Un’evangelizzazione stimolante

di Dino Dozzi Direttore di MC

Image 009Ho dei buoni amici che mi regalano dei buoni libri. Gli ultimi due che ho finito di leggere parlano di evangelizzazione, un argomento con cui in questi mesi sono alle prese più del solito. Ugo Sartorio ha appena pubblicato nelle sue Edizioni Messaggero di Padova un libro di Fabrice Hadjadj, Come parlare di Dio oggi? Anti-manuale di evangelizzazione. Questo «ebreo di nome arabo e di confessione cattolica», filosofo e drammaturgo francese, dicendo con chiarezza fulminante che cosa non va nel nostro modo di evangelizzare, suggerisce implicitamente il da farsi.

La grande attenzione della nuova evangelizzazione al “come evangelizzare” sembra avere come presupposto che «il Vangelo in sé non funziona abbastanza: ciò che serve è il Vangelo più il multimediale, la faccia di Dio più Facebook, lo Spirito Santo più Twitter… la Buona Notizia era in attesa delle News». Cominciare dalla domanda sul come ci impedisce di interrogarci sui destinatari. Perché parlare non è solo parlare di qualcuno e di qualcosa, ma è sempre anche parlare a qualcuno, da conoscere e di cui tenere conto. E fra i destinatari forse conviene cominciare da noi stessi. Lo scristianizzato a cui vuol rivolgersi la “nuova evangelizzazione” ci tratta come piazzisti molesti: «Lo conosciamo il suo prodotto, per niente pratico: ne abbiamo già due o tre in cantina». Ma c’è qualcuno ancora più difficile da raggiungere: è il cristiano, il sedicente tale, che rimpiange la cristianità di una volta in cui tutto era facile, in cui si parlava di Dio come del tempo che fa. In realtà dal tempo di Gesù fino a noi, questo discorso è sempre stato “duro”.

E poi la parola “Dio”, che a molti sembra mettere fine a qualsiasi discussione, un jolly surrettiziamente introdotto nel mazzo delle carte, un abracadabra da soluzione finale. Più che alla categoria delle risposte forse converrebbe collegare Dio alla chiamata. Il suo Nome non vuol mai dire che il dialogo è chiuso: «Chi lo somministra come un colpo di mazza, non solo lo riduce a una mazzata per l’altro, ma se lo è già dato in testa da sé». Non nominare il Nome di Dio invano non si riferisce prima di tutto al bestemmiatore, ma a chi ne parla a vanvera. «Sartre definiva l’imbecille come colui che ha immediatamente risposta a tutto», come il fondamentalista. Parlare di Dio vuol dire parlare delle creature alla luce di Dio, parlarne in maniera divina, alla luce della Parola. Perché Dio si è fatto uomo, la Parola si è espressa in parole: grande san Francesco che propone «le parole della Parola»; e grande Teresa d’Avila che incominciando a parlare dell’Altissimo che abita nel fondo del castello dell’anima umana dice: «Pare stupido dire a qualcuno di entrare nella stanza in cui si trova già».

Image 014Nel libro del Deuteronomio (30,11-14) Dio dice che la sua parola è molto vicina a noi, nella nostra bocca e nel nostro cuore. Per parlare di Dio dobbiamo ascoltare ogni uomo, imparare da ogni uomo. Gesù dice di essere venuto non ad abolire ma a portare a compimento (Mt 5,17); agli ateniesi Paolo dice di essere venuto ad annunciare ciò che essi adorano senza conoscerlo (At 17,27-28). Parlare di Dio vuol dire parlare di noi in un certo modo. Con umiltà, con discrezione, da persona a persona. Se si vuole parlare di Dio non si può disertare l’umano; santità e semplicità coincidono; la divinizzazione è l’umanizzazione più profonda. I falsi profeti dicono: “Dopo di noi il diluvio”; i veri profeti costruiscono l’arca e danno ospitalità a tutta la fauna che li circonda.

