Biguzzi 01La rincorsa alla stella polare


La pace, pur se utopia, va perseguita porgendo l’altra guancia


di Giancarlo Biguzzi

docente emerito di Nuovo Testamento all’Università Urbaniana e al Pontificio Istituto Biblico

 

Dalla nutella all’eredità

Da piccoli si litiga per la nutella, da grandi per l’eredità e, tra popoli, per acqua, petrolio e diamanti. Spesso poi ce la prendiamo a morte con i milanesi, o con i calabresi o, soprattutto, con gli extra-comunitari. Questi sono i più infiammabili focolai di guerra. Che gli Achei abbiano fatto guerra ai Troiani per una donna bellissima o i modenesi ai bolognesi per una secchia rapita sono bazzecole, perché pace e guerra sono questione di materie prime su cui mettere le mani o di identità. Basterà parlare di quest’ultima.

Se in qualche vicenda io mi ritengo l’offeso, farò prevedibilmente guerra all’offensore. Se invece mi considero coinvolto in un concorso di colpa (perché i fossi si fanno con due sponde), allora cercherò un accomodamento pacifico. Farò poi guerra al musulmano se considero ogni musulmano come colui che con le nostre leggi mi conquista e con le sue mi governerà. Ma se mi considero figlio dell’universale paternità divina, allora cercherò di vincere l’aggressività ideologica dell’altro con la mitezza evangelica e con la fermezza che difende l’identità mia e dei miei figli. Di per sé, nell’epistola agli Efesini c’è di più, perché configura chiaramente quell’identità superiore.

Quello agli Efesini è uno scritto che ad ogni linea oppone il “noi” dei cristiani provenienti dal giudaismo e il “voi” dei cristiani provenienti dalle altre genti che, con un anacronismo ormai universalmente invalso, noi chiamiamo “i pagani”. L’autore scrive ad esempio: «noi che già prima abbiamo sperato nel Messia» (1,12) e, rispettivamente: «anche voi, dopo avere ascoltato il vangelo di salvezza, avete creduto» (1,13). Verso la fine del primo secolo le due diverse preistorie stavano riaffiorando e portando a una divaricazione dei due tronconi del cristianesimo primitivo. Come negli anni Cinquanta Paolo aveva chiesto ai giudeo-cristiani di fare spazio agli incirconcisi, ora questo autore (un grande autore, un secondo Paolo) chiede agli etnico-cristiani di non disdegnare i circoncisi: «Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto […] avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace» (Ef 4,2). Una chiamata superiore aveva dunque unito le due diverse identità “premessianiche” in un’identità più alta. E allora l’autore illustra con la dovizia di sette componenti il “vincolo della pace”: un solo corpo, un solo spirito, una sola speranza, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo e un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti (cf. 4,4-6). Che si provenisse dall’Israele storico o dalle genti non era più il fattore identitario decisivo.

 

Biguzzi 02Il muro abbattuto

Poco prima l’autore aveva scritto uno dei testi più belli e lapidari del NT: «Egli (il Cristo) è la nostra pace» (2,14). La pace era precedentemente impedita dal muro delle due diverse identità, ed Efesini è la lettera del muro abbattuto e dell’inimicizia vinta, così che da due popoli contrapposti la croce di Gesù ha fatto una sola entità: non ci sono più vicini e familiari (i giudei) né lontani o stranieri (le genti). C’è invece Gesù come pietra angolare su cui è costruito un solo popolo, un solo tempio santo nel Signore (2,19-22). Tutto questo ha oggi molto da insegnare al movimento ecumenico: se si vuole camminare in avanti si deve parlare meno della storia delle singole confessioni cristiane e di più del Cristo. Meno ecclesiologia, dunque, e più cristologia.

Il conseguente proposito del buon cristiano, e di ogni uomo e donna che vogliono essere tessitori di pace (Mt 5,9), deve dunque essere il seguente: «Prima di aprire le ostilità con qualcuno, mi devo chiedere con quale delle componenti della mia identità voglio davvero autodefinirmi». L’identità che deve muovere il cristiano è quella data dal Cristo e, se il non-credente o il musulmano non vogliono sentir parlare né di santi né di madonne, allora sarà ugualmente Gesù ad ispirarmi, anche se dovrò tenerlo nell’anonimato.

C’è di mezzo, comunque, il problema dei problemi. Ammesso che io davvero voglia la pace, resta la questione sollevata dal Salmo 120,7 che dice: «Io sono per la pace, ma quando ne parlo, essi vogliono la guerra». Senza dire che Gesù, il profeta dell’amore e della riconciliazione, non è morto nel suo letto ma di morte violenta. La risposta di Gesù è quella del porgere l’altra guancia. Al riguardo, Joachim Jeremias (Dresda 1900-† Gottinga 1979) faceva notare che Mt 5,39, parlando di schiaffo «sulla guancia destra», intende il manrovescio (Gesù riteneva buona la mano destra, cf. Mt 6,3), e il manrovescio era lo schiaffo dato all’apostata (cf. Gv 18,23). Ecco: se ti percuotono come apostata perché ti sei fatto mio discepolo - dice Gesù -, non retrocedere e sii fedele alla nonviolenza evangelica. La pace dunque è da cercare costi quel che costi, ma bisogna aggiungere che è impossibile.

 

Non è possibile, ma ci credo

È ben vero che, secondo gli antichi, Gesù sarebbe nato toto orbe in pace composito, ma la pax augustea è una felice invenzione propagandistica di chi usava il guanto di velluto e il tallone del padrone. A garanzia della pace oggi c’è l’ONU, nella quale hanno il diritto di veto quelli che una volta venivano chiamati “i quattro grandi”, i quali a metà del secolo scorso hanno bensì portato la pace dove c’erano abominevoli dittature, ma hanno raggiunto lo scopo sganciando dal cielo a migliaia e migliaia le bombe, non esclusa quella atomica.

La pace è un’utopia. La pace al singolare non è possibile. Sono invece possibili le paci, al plurale, come quella di Mozambico, Angola o Irlanda del Nord, per quanto siano imperfette o precarie. E che dire o fare allora circa l’aggressore ostinato e pervicace, che nella storia non mancherà mai? «Imperet tibi Dominus» (Sia tuo giudice il Signore), dice la dimenticata lettera di Giuda a proposito dell’arcangelo Michele che non osò emettere una sua accusa (v. 9). Resta, comunque, che la pace e ogni utopia sono come la stella polare che è irraggiungibile ma che indica la via.