E il poverello divenne icona

La Chiesa di Roma e frate/san Francesco: al di là degli stereotipi

di Grado Giovanni Merlo
storico

Merlo1La fede nei sacerdoti

Il rapporto di frate Francesco d’Assisi con la Chiesa romana è chiaro sin dagli inizi: si tratta di una scelta consapevole che rinvia a una «fede» piena nella tradizione di ortodossia “cattolica” da essa tramandata e garantita. La Chiesa romana tramandava e garantiva anche quel sacerdozio che unico poteva amministrare il «santissimo corpo e il santissimo sangue» del Figlio di Dio: di qui la «fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa romana a causa del loro ordine». Queste profonde e irrinunciabili convinzioni risultano doni che la Grazia gli aveva fatto. D’altronde, sempre per opera della Grazia, egli aveva deciso di «vivere secondo il modello del santo vangelo» e di chiedere al «signor papa» di confermare il suo proposito di vita. Non solo: la sottomissione al vertice della cattolicità è sottolineata al termine della Regola bollata del 1223, là dove si precisa che «per obbedienza […] i ministri debbano chiedere al signor papa uno dei cardinali della santa Chiesa romana, il quale sia governatore, protettore e correttore di questa fraternità, affinché sempre sudditi e sottomessi ai piedi della stessa santa Chiesa, stabili nella fede cattolica, osserviamo la povertà e l’umiltà e il santo vangelo del Signor nostro Gesù Cristo, che fermamente abbiamo promesso».
Non vi possono essere dubbi sul rapporto di frate Francesco (e dei suoi “fratelli”) con il papato. La richiesta del governo, della protezione e della correzione da parte di un cardinale, rappresentante del vertice ecclesiastico, appare una delle condizioni affinché i frati minori potessero realizzare la propria soggezione e subordinazione, vale a dire fossero “stabili” nel seguire la povertà, l’umiltà e la “buona novella” di Gesù Cristo. L’evangelismo di frate Francesco e il sacerdotalismo della Chiesa romana non si escludono a vicenda né contrastano: piuttosto, si integrano e si completano. In estrema e rapida sintesi, si potrebbe affermare che in frate Francesco la cristologia fa tutt’uno con l’ecclesiologia, in quanto il sacerdozio cattolico-romano è esaltato da un assoluto amore per il Cristo e dalla connessa passione eucaristica che pretendeva la concretezza di un segno divino, quale era costituito da «il santissimo corpo e il santissimo sangue» del Figlio di Dio.

La santità al servizio della Chiesa

Qualche problema nasce quando si considerino i rapporti della Chiesa romana con frate Francesco. Ne sappiamo poco e quel che sappiamo si riferisce in larga prevalenza a colui che nel 1227 diventerà papa Gregorio IX. Questi, quando ancora era cardinale vescovo di Ostia, nel 1220 divenne pure cardinale protettore della fraternità dei minori dietro esplicita richiesta a papa Onorio III e dietro precisa scelta da parte dello stesso Francesco. In seguito, la presenza di Ugo o Ugolino d’Ostia accompagnerà la definizione istituzionale dell’Ordine dei frati minori. Lo dichiara lo stesso Gregorio IX, il quale afferma inoltre di ben conoscere la «intentio», i termini fondativi della «proposta religiosa» di san Francesco. In generale, non sembrano esserci stati contrasti di un qualche rilievo tra il Poverello e il suo cardinale: contrasti che invece quest’ultimo ebbe in alcune circostanze con Chiara d’Assisi. Sufficientemente certo è che Gregorio IX ebbe consapevolezza del potenziale valore della «santità» di Francesco: una santità che da lui venne finalizzata alle esigenze di autodifesa ed esaltazione della Chiesa romana in un momento travagliato della sua esistenza. La santità di Francesco non solo riceveva un riconoscimento istituzionale, ma era da integrare nel complesso organismo ecclesiastico e perciò da celebrare in termini compatibili con caratteri e finalità del papato della prima metà del Duecento.
Nell’estate del 1228 frate Francesco divenne per sempre san Francesco, inserito nel catalogo dei santi e, perciò, immesso nel grande disegno religioso (e di connesso “dominio del mondo”) che aveva il suo centro nel papato. Si potrebbe persino dire che, prima che il santo dell’Ordine che da lui era derivato, Francesco fosse un santo di Gregorio IX: il quale, agli inizi del suo pontificato, necessitava di santi “nuovi” da proporre come modelli di una rinnovata religiosità rivolta alle esigenze e al sostegno della Chiesa di Roma. Lo dimostra, tra l’altro, il progetto di edificazione della nuova chiesa di San Francesco in Assisi, alla cui realizzazione il papa destinò frate Elia, sino al 1227 alla guida della “fraternità” dei minori per volontà di frate Francesco. In pochissimi anni sarà costruito l’edificio sacro appositamente pensato per la conservazione del corpo di un santo “locale”, ma che dal papa veniva proiettato in una dimensione universale. Per il santo di Assisi si era eretto un santuario dalle straordinarie capacità di attrazione e dalle efficacissime valenze simboliche. Più di uno studioso ha pensato - forse non a torto - che si trattasse di un “monumento sacro” da contrapporre ai “monumenti laici” dell’imperatore Federico II, l’avversario della Chiesa romana allora - sul piano sia ideale sia pratico - più forte e pericoloso.

La novità normalizzata

A questo punto sarebbe necessario presentare i tratti della santità di frate Francesco quali vengono delineati nelle due lettere pontificie del 1228 (la Sicut phialae aureae e la Mira circa nos) in cui si motivano le ragioni della canonizzazione del Poverello. Qual è l’immagine di san Francesco fissata in quei documenti? Quali sono gli effetti di quella “nuova” santità? La prima domanda richiederebbe un discorso non breve e articolato. Occorre limitarsi alla seconda domanda, alla quale si può rispondere che la «vita e fama chiarissima» di frate Francesco, dono della Grazia divina che aveva riprodotto in lui solidi modelli veterotestamentari (quali Sansone, Abramo e Giacobbe), erano state e saranno capaci di chiamare alla conversione i peccatori con ricadute molto positive nell’«irrobustire la fede della Chiesa» e nel «confutare l’eretica pravità». La “novità” costituita da frate Francesco trovava la sua “normalizzazione” attraverso la sua santificazione. La sua unica e straordinaria esperienza cristiana è ricondotta all’unicità e alla straordinarietà proprie di “ogni” santo, che aveva celebrato la Chiesa e che la Chiesa cattolico-romana celebrava (e avrebbe continuato a celebrare).

Dell’Autore segnaliamo:
Intorno a francescanesimo e minoritismo. Cinque studi e un’appendice
Edizioni Biblioteca Francescana, Milano 2010, pp. 252