La parabola verso il Regno di Dio

Matteo, il vangelo della Chiesa

di Luciano Manicardi
monaco di Bose, biblista

Matteo, il vangelo della CManicardi1hiesa: perché?

«Matteo è stato il vangelo della Chiesa per eccellenza» (Raymond Brown). Le citazioni che fanno della dimensione ecclesiale del primo vangelo la sua caratterizzazione principale si potrebbero moltiplicare. Anche se questa dimensione è propria di ciascun vangelo che sempre esprime la fede di una comunità cristiana e ad una precisa comunità è destinato. Inoltre, Matteo, come ogni altro vangelo, è anzitutto e soprattutto cristocentrico. Per tre volte vi si parla di «vangelo del Regno» (Mt 4,23; 9,35; 24,14), non della Chiesa. E il regno di Dio, per Matteo, è realtà cristologica (cf. Mt 16,28 e 17,1-9). Come ha ben compreso Origene, per Matteo Gesù è l’autobasileía (Commento a Matteo XIV, 7,10.17), il regno di Dio in persona. Volendo sintetizzare l’immagine della Chiesa che emerge dal primo vangelo potremmo dire che essa «è la convocazione dei discepoli di Gesù, i quali, raccolti attorno al loro Signore, si impegnano ad attuare la volontà di Dio Padre così come Gesù l’ha rivelata e praticata» (Rinaldo Fabris).
A cosa si deve allora questa “fama” del primo vangelo? Anzitutto al fatto che Matteo è l’unico vangelo che contiene il termine ekklesía (in Mt 16,18 e, due volte, in 18,17). È anche l’unico vangelo che contiene il testo del primato di Pietro («Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa»: Mt 16,18). L’orientamento etico di Matteo, la sua maggiore organicità rispetto a Luca, l’abbondante quantità di insegnamenti in esso presenti, la sua particolare strutturazione basata sulla divisione in cinque discorsi di Gesù, sono tutti elementi che hanno reso questo vangelo particolarmente adatto a fini pastorali e catechetici, per l’iniziazione cristiana dei nuovi convertiti e per l’edificazione delle comunità cristiane.


Inoltre, il fatto che esso occupi fin dall’antichità il primo posto nell’ordine dei quattro vangeli riflette probabilmente l’idea, sostenuta già da Origene, della sua priorità cronologica sugli altri vangeli. La convinzione della sua maggiore antichità (oggi non più sostenuta dagli studiosi che la attribuiscono a Marco) e dunque della sua maggiore vicinanza all’età apostolica, lo hanno reso particolarmente autorevole nella Chiesa antica. Secondo Agostino la successione Mt-Mc-Lc-Gv rispecchierebbe l’ordine cronologico di composizione e implicherebbe che ogni evangelista si sia servito dell’opera dei predecessori: Mc avrebbe abbreviato Mt, quindi Lc e poi Gv si sarebbero serviti dei precedenti vangeli. Matteo contiene pressoché tutto il materiale di Marco e anche molto di più. E poiché tra questo “di più” si trova il discorso della montagna con le beatitudini non stupisce che Matteo abbia goduto di tale “fortuna” nella vicenda ecclesiale. Anche oggi è la redazione matteana del Padre nostro (Mt 6,9-13), non quella lucana (Lc 11,2-4), che viene usata nella liturgia e memorizzata nella preghiera personale, ed è la redazione matteana delle beatitudini (Mt 5,3-12), non quella lucana (Lc 6,20-23), che è universalmente nota.
Non stupisce pertanto che Matteo sia stato il vangelo più citato dai Padri della Chiesa e il più commentato nella letteratura cristiana antica, il più utilizzato nella liturgia e nei vari ambiti della vita ecclesiale.

Ripensare Matteo come vangelo della Chiesa

Come recuperare la dimensione ecclesiologica di Matteo prescindendo da fattori estrinseci come la presenza del termine ekklesía o erronei come la sua pretesa priorità cronologica? Il passo di Mt 28,16-20, spesso ritenuto il “manifesto” del primo vangelo, presenta il comando di Gesù ai discepoli (mathetaí): «Fate discepole (matheteúsate) tutte le genti» (Mt 28,19). Diventare cristiani significa, per Matteo, diventare discepoli. Dai discepoli storici di Gesù, che sono all’origine della Chiesa, si passa ai futuri cristiani nella storia che trovano nei discepoli il loro modello.
In quanto discepoli, i cristiani nella storia sono chiamati a porsi in ascolto degli insegnamenti di Gesù (cf. Mt 28,20): i lunghi discorsi di Gesù (Mt 5-7; 10; 13; 18; 24-25, a cui alcuni aggiungono il capitolo 23) stabiliscono la Chiesa nella postura della discepola, impegnata nell’ascolto della parola del Signore per metterla in pratica e fare la volontà di Dio. La coerenza tra il dire e il fare si fonda sull’ascolto obbediente.
Come i discepoli, anche la Chiesa nella storia è una povera Chiesa, una Chiesa in cui la fede è sempre poca (Matteo predilige il tema della oligopistía, “poca fede”), una Chiesa che unisce gesti liturgici e dubbi di fede («i discepoli si prostrarono, però dubitarono»: Mt 28,17). Essa è chiamata a strutturarsi in fraternità combattendo i rischi sempre incombenti del clericalismo, del privilegio, del carrierismo, della vanità e dell’ambizione: «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). L’ascolto fattivo della parola del Signore fa dei discepoli la nuova famiglia di Gesù (Mt 12,46-50) e Gesù stesso chiama i suoi discepoli «miei fratelli» (Mt 28,10).
Il discorso missionario (Mt 10) in cui Gesù impartisce direttive ai discepoli, ma a cui non fa seguito alcuna partenza dei discepoli stessi, pone in stretta continuità la missione di Gesù e quella della Chiesa: la via della Chiesa è la via la cui traiettoria è stata disegnata da Gesù con la sua vita. Il discorso comunitario (rivolto ai soli discepoli: Mt 18,1) affronta il problema del male e degli scandali che attraversano la compagine ecclesiale e fa della Chiesa il luogo della correzione fraterna e del perdono, della corresponsabilità e della sinodalità (Mt 18,18). La Chiesa abbisogna di un’autorità e Pietro svolge un ruolo preminente tra i discepoli e come fondamento della Chiesa: il potere di sciogliere e legare accordato a Pietro in Mt 16,19 rinvia al compito di vigilanza sulla trasmissione dell’insegnamento di Gesù. Pietro adempie il suo ministero nella misura in cui si fa riflesso fedele dell’insegnamento di Gesù. Situata nella storia, la Chiesa è posta di fronte all’orizzonte del giudizio. Essa non è il Regno di Dio, che è realtà futura ed escatologica, tutt’al più ne è parabola e narrazione, ma sempre all’interno della propria imperfezione e debolezza. La Chiesa è anche situata fra Israele e le genti. Ma più che i toni antigiudaici il confronto tra Chiesa e Sinagoga è dominato, in Matteo, dall’idea della reversibilità della storia. Come il non riconoscimento di Gesù quale Messia ha mostrato che l’appartenenza al popolo di Dio non è garanzia di salvezza, così non lo è nemmeno l’appartenenza alla Chiesa. Se la Chiesa nasce dallo scacco di Israele, la Chiesa non è per nulla al riparo dal ripetere un’analoga caduta. Il capitolo 23 di Matteo parla di scribi e farisei, ma si rivolge ai cristiani!

Dell’Autore segnaliamo:
Memoria del limite. La condizione umana nella società postmortale
Vita e Pensiero, Milano 2011, pp. 100