Il dono del saluto
Dal saluto biblico di san Francesco al popolare augurio della famiglia francescana
di Niklaus Kuster
frate cappuccino svizzero, docente di Storia e spiritualità francescana
I francescani si salutano dicendo «Pace e bene». Negli Scritti di san Francesco non si trova «Pax et bonum». Nemmeno i biografi e i compagni del Poverello pongono mai sulle sue labbra questo augurio. Le Fonti Francescane riportano tale saluto un’unica volta, quale invocazione che Francesco sente ad Assisi, ma che non fa propria (FF 1428). Orientato radicalmente verso la bibbia, Francesco apre lettere e prediche con altri saluti di benedizione.
Formule di saluto di san Francesco
Negli Scritti del santo troviamo 13 volte pax e 51 volte bonum, senza però che i due termini siano legati tra loro. Nella Lettera a un Ministro e nella Benedizione a frate Leone è impiegata la benedizione di Aronne: «Dominus det tibi pacem!». Nella breve Ammonizione 15 si parla della pace, è però l’amor Domini il vero operatore di pace. Nelle sue lettere Francesco usa alcune varianti dell’augurio di pace sostituendolo con l’annuncio di salvezza (salus). Nella breve Lettera a frate Leone augura con spirito materno al compagno «salute e pace». Nella seconda Lettera ai Custodi completa: «salute et santa pace nel Signore». Nella prima Lettera ai Custodi limita l’augurio alla salvezza. Nella Lettera ai Reggitori dei popoli estende a tutte le persone umane l’augurio «salute e pace a tutti». Nella seconda Lettera ai credenti augura «pace e carità», mentre nella Lettera ad Antonio semplicemente «salute», come nella Lettera a tutto l’Ordine. Alla sua amica Jacopa Francesco augura «salute nel Signore e comunione nello Spirito Santo».
Nella Regola non bollata 14,2 (FF 40), Francesco affida ai frati il saluto che Gesù aveva indicato ai suoi discepoli: «pace a questa casa». Simile prassi è confermata dal più antico affresco di Francesco al Sacro Speco di Subiaco: esso mostra Francesco quale nuovo discepolo di Gesù povero e scalzo che attraversa una porta con il saluto di «pace a questa casa», mentre la pergamena del saluto ne indica in Lc 10,5 l’origine. Nel Testamento Francesco formula al singolare il saluto di pace a un nucleo familiare: «Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: il Signore ti dia pace! (2Test 23: FF 121)». È il saluto che Gesù affida ai suoi discepoli quando li invia in Galilea (Mt 10,12) e quello del Risorto stesso nel corso delle sue apparizioni pasquali (Lc 24,36; Gv 20,19.21.26).
Shalom e Tob nella Bibbia
L’esegeta spagnolo Antonio González Lamadrid mostra quanto «pax et bonum» sia profondamente radicato nella tradizione biblica. Nell’Antico Testamento appaiono «pace e bene» (shalôm - tôb) in parallelo. Parecchie testimonianze testuali si riferiscono con ciò a prosperità e pienezza di vita nella sicurezza e nell’armonia (Gen 26,29; Est 10,3; Lam 3,17; Ger 8,15; 14,19; 33,9; Is 52,7). Salmi e Profeti esortano i credenti a legare sul piano etico opere buone e augurio di pace. È l’esempio di Sal 34,15: «Sta’ lontano dal male e fa’ il bene [tôb]; cerca la pace [shalôm] e perseguila!».
Perché mai Francesco non ha fatto proprio l’augurio «pax et bonum», lui che ascoltava simili passaggi biblici e pregava i Salmi? Perché il Poverello impiega volentieri i due concetti pace e bene in senso biblico, senza tuttavia metterli mai insieme in un saluto allora diffuso ad Assisi?
Origine di «pax et bonum»
L’unica testimonianza relativa a questa formula di saluto nelle Fonti Francescane riferisce di una pratica prefrancescana: l’espressione è attribuita a un predecessore locale di Francesco e rimane fuori dell’ambito francescano, in quanto né il Poverello né il Francescanesimo l’utilizzano nel Medioevo. I tre compagni riferiscono di un contemporaneo di Francesco che attorno all’anno 1200 invocava la pace nella città d’Assisi dilaniata dai conflitti con la formula: «pax et bonum, pax et bonum» (3Comp 26: FF 1428). Questo strillone scompare prima dell’operare di Francesco e dall’ottica dei Compagni e non diventa nemmeno frate minore. I tre compagni vedono per contro in Francesco la continuità dell’agire dei grandi profeti. Il saluto dell’annunciatore di buone nuove in Isaia - il cui messaggio ebraico unisce shalôm e tob (Is 52,7) - è tradotto due volte con il dittico genuinamente francescano pax e salus. Esso corrisponde di fatto sul piano linguistico e contenutistico alle formule di saluto utilizzate da Francesco nei suoi scritti.