini di buona volontà. Quello che sembrava impossibile è avvenuto e la Chiesa stessa è stata messa da papa Francesco sulla frontiera dell’impossibile, là dove solo Dio può agire e ci dona la sua pace, non come la dà il mondo, ma come la danno le vittime: una pace disarmata e proprio per questo capace di disarmare i violenti e di ricomporre nel perdono l’unità e la fraternità del mondo.

Questa profezia significa non solo una rinnovata dottrina del vangelo della pace, ma un modo nuovo di essere Chiesa nella storia. La Chiesa povera e dei poveri, sognata da papa Francesco, contiene nel suo mistero una Chiesa pacifica e dei pacifici, che «saranno chiamati figli di Dio» come dicono le beatitudini, perché hanno fatto la pace come il Figlio, per mezzo del sangue della croce.

La Chiesa dei pacifici testimonia e rende visibile il realismo della pace evangelica, che contiene in sé, nella debolezza, la forza disarmata, che sconfigge alla radice la bestia e l’odio fratricida e per questo, come dice Bonhoeffer, «sa osare la pace per fede».