Questo mese parliamo di film western, questo genere un tempo in auge, che ha consegnato tanti capolavori alla storia del cinema, e che ora incontra un periodo difficile, lontano dai nuovi gusti di genere. Saltuariamente rinverdito da opere occasionali e omaggi di qualche cineasta, solleticato dall’attitudine di questo tipo di film a rispolverare e rileggere le tematiche più ancestrali: la lotta per la vita, la morte, l’uomo e il suo destino. Lo facciamo analizzando due veri e propri cult recenti: “Il Grinta” di Joel ed Ethan Coen e “Django unchained” di Quentin Tarantino.

Alessandro Casadio

Image 226Il Grinta

un film di Joel ed Ethan Coen (2010)
distribuito da Universal Pictures

Il film è un remake di un precedente film con lo stesso titolo (1969), a sua volta tratto da un romanzo di Charles Portis del 1968. Sarebbe forse più corretto dire che si tratta di una seconda estrazione dal romanzo suddetto, in quanto in esso e in questa seconda versione cinematografica vi sono alcune differenze sostanziali rispetto al primo film. Il titolo, ad esempio, mentre nel primo film si riferiva al personaggio istrionico interpretato da John Wayne, nel libro ispiratore ed in questa seconda versione si fa riferimento all’indiscussa protagonista: il personaggio della quattordicenne Mattie Ross, colta nel suo cammino di formazione per diventare donna. Eroina modernissima, Mattie è disposta a pagare il prezzo delle sue scelte, difficili per il suo carattere così poco subordinato alle logiche maschili. Molta insistenza è posta sulla distinzione tra la maturità di quest’eroina adolescente rispetto all’infantilismo dei personaggi maschili, ridicoli e imbelli (emblematica, in questo senso, la grottesca scena del tiro al piattello con le focacce). La messa in scena elude i rischi degli stereotipi tradizionali del genere western, ma ne riporta alla ribalta il suo schematismo ancestrale, dove la lotta per la vita, il coraggio e perfino il desiderio di vendetta, più che un’affermazione morale (criticabile), rappresentano le tappe inevitabili di un percorso di formazione, in cui viene inserita con insistente tenacia la consapevolezza di essere donna. Le inquadrature ravvicinate e una serie di campi medi sono lì a testimoniare nella concretezza la volontà di autoaffermazione della giovanissima protagonista. Per inciso, l’interpretazione dell’esordiente Hailee Steinfeld, che ha effettivamente 14 anni, è assolutamente egregia. Alla centralità di una forte figura femminile, si lega nel “Grinta” il tema della giustizia privata, molto sentito e ancora attuale, in un Paese come gli Stati Uniti e non solo. Un tema difficile, potenzialmente molto problematico, che tuttavia i Coen hanno voluto affrontare con spirito critico, mettendo alla berlina il suo personaggio totem, mostrandocelo impacciato, più relitto umano che esecutore implacabile, ritornando a quello che per loro è un tema caro: la banalità del male.