Un’occhiata anche al dopodomani

Allungare al futuro l’agenda dei politici, mantenendo il contatto con la gente

di Giorgio Campanini
sociologo

Campanini 1Rispetto ai regimi autoritari e, in generale, conservatori - i quali hanno per millenni dominato la scena politica - la democrazia ha un grande pregio che rappresenta insieme un grave limite: quello della permanente “provvisorietà” delle classi dirigenti.

In democrazia, nessuno è al potere, od anche titolare di una carica, per sempre (alcune rare eccezioni, come quella dei “senatori a vita”, assai limitati comunque di numero, non fanno che confermare la regola). In democrazia si è eletti - a tutti i livelli, dall’amministrativo al politico - per un arco di tempo limitato e precisato dalla legge. Le “eccezioni” e le “proroghe” vi sono sempre state, in presenza di situazioni eccezionali (tipica lo stato di guerra) ma altro non hanno fatto che confermare la regola.

Non pochi Paesi hanno conosciuto un modo per sorpassare e di fatto vanificare tale regola, rieleggendo “democraticamente”, a volte per decenni, le medesime persone: ma ci si può legittimamente domandare se questi Paesi possano essere considerati autenticamente democratici.

I rischi del mandato a termine

I rischi del “mandato a termine” - quattro, cinque, sette anni, in rarissimi casi solo oltre - sono stati attentamente soppesati dalle classi politiche emergenti in Europa a partire dal Settecento e che hanno forgiato i moderni sistemi rappresentativi; ma, alla fine, si è ritenuto (e le più ricorrenti esperienze mostrano la validità di questo assunto) che essi fossero meno gravi di quelli rappresentati dalla cristallizzazione di classi dirigenti non sottoposte al giudizio degli elettori e di fatto inamovibili.

Fra questi rischi ve ne è, per altro, uno che si profila con sempre maggiore evidenza nelle democrazie del XXI secolo: quello di fare aleggiare sulla classe politica un’aura di permanente provvisorietà: e ciò soprattutto quando le scelte che si impongono sono, o dovrebbero essere, di tempo lungo. Come conciliare, ad esempio, l’esigenza di determinare i tempi di esecuzione di una grande opera - che potrebbero durare un decennio - con il rispetto delle scelte degli eventuali successori di coloro che quell’opera hanno voluto ed immaginato? Molte decisioni politiche vanno assai al di là della scadenza di una legislatura - nazionale o locale - e la loro concreta realizzazione è affidata al “buon volere” (non sempre riscontrabile) dei successori. Ma, allora, non fare niente che superi l’arco temporale di una legislatura, rinunziando di fatto a governare?

L’ampliamento del consenso

La via maestra da seguire per non farsi rinchiudere in questa sorta di “vicolo cieco” è quella dell’allargamento del consenso per tutte le decisioni che si proiettino verso il futuro, assai al di là della scadenza del mandato di coloro che le pongono in essere, nei Parlamenti nazionali o nei consessi regionali e locali. Decidere insieme su ciò che condiziona il futuro - sino a coinvolgere, al limite, il destino di intere generazioni - appare una regola difficilmente contestabile e che indica lo stile di agire delle democrazie mature; mentre “immature” non possono che definirsi - ed è forse questo il caso dell’Italia - le classi dirigenti che, forzando la mano, conducono in porto, senza un adeguato consenso, provvedimenti che di lì a poco saranno contestati e forse rovesciati da nuove maggioranze.

Tale ampliamento della base di consenso induce a ritenere, entro ragionevoli limiti, che - anche nell’ipotesi di un cambio di maggioranza - le scelte in qualche modo condivise, e non imposte per la forza dei numeri, non siano poi rinnegate (ciò che non esclude eventuali modifiche ed aggiustamenti suggeriti non tanto da istanze rivendicazionistiche ma dalla concreta esperienza).

Campanini 2Alcune indicazioni pratiche

Da queste semplici riflessioni - riduzione un poco schematica di una vastissima letteratura politologica - derivano anche alcune importanti indicazioni per chi agisce in politica, soprattutto se prende le mosse da una fede che si fa prassi e si esprime in quello stile di servizio alla città al quale il cristiano è chiamato e che è stata sempre affermata dalla Chiesa e luminosamente riproposta dalla “teologia politica” del concilio Vaticano II (si veda, in particolare, la Gaudium et Spes).

La prima e fondamentale indicazione riguarda la necessità di operare per il bene comune e non per un interesse di parte. Ciò implica l’esigenza di programmare un futuro per tutti i cittadini, e non solo per quelli al cui voto si deve la propria elezione.

Una seconda linea di azione si fonda sulla ricerca del consenso più ampio possibile, rinunziando a rigidezze e ad esasperazioni della propria posizione: in dialogo sincero con tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

La terza e forse più importante istanza concerne l’attitudine a guardare lontano, senza lasciarsi imprigionare nell’attualità Né farsi condizionare oltre misure dalla ricerca del consenso: oltre tutto non sempre i cittadini-votanti sono degli sprovveduti e il più delle volte essi sono in grado di discriminare gli autentici impegni dalle vacue promesse o dalle suggestioni demagogiche.

Alla fine ciò che appare essenziale è mantenere costantemente i contatti con la gente, al di fuori dei “sacrari” della politica, che rischiano di diventare luoghi chiusi ed autoreferenziali: luoghi, appunto, nei quali circola soltanto il presente o si guarda appena al domani (mai al dopodomani!), e dunque dove la cattiva politica scaccia la buona, quella che si pone seriamente e responsabilmente il problema di «nuove generazioni - ancora non nate e formalmente senza diritti - alle quali non può non guardare, nel valutare le proprie scelte, una politica autenticamente responsabile, pur sapendo di incorrere nel rischio della “impopolarità”».

G. Campanini
Testimoni nel mondo. Per una spiritualità della politica
Studium, Roma 2010, pp. 73