Piccola apocalisse da scrivania 

Dio muove la fine del mondo e vince in tre mosse

 di Pietro Casadio
della Redazione di MC 

PCasadio 1L’ottavo sigillo

 Un giorno il buon Dio mi invitò a fare una partita a scacchi. Ero in camera mia, alla scrivania, sepolto fra migliaia di libri utili e inutili per scrivere la tesi, quando sento suonare il campanello. Un po’ indispettito mi alzo, vado ad aprire e mi trovo davanti un elegante postino con un’uniforme tutta bianca splendente.

Al taschino della camicia sta appesa una targhetta: Sky Express, e sotto: Gabriele. Le inventano tutte pur di essere originali, penso io, ma fingo ospitalità e lo invito a entrare. Lui mi sorride, ringrazia cortesemente, ma dice che no, ha tanto da lavorare e non si può proprio fermare, poi mi consegna fra le mani una raccomandata, alza i tacchi e se ne va. Io, felice di essere sembrato ospitale, apro la busta e inizio a leggere. Potete immaginare lo stupore, quando scoprii che era una lettera del buon Dio che mi invitava da Lui per una “semplice e festosa” partita a scacchi. Insomma, Dio! Non supponevo che l’eco della mia bravura arrivasse tanto in alto! A dir la verità ero anche piuttosto fuori forma, ma tant’è, con Dio non si discute, perciò abbandonai la tesi, feci al volo lo zaino e mi fiondai fuori dalla porta.

 Poche ore dopo mi trovavo in una situazione piuttosto singolare. Eravamo lì, io e Dio, attorno a un tavolinetto, solo la scacchiera a dividerci. Un sottile velo di musica creava la giusta atmosfera, preservando la concentrazione. Il buon Dio era vestito casual: un paio di braghe corte a quadri bianchi e neri e una maglietta colorata con su scritto “peace & love”. Con la testa poggiata sul pugno mi guardava e sorrideva, aspettando mite la mia mossa. Io c’avevo una tremarella pazzesca alle gambe ed ero un po’ incupito perché mi stavano andando a monte i piani. Sarò sincero: avevo sottovalutato l’avversario. Pensavo che Dio fosse come le mamme che sono troppo buone per vincere, e invece m’aveva già seccato una torre e due cavalli e io niente. E il bello è che se la rideva pure: ogni tanto, sfrigolandosi la barba fra le dita, mi diceva ironico: «i pedoni, la chiave sono i pedoni, basi tutto sui pezzi forti, ma sono i piccoli che fanno vincere». 

L’incertezza dei “si dice”

 Dopo una mezz’oretta di gioco il buon Dio mi chiese se avevo fame o sete; io presi solo una birra. Stupidamente, aggiungerei, perché quando ho una birra in mano mi viene sempre da filosofeggiare e dire corbellerie e quella volta non fece eccezione:

 «Dio, tu come te la immagini la fine del mondo?»

 Dio fece la mossa (mi mangiò un alfiere), e alzò lo sguardo sorridendo.

 «Cioè», continuai io un po’ allegro un po’ malinconico, «pensi che sarà così? Pensi che sarà come gli scacchi? Ce ne andremo uno alla volta, mangiati da chissà che, finché non saremo finiti tutti? E poi ci ritroveremo in qualche altro luogo, in un qualche dove, e là saremo diversi e felici?»

 «Ah, felici sicuramente» rispose lui allegro.

 «Ma che volto avremo? E come ce ne andremo?»

 «Oh, non saprei…» rifletté ridendo sotto i baffi «Meteoriti? L’esplosione del Sole? Ci sono tante possibilità. Io pensavo a qualcosa di molto scenografico: mostri marini, uccelli leggendari, turbini nell’aria e nelle acque, cose così»

 «Non si possono mai fare discorsi seri con Te» dissi sconsolato.

 «Perdonami. è che parlare di apocalisse mi mette sempre allegria e se devo essere sincero non vedo l’ora!» esclamò fregandosi le mani.