Uomo fra gli uomini, muore da malfattore e da bestemmiatore: è Dio che è diventato una creatura fra le altre. Ad evangelizzare manda i discepoli a due a due, come pecore in mezzo ai lupi e dovranno dire due cose: “pace a voi” e “è vicino a voi il Regno di Dio”. Che cos’è che si è fatto vicino? L’andare insieme, l’incontrarsi, l’augurarsi pace: che sia questo il Regno di Dio?

Come parlare di Dio oggi? Non esiste una risposta tecnica o teorica: ognuno di noi deve essere una risposta.

Il secondo libro che l’autore stesso mi ha regalato è di Gilberto Borghi, della Redazione di MC: filosofo, teologo, pedagogista. Insegna Religione cattolica nelle scuole superiori. Collabora al blog collettivo www.vinonuovo.it dove cura la rubrica “Secondo banco”. Titolo del libro: Un Dio inutile. I giovani e la fede nei post di un blog collettivo, EDB, Bologna 2013, pp. 192. Qui si parla di evangelizzazione dei ragazzi: due anni di “ora di religione” a scuola, raccontati dall’interno, in presa diretta. Per mostrare come vivono i ragazzi di oggi e riflettere sulla fede di domani. Con qualche conferma, alcune smentite e parecchie sorprese.

Image 017«Per me che incontro settimanalmente 350 ragazzi dai 14 ai 18 anni - scrive Gilberto - è palese la distanza comunicativa tra una Chiesa che parla da testa a testa e dei ragazzi che invece comunicano da pancia a pancia». Si legge d’un fiato questo libro: Borghi ci prende per mano e ci accompagna in aula. Ci fa conoscere 35 ragazzi, ciascuno con i suoi problemi, le sue paure, le sue gioie. Con il loro linguaggio diretto: «Prof. sarà molto deluso quando andrà di là; al piano di sopra non ci abita nessuno, si rassegni!»; «Ma non vede che le persone sono tutte egoiste e ognuno pensa solo ai fatti suoi?»; «Io penso che non ci sia proprio niente dopo la morte. Click, si spegne la luce e tutto è finito». Alla domanda: «Che cosa è successo a Gesù Cristo dopo la morte?» le risposte si fanno variegate, dalla fuga dalla tomba alla reincarnazione; la parola risurrezione viene fuori dopo una buona mezz’ora: e siamo in un Paese a cultura cattolica. Tipo: «Prof., se uno fa un esorcismo, poi il diavolo davvero gli entra dentro?».

Ma ci sono anche domande inaspettate e profonde: «Quando dico: ti voglio bene, uso un nome o un avverbio?». E al prof. viene in mente la frase di Gesù: «Vi riconosceranno da come vi amerete» e ne nasce una lezione sullo stile del cristiano. Un’altra volta si parlava del giudizio finale e Laura stupisce tutti dicendo che a lei l’immagine del giudizio non piace, preferisce parlare del giudizio finale come un incontro d’amore: «Mi sono fatta un film: io penso che è come se per tutta la vita io e Dio stiamo insieme, morosi: lui è sempre lì, non molla mai, non tradisce mai, non ti perde mai dai suoi occhi e dalle sue braccia e ti ama davvero da Dio (risata generale). E io invece non sono mai convinta del tutto, a volte mi allontano, poi ritorno, a volte lo dimentico. E quando finalmente sarò davanti a lui è come se lui mi domandasse dolcemente: Allora, Laura, che facciamo di questa storia? Buttiamo via tutto? O accetti per sempre questo amore immenso che io sento per te?». E Gilberto confessa che a stare coi giovani c’è molto da imparare.

Terminata la lettura dei due libri, mi viene in mente l’esortazione di papa Francesco ai pastori di stare fra le pecore e di portarne addosso l’odore. E rivedo il suo volto sorridente fra la gente. È il suo modo di parlare di Dio oggi, un Dio regalato con gioia a tutti. I due libri ci danno suggerimenti, papa Francesco ci dà l’esempio. E cita san Francesco: «Per evangelizzare, a volte servono anche le parole».