“In missione” volge il suo sguardo a Oriente, per osservare l’alba di una missione - quella che vede impegnati i cappuccini dell’Emilia-Romagna in Georgia, con padre Filippo Aliani che racconta i suoi primi mesi georgiani - e il tramonto di un grande missionario in Turchia, fra Alberto Andreani, per settantatrè anni presente nella terra dell’apostolo Paolo di Tarso, e richiamato in cielo il 14 maggio, nella festa dell’altro apostolo dell’ultima ora, Mattia, chiamato a sostituire Giuda.

Saverio Orselli

Georgia rewind

Image 161Nel sito dell’Ordine dei cappuccini (www.ofmcap.org) la missione in Georgia, appena avviata, è presentata in un articolo dal titolo originale: “Secondi primi passi in Georgia”. Lo riportiamo di seguito. 

I cappuccini in Georgia stanno facendo i secondi primi passi cercando di rifondare la nostra presenza in questo paese. Infatti, come Ordine abbiamo iniziato la missione georgiana a Tbilisi attorno al 1663, quando la Congregazione di Propaganda Fide aveva istituito la prefettura georgiana affidandola ai cappuccini italiani. Il primo prefetto, purtroppo, non è mai arrivato sul posto perché annegato durante l’attraversamento del fiume. Lo storico polacco Andrzej Majdowski, dell’Università di Niccolò Copernico di Torun (Polonia), scrive che «il successivo gruppo dei missionari si erano collocati in prossimità di Gori (1666-1845). Un’altra stazione missionaria era sorta a Kutaii (Kutaisi, 1668-72) - chiusa durante gli anni di guerra e rifondata solo sotto il protettorato russo (1802-1842)».

La rifondazione della nostra presenza è stata affidata alle Province italiane del nord in collaborazione con altre circoscrizioni dell’Ordine. Attualmente vi si trovano due confratelli: Filippo Aliani (Emilia-Romagna) e Tomasz Wroński (Varsavia). Dopo un primo periodo da trascorrere a Tbilisi per imparare la lingua, prenderanno residenza ad Akhaltsikhe - una città di 25 mila abitanti, dove verso la fine dell’anno scorso è stata ristrutturata una chiesa cattolica e avviato il primo convento contemplativo delle Benedettine. «Attualmente in Georgia - ricorda il sito dei cappuccini - ci sono tra 50 e 100 mila cattolici il che costituisce solo l’1,5% della popolazione di 4,6 milioni di abitanti dei quali la maggioranza sono ortodossi. Il cristianesimo in Georgia è stato ufficialmente accettato dal re di Iberia (Georgia orientale) di nome Mirian II nell’anno 337.

I cappuccini durante i secoli della loro presenza in Georgia hanno dovuto affrontare molte difficoltà, persecuzioni e espulsioni. Qualche volta hanno pagato con la loro vita per la ricostruzione dei conventi. La sopravvivenza è stata possibile rifugiandosi in Akhaltsikhe, allora turca, dove più volte è stata trasferita la prefettura. Alla fine i missionari cappuccini sono stati espulsi dalla Georgia nel 1845 e l’ultimo dei prefetti di Tbilisi si è trasferito alla missione di Trabzon in Turchia».

Image 162 Riflessioni “scomposte” dopo due mesi di presenza in Georgia

 Messaggero Cappuccino ha chiesto a padre Filippo Aliani qualche impressione, a pochi mesi dall’arrivo in Georgia. Ecco il suo racconto.

Sono ormai due mesi che io e padre Tomasz siamo arrivati a Tbilisi e la maggior parte del tempo l’abbiamo trascorso a studiare la lingua (e ancora lungo sarà il tempo che dovremo passare sui libri!). Per questo motivo posso solo accennare alcune impressioni, perché non c’è stata la possibilità di una conoscenza profonda della realtà in cui ci stiamo inserendo. Inoltre, al momento, stiamo vivendo in un appartamento vicino al centro storico di Tbilisi, quindi anche il contatto con la gente, con le comunità, è limitato. Abbiamo partecipato ad alcune celebrazioni a Tbilisi e in alcuni paesi dove è presente la Chiesa cattolica. Varie volte siamo stati ad Akhaltsikhe, la cittadina dove probabilmente nell’estate ci trasferiremo, per conoscere la comunità e fare alcuni incontri con le suore benedettine di clausura che sono là dall’ottobre scorso.

La prima cosa che colpisce è il clima che c’è tra i sacerdoti, i religiosi e le religiose. Pur essendo un gruppo limitato (fra tutti circa una cinquantina), c’è veramente un bel clima sereno e fraterno. Da questo punto di vista il vescovo ha lavorato molto e ci tiene che ci sia questa “fraternità” e condivisione. Tutti sono coinvolti nelle attività. Veramente un bel segno per noi e per la Chiesa in generale.

Il vescovo ha organizzato per tutti noi un pellegrinaggio in Armenia di soli due giorni, ma con lo scopo di affiatarci maggiormente e per fare un piccolo ritiro insieme. Siamo andati a visitare due case delle suore di Madre Teresa, a Erzerum e Spitak. Oltre alla bellezza della testimonianza, ha fatto riflettere il fatto che a Spitak, dove le suore sono le sole persone cattoliche, il sacerdote che era da loro è stato costretto a rientrare in Canada per motivi di salute. Ha colpito la preoccupazione di queste suore di rimanere senza sacerdote e non avere la messa. Alla fine siamo riusciti ad organizzarci e a turno andiamo il fine settimana a celebrarvi la messa. C’è carenza di sacerdoti. Anche in Italia si comincia a sentire questa carenza, ma c’è ancora una concentrazione notevole di sacerdoti. Qui invece, come credo in tante altre parti del mondo, si tocca con mano la sofferenza di non avere chi ti dona la presenza di Cristo, la sua Parola, il suo Corpo.

Image 166È impressionante la testimonianza di vari sacerdoti che sono venuti in Georgia all’inizio, dopo la dichiarazione dell’indipendenza. La vita che hanno fatto, le privazioni che hanno vissuto (e che anche la gente viveva), la lontananza e la difficoltà a comunicare, la solitudine… e sono tanti quelli che per annunciare il vangelo hanno affrontato tutto questo. Adesso c’è chi ti accoglie, chi ti ha preparato la strada… ma loro sono partiti da zero in un mondo sconosciuto e totalmente diverso. Tutto questo per il vangelo. Si tratta di un coraggio e di una determinazione che dobbiamo riscoprire, perché il vangelo è vita, speranza, verità… e il suo annuncio deve venire prima di tutto il resto. Senza dubbio, ci danno una bella lezione.

Un’altra cosa che subito balza all’occhio, soprattutto se si esce da Tbilisi, è la semplicità di vita della gente. Il lavoro è poco, gli stipendi bassi e la vita di tante di queste persone è di una semplicità estrema. È quindi un ulteriore richiamo per noi e per il nostro stile di vita. Ci siamo abituati ad altri criteri, a un livello diverso da quello che molta gente invece vive qui. La crisi, che ha toccato tanti, ci ha fatto toccare con mano l’essenzialità, la precarietà… ma davvero non so quanto anche noi frati sappiamo cosa sia vivere nella precarietà e dover fare i conti con quello che puoi o meno permetterti. Sono lezioni di vita con le quali siamo costretti a confrontarci.

Il resto alla prossima volta. E soprattutto nella speranza di potervi raccontare di un rapporto più diretto con la realtà di questa terra e di questa gente e non solo della loro difficile lingua. Fraternamente,

padre Filippo