Parliamo di eutanasia, non per il gusto di stravolgere gli enunciati di teologia morale, ma proprio per il desiderio di dialogare anche con chi non imposta la sua vita sui nostri principi; per approfondire un tema complesso e pieno di sfaccettature, che non merita di essere liquidato sommariamente, trincerandosi dietro generalizzanti “valori non negoziabili”. Lo facciamo attraverso l’analisi del film “Million dollar baby” di Clint Eastwood e il fumetto “Mater morbi” di Roberto Recchioni e Massimo Carnevale.

Alessandro Casadio 

PERIFERICHE A million dollar baby okMillion Dollar Baby

Un film di Clint Eastwood
Distribuito da Rai Cinema – 01 Distribution (2004)

È segnato dal tempo il viso di Clint Eastwood in questo film che ha prodotto, diretto e interpretato, oltre a scriverne interamente la colonna sonora. Ed è insolitamente dolce nei panni di un ruvido allenatore di pugili, abituato da una vita ad applicare la strategia del proteggere se stessi sul ring come nelle relazioni, dopo aver consumato una dolorosa e irreversibile rottura con la propria famiglia. La sfida di Frankie Dunn è infatti quella di imparare nuovamente a fidarsi dei sentimenti, che si presentano sotto forma di una giovane donna determinata a farsi strada nel mondo della boxe. Maggie Fitzgerald, la ragazza da un milione di dollari che ha il volto di Hilary Swank, è una a cui piace stendere gli avversari al primo colpo. La metafora è utile per descrivere in poche parole la miscela di determinazione, paura, diffidenza e speranza che anima chi dalla vita non ha avuto nulla, ma è deciso a guadagnarsi un’occasione. Con poche concessioni allo spettacolo, il film racconta una storia di impegno e sacrificio per raggiungere, partendo dal nulla, un obiettivo ambizioso. È lo sfondo, questo, in cui si inquadra uno dei temi della pellicola: la riconquista del senso della famiglia e dei legami padre-figlia, anche se non necessariamente determinati dalla parentela di sangue. La famiglia è un concetto astratto e ben si applica al gruppo di persone protagoniste della pellicola, in contrapposizione alle famiglie di sangue, devastate da incomprensioni e cinismo, tanto da indurre personaggi e pubblico ad un’approfondita riflessione sulla realtà dell’eutanasia, come possibile protettrice della dignità umana, vilipesa dalla crudeltà umana. Clint Eastwood riflette dolorosamente sulla difficoltà di preservarsi dai duri attacchi dell’esistenza. Solitudini, rapporti affettivi falliti, delusioni mettono a dura prova la fiducia in essa. Il regista cerca una risposta alle inquietudini nella fede in Dio. È difficile pensare, infatti, che non ci sia un po’ di Eastwood in quel Frankie che ogni giorno assiste alla messa e tormenta il sacerdote con assurdi quesiti sulla natura divina.