 «Ma quindi credi che sarà bello là dove andremo, in paradiso?»

 «Caro ragazzo, in paradiso ci si va per far festa ed è tutta l’eternità che la preparo, questa festa. Credi forse che non sarà bello?»

 «Ah, non si sa mai. Girano voci che non sono molto promettenti»

 «Perbacco, cioè?» 

«Dicono che si sta tutto il tempo sulle nuvolette a suonare l’arpa. Sai te che divertimento! E quel che è peggio, pare che si possano fare solo canti di chiesa…»

 «L’arpa? Canti di chiesa? E chi racconta queste fesserie?» 

«Eh! Sarà da mille anni che lo dicono!» 

«Mmm… bisogna che riveda il settore pubblicitario, sennò non ci vorrà venire nessuno in paradiso. Comunque, caro mio, te lo assicuro: sarà bellissimo, parola di boy scout. Ma ora gioca che stai perdendo»

 

 fot p. 26Scacco matto

 Un po’ rincuorato feci spallucce e rincominciai a concentrarmi sulla partita che minuto dopo minuto volgeva sempre più verso un destino nefasto. Tentai di suggerire a Dio «gli ultimi saranno i primi», con la speranza che, per vincere, mi facesse vincere, ma non ci cascò: ridacchiando fra sé, si pappò la mia povera regina come nulla fosse e mi guardò beato. Visto che gli scacchi andavano male ma la compagnia era apprezzabile, per tirarla per le lunghe ricominciai a incalzarlo con le mie infinite domande: 

«Ma sei sicuro che quando saremo in paradiso non ci mancherà la nostra vita terrena? Insomma, io ci sto bene qua e la vita non mi dispiace»

 «Beh, non per nulla l’ho creata io»

 «Ma saremo trasformati in qualcosa di molto diverso da come siamo ora? Diventeremo luminosi? Perché, non è che mi entusiasmi troppo l’idea di essere trasformato in lampadina»

 «Ah! Tu leggi troppo Dante» mi disse benigno. Poi, forse assillato, forse incuriosito dai miei assilli e dalle mie curiosità, si alzò in piedi e incominciò a vagare per la stanza accarezzandosi la barba. Ad un tratto si fermò e mi fissò negli occhi. Aveva la compiaciuta espressione di un bimbo che sta per compiere una marachella:

 «Tu cosa suggerisci? Che gran finale proponi per l’umanità?»

 Rimasi un po’ spiazzato a dire il vero. Lui tornò a sedersi, allungò le gambe e si dispose all’ascolto. Io ci pensai un pochino, ricordandomi che ero al cospetto di Dio e non potevo dire troppe fesserie. Ma tant’è, i buoni propositi, si sa, vanno sempre in vacca:

 «Io… io non farei un finale»

 «Mmm… Spiegati» 

«Insomma, se fosse per me non farei una fine del mondo. Niente apocalissi, niente meteoriti o cose simili, niente di niente. Basterebbe un seme, uno stimolo iniziale, qualcosa che metta in moto un ingranaggio. Qualcosa che pungoli la volontà del mondo e degli uomini, spingendoli a trasformarsi. Vorrei questo, sì: una lenta e inesorabile trasformazione, ma non esteriore, tutta interna e silenziosa. Vorrei che ogni uomo amando ogni altro uomo gli desse una quantità di amore sufficiente per renderlo immortale. Vorrei che il nostro corpo si sentisse abbastanza amato per diventare incorruttibile ed eterno. Anche i morti allora non sarebbero mai morti e potremo riabbracciarli e amarli davvero. Che nulla cambi, se non tutto e che tutto cambi, ma apparentemente in nulla. Questo vorrei»

 Dio mi guardò. Il suo sguardo era penetrante e mi scuoteva l’anima: era dolce e violento allo stesso tempo. «Solo un seme eh?». Sorrise ancora: «Beh, per ora c’è una cosa che posso dirti» sorrise «scacco matto».

 Che scemo, fregato da un pedone.