Un volto sereno

Un ricordo personale di fra Alberto Andreani

Image 175Il pilastro in terra turca

Anche se in altra parte della rivista il ricordo sarà più approfondito, impossibile non ricordare nelle pagine dedicate alla vita missionaria fra Alberto Andreani, scomparso nel maggio scorso, dopo avere dedicato alle missioni in Turchia ben settantatrè dei novantasette anni che ha vissuto.

Un pilastro in terra turca, una certezza per i tanti che sono passati dal convento di Istanbul, sicuri di trovare in lui accoglienza materiale e spirituale, fra Alberto era sempre pronto a raccontare qualche aneddoto, tratto da quel secolo di Storia e storie vissute intensamente. Storie fatte di semplice vita quotidiana o di incontri con chi ha davvero trasformato il mondo, come il futuro Giovanni XXIII, nunzio in Turchia nella seconda metà degli anni Trenta e durante il conflitto mondiale. Gli incontri quasi clandestini tra Roncalli e il capo delle forze naziste a Istanbul, all’ombra tranquilla del convento, magari davanti a una pietanza preparata da fra Alberto, hanno probabilmente reso meno dura e difficile la vita di tante persone. E poi dopo il futuro “papa buono”, sono arrivati gli incontri con Paolo VI e Giovanni Paolo II, in occasione dei rispettivi pellegrinaggi nei luoghi della prima cristianità, da Antiochia a Efeso, nella terra di Paolo di Tarso. E ancora la particolare amicizia con il grande Atenagora, il primo Patriarca ortodosso a ritrovare il coraggio di un abbraccio con il pontefice di Roma, dopo mille anni di ostilità.

Come in una fiaba

L’incontro con fra Alberto, in occasione del pellegrinaggio redazionale, organizzato in coincidenza con la chiusura dell’anno dedicato a San Paolo, nel 2009, è stato uno dei più emozionanti. La sua semplicità e la sua accoglienza fanno parte del patrimonio di quel viaggio, iniziato con la visita ad Antiochia, il luogo dove i seguaci di Cristo per la prima volta furono chiamati “cristiani”, e concluso proprio nel convento di Istanbul, dove per qualche giorno abbiamo goduto dell’ospitalità di fra Alberto e del resto della fraternità. E fu proprio con fra Alberto che conclusi la serie di interviste, raccolte per le pagine missionarie di Messaggero Cappuccino, ascoltando quei suoi racconti a bocca aperta, come un bambino affascinato dal mondo fiabesco dei racconti di un nonno capace di far volare la fantasia. Lui raccontava delle sue pacifiche incursioni durante le liturgie degli ortodossi - quando la spinta all’ecumenismo non aveva ancora mosso un passo - mentre la mia immaginazione cercava di ricostruire la scena, in una Turchia vietata ad ogni saio e ancora indecisa sulla tolleranza verso i cristiani. Quella stessa Turchia appena incontrata nelle strade affollate e chiassose, pronta a entrare in Europa, portando in dote una crescita con percentuali in doppia cifra, lontanissimo ricordo degli altri paesi dell’Unione Europea.

Di fra Alberto, oltre ai ricordi di una vita incredibile, mi fece impressione la serenità del volto, come si può immaginare solo di una persona rappacificata in ogni senso con la vita. Ne avevo incrociato la figura solo attraverso le interviste inserite nel filmato dedicato ai Cappuccini in Turchia, sui luoghi delle origini cristiane di Federico Mortara, nel quale fra Alberto ricordava i primi passi della sua esperienza missionaria, iniziata un po’ per caso, e poi l’impressione all’arrivo, nel vedere tutte quelle donne velate di nero e scambiate per suore. In quel bellissimo filmato a fra Alberto erano affidate le ultime parole prima dei saluti, in una sorta di commiato anticipato del missionario, che non nasconde le difficoltà di una vita fatta anche di solitudine e di momenti di sconforto, ma che conosce la ricetta giusta per non farsi travolgere: «…non ti pentirai mai di avere fatto del bene».

Saverio Orselli