Un giorno da brividi
Ira e misericordia sono manifestazioni di un padre attento
di Stefania Monti
presidente delle suore clarisse cappuccine italiane, biblista
Dies irae
Il redattore del libro di Sofonia così recita la sua origine e precisa il tempo del suo ministero: «figlio di Cusì, figlio di Godolia, figlio di Amaria, figlio di Ezechia, al tempo di Giosia, figlio di Amon, re di Giuda».
Conosciamo quindi questo profeta attraverso una genealogia di quattro generazioni (1,1) - e in questo è un caso unico - e una preziosa indicazione temporale. Siamo negli anni successivi al 640 a.C. È un tempo tribolato, per molti aspetti abbastanza simile al nostro, perché pieno di illegalità e di incertezza.
Entrambe sono determinate dalla infedeltà di Giuda al Dio sempre fedele dello yahwismo. Ci sono stati appena prima due re: Manasse (687-642) e Amon (642-640), il cui regno è segnato dal sincretismo religioso drammaticamente descritto in 2Re 21, che meriterebbe senz’altro di essere riletto. I peccati di questo tempo sono ben sintetizzati dal profeta stesso: idolatria, sincretismo e indifferenza verso Dio. Sof 1,4-5 elenca infatti come normalmente e contemporaneamente praticate l’antica religione cananea ossia il culto di Ba’al coi relativi riti di fertilità, il culto assiro degli astri e l’astrologia, infine il culto di Milkom, dio degli Ammoniti. La religione d’Israele è mescolata a tutto questo e il Dio di Israele dimora indistinto in questa vera e propria selva di divinità.
Possiamo ben immaginare il tempio di Gerusalemme dove i sacerdoti celebrano in maniera indifferenziata l’uno e l’altro culto, e dove sono custodite immagini e oggetti cultuali diversi.
Il re Giosia (641-610 a.C.), sotto il cui regno il profeta esercita il suo ministero, tenta senza grande successo una riforma religiosa (2Re22ss) che va sotto il nome di deuteronomista.
Accanto a questo fenomeno vanno rilevati altri due fatti: la debolezza politica del regno di Giuda, sempre schiacciato dalle minacce della potenza assira, con cui tenta qualche alleanza, o a cui cerca di opporsi alleandosi con l’Egitto e il crescere di una classe sociale di imprenditori e affaristi senza scrupoli, che speculano alle spalle del popolo.
Dunque: confusione religiosa, inconsistenza politica ed economia dell’ingiustizia - tratti che percorrono anche il nostro mondo.
Di fronte a questa situazione il profeta annuncia il grande evento del giorno del Signore: è un giorno di guerra santa in cui Dio, come un guerriero, colpirà capi del popolo, «quanti vestono alla moda straniera» abbandonando la sobrietà che si conviene al popolo consacrato, chi compie atti superstiziosi («salta la soglia», 1,9) e chi vive di speculazione calpestando la giustizia.
È un giorno in cui il Signore lancia un urlo di guerra e in cui domina la tenebra; è il giorno dell’ira e della gelosia divine, in cui la collera di Dio dal paese di Giuda, a partire dal quartiere in cui si traffica e si commercia, si estende a tutta la terra coinvolta negli stessi peccati.
È il giorno in cui si compie la maledizione di Dt 28,29 che ricorda uno dei flagelli che hanno un tempo colpito gli egiziani: «Andrai brancolando in pieno giorno come il cieco brancola nel buio. Non riuscirai nelle tue imprese, sarai ogni giorno oppresso e spogliato e nessuno ti aiuterà».
Se Giuda ha pensato che Dio sia indifferente nei riguardi del suo comportamento infedele, tanto da dire «Egli non fa né bene né male» (1,12), in quel giorno, di cui è certa la venuta ma incerto il tempo dell’accadimento sarà paradossalmente costretto ad aprire gli occhi alle tenebre.
Come è noto è da questo testo di Sofonia che è nato l’inno Dies irae, che evoca un giorno da brividi e di tremendo giudizio. Giudizio che non deve essere attenuato o rimosso perché anche gli evangelisti, Matteo in particolare, lo ricordano attraverso alcune formule che ritroviamo al capitolo 25.
Un raggio di luce
C’è tuttavia un raggio di luce. Sofonia inizia il suo secondo capitolo con un’esortazione al pentimento e alla conversione: certo, il tempo è breve (per tre volte il profeta insiste su un «prima che» al v. 2), ma è ancora possibile raccogliere l’invito a «cercare il Signore». L’ira non è l’ultima parola e si può trovare riparo da essa, il cercare può ancora condurre all’obbedienza, alla giustizia e all’umiltà.
Ci saranno poi dei superstiti (2,9), un resto del popolo, nominato una sola volta, mentre il tema è caro e spesso ricorrente entro la cerchia dei profeti legati al mondo della riforma deuteronomista come Geremia e il Secondo Isaia.
Il testo dunque procede solenne, con assonanze e allitterazioni attraverso le quali si sente il suono della distruzione. La riforma di Giosia non ha portato gli effetti sperati (3,2ss) e l’ammonimento del profeta pare caduto nel vuoto, Dio chiede di aspettare con un imperativo (3,8) la manifestazione della sua ira. Il giudizio investe tutte le nazioni a partire da Gerusalemme.
Proprio cominciando dai lontani però ci sarà un ritorno, in cui Dio è assoluto protagonista (3,9-10), tanto che, infine, anche la città santa vedrà revocata la sua condanna (3,14-18).
Il guerriero terribile è in realtà un salvatore potente (3,17) che compirà la necessaria purificazione dei popoli e della città santa per rallegrarsi in essa e con essa.
Rinascita dopo l’ira
L’ira non è dunque l’ultima parola. Come già al tempo del diluvio egli compie una purificazione dalla quale sgorga una nuova creazione.
Ogni volta che egli libera il suo popolo da violenza e ingiustizie lo fa rinascere, e ogni volta in cui il popolo si converte, rinasce e viene liberato dal male subito e prodotto.
Il finale del libro a cominciare da 3,9 in cui viene descritta appunto questa salvezza che rovescia le sorti del popolo a partire da un resto «umile e povero» è una rilettura della storia sacra, secondo il ben noto procedimento con cui la Bibbia rilegge costantemente se stessa.
Non esiste infatti ira divina senza rinascita: più che di punizione dovremmo parlare di correzione e scoprire nel Dio guerriero il volto di un Dio padre che, nell’amore per i suoi figli, non può sottrarsi all’ingrato compito di correggerli. Anche molto duramente. Questo non dipende tanto da lui quanto da loro.
Solo una lettura integrale di questo breve libro consente di coglierne il senso, come qui abbiamo cercato di fare per sommi capi e attraverso i passaggi principali. Si potrà vedere che non si dà un giorno dell’ira contrapposto al giorno della speranza e dell’amore: le due realtà sono strettamente connesse e sarebbe facile, in fondo, dire che l’uomo si castiga da solo. Certo pone le premesse dell’ira paterna come un qualsiasi figlio ribelle.