Nelle tue mani affido il futuro

Francesco guarda avanti, con fiducia nella Provvidenza

di Dino Dozzi

dozzi 1Francesco guarda al futuro con fiducia: fiducia nella provvidenza divina, nella creatività continua dei frati, nella loro capacità di discernere la volontà del Signore nei vari tempi, luoghi e circostanze. Questa «regola della fiducia», oltre che fonte inesauribile del tradizionale «disordine» francescano, garantirà anche il suo perenne rinnovamento.

La parabola della donna nel bosco

Oddone di Cheriton è un sacerdote inglese, celebre predicatore, morto nel 1274. Nella sua opera Sermones super evangelia dominicalia, scritta nel 1219, raccoglie numerosi esempi e parabole. Fra queste, una riguarda Francesco d’Assisi: «Frate Francesco, alla domanda: Chi avrebbe nutrito i suoi frati, visto che accettava indifferentemente tutti, rispose: Un re rese incinta una donna nel bosco. Essa diede alla luce un figlio. Avendolo nutrito per un po’ di tempo, bussò alla porta del re, perché d’ora in poi provvedesse lui a sostentare il suo figlio. Appena la cosa fu annunciata al re, rispose: “Tanti uomini perfidi e inutili mangiano nella mia reggia; è ben giusto che mio figlio possa prendere il suo nutrimento tra loro”. E spiegando questa parabola, frate Francesco disse di essere egli questa donna che il Signore ha fecondato con la sua parola, per cui ha generato tanti figli spirituali. Se dunque il Signore provvede a tante persone ingiuste, non c’è da stupirsi che egli provveda fra gli altri ai propri figli» (FF 2247).

Lo studioso Giovanni Miccoli dice che l’originalità creativa della parabola, il linguaggio forte e realistico e la chiarezza della risposta depongono per la sua autenticità. Chi provvederà a tutti questi figli? Sarà il loro Padre che è nei cieli. Con chiarezza, semplicità e forza disarmanti emerge l’assoluta fiducia con cui Francesco guarda al futuro, affidato a Dio e alla sua provvidenza.

I servi inutili 

Nella Vita beati Francisci (n. 103: FF 500) di Tommaso da Celano troviamo una frase, giustamente famosa, che Francesco pronunciò al termine della sua vita: «Cominciamo, fratelli, a servire il Signore Iddio, perché finora siamo stati di poca o nessuna utilità».

Per Tommaso, la frase esprime l’umiltà di Francesco che, pur essendo «perfettissimo tra i perfetti» (1Cel 92: FF 481), ritiene di aver fatto ben poco cammino sulla via della santità. Secondo lo schema agiografico di Tommaso, i valori fondamentali sono l’ascesi e l’umiltà. Solo la malattia riesce a temperare un po’ l’eroismo iniziale della sua ascesi, e solo la sua umiltà gli fa dire: «Incominciamo fratelli». In realtà, invece, l’invito a ritornare alle origini non si riferisce ad una perfezione non ancora raggiunta o ad un rigore ascetico dovuto abbandonare, bensì all’atteggiamento evangelico di coloro che, dopo aver fatto tutto il proprio dovere, si sentono e si dichiarano «servi inutili», sapendo che ogni bene viene da Dio e che, di fronte a lui, non c’è alcun diritto da vantare (cf. Lc 17,10).

«Incominciamo, fratelli» esprime la necessità e la volontà di riadeguare continuamente la propria scelta evangelica alle nuove situazioni che la vita presenta. Quello che conta è la volontà di ricominciare ogni giorno da capo a vivere il vangelo nei vari tempi e nei vari luoghi. E l’invito di Francesco a ricominciare sempre da capo a «servire il Signore Iddio» esprime la fiducia che in ogni circostanza e ovunque lo si possa fare e, inoltre, che le circostanze stesse siano «segni dei tempi», occasioni propizie, sassolini bianchi in grado di indicare la strada buona per la sequela e il servizio del Signore. C’è qui fiducia nelle circostanze, qualunque esse siano, come segni provvidenziali, e fiducia nei frati che sapranno ogni giorno leggere una realtà sempre nuova come perenne kairós di risposta evangelica. Il futuro è visto con fiducia.

dozzi 2«Non abbiano altra regola» 

Una delle frasi che suscita più meraviglia negli Scritti di Francesco d’Assisi è quella che troviamo a conclusione della Rnb (XXIV, 4: FF 73): «E da parte di Dio onnipotente e del signor Papa, e in virtù d’obbedienza io, frate Francesco, fermamente comando e ordino che da queste cose, che sono state scritte in questa vita, nessuno tolga o aggiunga parola, né i frati abbiano un’altra regola».

Sapere che questa severa ingiunzione è citazione di Dt 11,32 non attenua la meraviglia, perché si conosce la riluttanza del Fondatore a scrivere una regola: si ostinava a pensare che fosse sufficiente il vangelo. Alla fine deve cedere alle pressioni incrociate di frati dotti e di curiali giuristi: scriverà una regola piena di frasi evangeliche. Ed ecco che al termine di tale regola ordina solennemente che «nessuno tolga o aggiunga parola» e che i frati «non abbiano altra regola». La prima impressione è che ci troviamo di fronte ad un rigido fondamentalista, ad un ostinato integralista, ma così non è.

Nel capitolo XXIV della Rnb, colpisce il fatto che la maggior parte dei verbi che Francesco usa non si riferiscono al mettere in pratica quanto scritto nella regola, ma al coglierne il senso. Qual è questo senso da cogliere? Dalla lettura attenta di tutta la regola appare che tale senso da cogliere sotto le numerose applicazioni ed esortazioni è il seguente: obbedire a Cristo, che parla nel vangelo, vissuto nella Chiesa, da fratelli minori. Allora si comprende come non si debba togliere nulla: tutto in essa è essenziale; e come non ci sia bisogno di aggiungere nulla: c’è già tutto l’essenziale. In ogni tempo e in ogni luogo i frati dovranno rispondere alla domanda: che cosa significa per noi qui e oggi obbedire a Gesù Cristo che parla nel vangelo vissuto nella Chiesa da frati minori?

Francesco affida il futuro alla fedeltà creativa dei frati, chiamati ad una continua attualizzazione dell’obbedienza a Cristo, dell’interpretazione del vangelo, della fedeltà alla Chiesa, dello stile fraterno e minoritico.

A pensarci bene, Francesco non ha inventato nulla, neppure la regola della fiducia e questo sguardo ottimistico sul futuro. Tutto questo l’ha inventato Dio, che ha affidato la sua parola divina alla parola umana, e la sua azione divina a mediatori umani. La cosa appare poi sconcertante in Gesù Cristo, che non scrive nulla e non dà ordine di scrivere: affida il ricordo e il significato di quanto dice e di quanto fa ad un gruppetto di pescatori, e a loro affida il compito di andare nel mondo intero ad annunciare la salvezza. Loro e i loro successori dovranno essere creativamente fedeli e fedelmente creativi nel portare al mondo la Parola di Gesù, nelle varie lingue di una continua Pentecoste. Con fiducia Gesù affida il futuro ai suoi discepoli. Con fiducia Francesco affida il futuro ai suoi frati. Entrambi sapevano che con loro ci sarebbe stato sempre quel grande amico, maestro e consolatore che è lo Spirito Santo, “il ministro generale dell’Ordine” (2Cel 193: FF 779).

Anche per noi oggi, se ci sono seri motivi di preoccupazione nel guardare il futuro, di ancor più consistenti ce ne sono per accoglierlo e prepararlo con fiducia. Con Gesù e con Francesco.