Sistole e diastole, movimenti dell’unico cuore

Chiesa e Chiese nel Nuovo Testamento

di Valentino Cottini
biblista e islamista

Cottini1Unità e pluralità

La Chiesa una nasce plurale. Non è un paradosso. Gli scritti del Nuovo Testamento, che documentano i primi passi della comunità chiamata a un certo momento di “cristiani” (At 11,26), mostrano questa pluralità e diversità. In essi si trova spesso l’espressione “le Chiese”, al plurale. La guida dello Spirito Santo, con la sapienza di pastori illuminati, le comporrà gradualmente in unità. Nel Nuovo Testamento l’unità della Chiesa che proclamiamo nel credo (credo la Chiesa una) non nasce dunque preconfezionata, non è frutto di uniformità ma di comunione (koinônía) delle diversità. L’unità si polarizza attorno alla fede in Dio Padre che ha risuscitato il figlio Gesù crocifisso con la potenza dello Spirito Santo; la diversità si colloca sulla linea delle strutture, della cultura, degli usi, delle accentuazioni. Unità e diversità nella Chiesa primitiva seguono dunque il ritmo vitale della sistole e della diastole, con il collante della carità, la quale esige il discernimento del vero dal falso e nello stesso tempo rende capaci di accoglienza. Mi limito solo a qualche esempio.

Il “concilio di Gerusalemme”

La redazione del capitolo 15 degli Atti degli Apostoli è complessa e un po’ faticosa. Ma l’intento di Luca è evidente: si tratta di comporre la diversità di due Chiese che continueranno a sussistere a lungo in maniera autonoma ma riconoscendosi e accogliendosi reciprocamente. Il dissidio tra la “Chiesa della circoncisione” e la “Chiesa della gentilità” matura ad Antiochia di Siria. Il problema è presto detto: data l’ebraicità di Gesù, per diventare cristiani i pagani devono passare attraverso il giudaismo (circoncisione e legge di Mosè) o basta loro credere in Gesù Cristo morto e risuscitato? Per dirimere la questione, Paolo e Barnaba vengono inviati a Gerusalemme, la Chiesa madre, dove incontrano Giacomo, il «fratello del Signore», che guida la Chiesa locale giudeo-cristiana, e l’apostolo Pietro. Le due parti si confrontano apertamente. Poi prendono la parola Pietro e Giacomo. Il primo ricorda che Dio, precedendo ogni decisione umana, ha concesso lo Spirito anche ai pagani come agli ebrei, e conclude: «Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati, così come loro» (At 15,11). Giacomo conferma, mettendo tuttavia dei paletti: vero quanto ha affermato Pietro, ma «solo si ordini loro (agli ex pagani) di astenersi dalla contaminazione con gli idoli, dalle unioni illegittime, dagli animali soffocati e dal sangue» (At 15,20), tutte pratiche che i giudeo-cristiani non potevano tollerare. La motivazione è decisiva: «Mosè ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe» (v. 22). Detto in altri termini: le Chiese giudeo-cristiane continuino pure a mantenere le proprie usanze; le Chiese che vengono dal paganesimo si sentano pure libere dalle medesime usanze; le Chiese composte di cristiani “misti” siano fondate sul rispetto e l’accoglienza, badando gli uni a mantenere saldo il principio che l’essenziale è la fede nel Dio di Gesù Cristo e gli altri a non offendere i primi con comportamenti intollerabili.
Se questi pronunciamenti sembrano validi, nella situazione concreta, per “tutte” le Chiese, la lettera degli apostoli che segue immediatamente (vv. 22ss) si rivolge, con le medesime prescrizioni, «ai fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilicia», quindi a Chiese particolari. Ed è interessante notare che Paolo, nel suo epistolario, non accenna mai a queste condizioni. Le Chiese da lui fondate seguono, su questo tema, le regole di una grande libertà dal punto di vista degli usi e costumi ebraici, come emerge nella questione delle carni offerte agli idoli (1Cor 8-10): «Tutto ciò che è in vendita sul mercato mangiatelo pure, senza indagare per motivo di coscienza» (10,25) ma «se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello» (8,13). Verità nella carità, tra le Chiese e all’interno della medesima Chiesa.

Sottolineature

Ma le differenze di impostazione tra Chiese non si limitano solo a usi e costumi di natura prevalentemente culturale (i quali, tuttavia, determinano l’appartenenza e l’identità di una singola comunità). Un secondo esempio: le lettere di Paolo e la lettera di Giacomo sul problema spinoso del rapporto tra fede e opere, fonte di dispute infinite nella storia della Chiesa. «L’uomo non è giustificato dalle opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo», dice Paolo (Gal 2,16), portando a sostegno la fede di Abramo, il quale ha ricevuto la promessa “prima” di aver compiuto delle opere, come la circoncisione o il sacrificio del figlio (cf. Gal 3,6ss); «Insensato, vuoi capire che la fede senza le opere non ha valore?», ribatte Giacomo (Gc 2,20), portando come esempio ancora Abramo, per dimostrare che «l’uomo è giustificato per le opere e non soltanto per la fede» (Gc 2,24). Certo, anche Paolo dice che la fede deve essere seguita dalle opere che la sostanziano e anche Giacomo afferma l’importanza della fede. Ma i punti di partenza, l’impostazione dottrinale e pedagogica, su cui le rispettive Chiese sono costruite, sono diversi e determinanti per l’impostazione ecclesiale. La lettura “canonica” della Chiesa “una”, con somma sapienza, accosta le due prospettive senza eliminarle, come due polarità che non si elidono ma si completano rimanendo in tensione.

Evangelo ed evangeli

Ma forse l’esempio più significativo di unità e pluralità della Chiesa è l’“evangelo quadriforme”. Ogni evangelo nasce in e per una comunità ecclesiale determinata, che testimonia a suo modo la fede nell’unico Signore. La Chiesa di Matteo non è quella di Marco o di Luca e le chiese dei Sinottici sono certamente differenti dalla Chiesa di Giovanni. Per rendersene conto, basta notare ciò che ognuno degli evangelisti ha in proprio o come racconta a suo modo un brano che, nella sostanza, ha in comune con gli altri. Ne emerge un volto particolare di Gesù, che si riflette in un volto particolare della Chiesa che lo testimonia. Anche la figura evangelica di Gesù, dunque, è raffigurata dalla comunione dei quattro evangeli canonici, è una “unità di comunione”, che rispecchia la verità della comunione nell’unico Dio Trinità. E sul modello della Trinità si costituisce anche la Chiesa “una” del Nuovo Testamento: salda nell’unità della fede, vivace nella pluralità della sua vita e delle sue espressioni. Gli scritti del Nuovo Testamento, in quanto ispirati e punto di riferimento imprescindibile per i cristiani, diventano “pedagogia divina” anche per l’oggi della Chiesa.