Bernardelli 01L’attesa di un bacio


Il nodo della pace in Palestina è la reciproca assunzione come fratelli

 

di Giorgio Bernardelli

giornalista e pubblicista


Un pregiudizio da sfatare 

Se c’è un posto dove si parla in continuazione della pace è Gerusalemme: non c’è discorso sulla Terra Santa che non finisca a parare lì, a quella riconciliazione tra israeliani e palestinesi che tutti vorremmo ma alla fine non arriva mai. A dire il vero, però, oggi ci siamo anche tutti un po’ stancati di questa storia: sui nostri giornali Israele e la Palestina fanno molto meno notizia di qualche anno fa. Forse perché c’è la percezione chiara che espressioni come “processo di pace” o “due popoli per due Stati” suonino ormai come inevitabilmente vuote.

Sentiamo il bisogno di altre parole su Gerusalemme. E proprio quelle del salmista ci vengono in aiuto. Per la Terra Santa, infatti, «Giustizia e pace si baceranno» (Sal 85,11) non è solo la profezia di un orizzonte che tutti speriamo; è anche l’indicazione precisa della strada che resta ancora da percorrere per una riconciliazione vera.

Intanto perché è proprio la fatica che costa tenere insieme tra loro pace e giustizia il motivo principale che rende difficile voltare pagina a Gerusalemme. Sono ormai vent’anni che seguo con continuità le vicende di questo angolo del mondo, vi sono stato molte volte, ho incontrato tante persone. E posso dire che c’è un pregiudizio che dovremmo cominciare a sfatare: quello secondo cui il conflitto va avanti perché gli uni o gli altri non vogliono la pace. Non è così. La stragrande maggioranza della gente sia in Israele sia in Palestina è da tempo stanca di questo scontro senza fine; ne farebbe volentieri a meno. Perché, allora, l’odio e la violenza continuano? Proprio perché far incontrare tra loro la pace e la giustizia in una terra contesa richiede una grande fatica. «La pace costa, la pace ha un prezzo, - amava ripetere a Gerusalemme il cardinale Carlo Maria Martini - bisogna essere disposti a rinunciare anche a qualcosa che ci spetterebbe se si vuole davvero la pace».

Ma a un passo del genere non arrivi studiando mappe geografiche o analizzando con freddezza le questioni da tanti anni ormai sul tappeto (gli insediamenti dei coloni, i profughi palestinesi, Gerusalemme capitale, eccetera). No, lo dice bene proprio il salmo 85: non basta che pace e giustizia si incontrino in un compromesso accettabile; occorre che arrivino anche a «baciarsi». Ecco: non c’è idea più rivoluzionaria di questa oggi in Terra Santa. Mi è capitato di intervistare un uomo che crede nella pace, come Amos Oz, il grande scrittore israeliano. Eppure anche lui - quando immagina la pace nella sua terra - non va oltre l’idea di un divorzio onorevole tra israeliani e palestinesi, in cui ci si mette d’accordo sul minimo comune denominatore necessario per vivere insieme senza tirarsi i piatti in testa.

 

Bernardelli 02 (Luigi Ottani)L’illusione 

Una pace così è un’illusione a Gerusalemme. Perché poggia su un fondamento sbagliato: pretende di non fare i conti con il problema cruciale della storia recente di Israele e della Palestina, e cioè l’aver cancellato completamente l’altro dal proprio orizzonte. È difficilissimo ormai per un israeliano e un palestinese medio in Terra Santa incontrarsi di persona in una situazione diversa da quella (non proprio ottimale) del checkpoint. Il muro costruito tra Israele e i Territori Palestinesi non è solo un fatto fisico: è anche una gigantesca barriera mentale. Chi sta dall’altra parte non lo vedo e quindi posso raffigurarmelo nella maniera che più mi fa comodo… cioè quella che non mi chiede mai di fare i conti con le contraddizioni di chi sta dalla mia parte. Con l’ingiustizia patita dal contadino che «per ragioni di sicurezza» non può più raggiungere il campo che da sempre è della sua famiglia. O con l’angoscia di chi a Sderot vive l’incubo di un razzo che da un momento all’altro e senza preavviso potrebbe cadere sulla sua casa. Il muro permette a ciascuno di fare finta che la sofferenza dell’altro non esista. Ed è un muro che non si ferma in Medio Oriente: passa anche molto più vicino a noi, nelle tante curve di tifosi schierati a priori dalla parte di Israele o della Palestina, sempre pronti ad addossare solo a chi sta dall’altra parte la responsabilità di questo conflitto apparentemente infinito.


La pace può accadere 

«Giustizia e pace si baceranno» è la prospettiva opposta rispetto a tutto questo. Perché dice con un’immagine profonda che giustizia e pace stanno insieme solo là dove delle persone in carne ed ossa si assumono il rischio di provare a incontrarsi davvero. Pensare che possa succedere anche in Israele e in Palestina non è un’utopia: già oggi, proprio là, di persone che vivono così ne ho incontrate davvero tante. Penso a un giovane aspirante rabbino come Elyahu McLean, che porta i suoi amici ebrei ortodossi che vivono negli insediamenti a vedere come vivono gli altri suoi amici palestinesi. E a questi ultimi prova a spiegare perché per un ebreo è così importante poter andare alla Tomba di Abramo a Hebron. Penso all’avvocato arabo israeliano Elias Khoury, che ha visto suo figlio George morire ucciso “per errore” in un’imboscata a Gerusalemme: un gruppo terrorista palestinese pensava di uccidere un ebreo e invece quello studente che faceva jogging a French Hill era un ragazzo arabo cristiano. Un’esperienza tragica a cui Khoury ha deciso di rispondere con un gesto di incontro tra i due popoli: ha promosso la traduzione in arabo di Una storia d’amore e di tenebra, il romanzo in cui il già citato Amos Oz racconta il volto più vero del sionismo e ciò che lega gli ebrei alla Terra di Israele.

Penso all’esperienza straordinaria delle donazioni degli organi attraverso cui pace e giustizia sono state in qualche modo anticipate dal bacio della vita ridonata. Ho in mente in particolare due storie tra loro speculari: quella della famiglia Khatib di Jenin che ha donato gli organi a persone israeliane come il soldato che ha ucciso il piccolo Ahmed; e quella della famiglia ebrea Jesner che ha donato un rene del suo Yoni - morto in un attentato suicida su un autobus - a una bambina palestinese.

Sono tantissime in realtà queste storie e non finisco mai di scoprirne di nuove. Gesti di un’umanità travolgente che all’improvviso emerge e va oltre ogni barriera per abbracciare il fratello là dove secondo la retorica ufficiale dovrebbe nascondersi il nemico. Sono i custodi della profezia del salmista a Gerusalemme. Sentinelle che vedono molto più lontano rispetto agli orizzonti troppo angusti della politica. E che mantenendo viva la speranza costruiscono ponti che un giorno - ne siamo sicuri - in tanti in una Terra Santa finalmente riconciliata vedremo percorrere.

 

Dell’Autore segnaliamo:

Terra santa. Viaggio dove la fede è giovane

AVE, Roma 2009, pp. 112