Ricordando fra Alberto Andreani

Per 73 anni missionario in Turchia, una presenza accogliente per tutti a Yeşilköy 

Image 135Vezzano Ligure (SP), 15 ottobre 1915

† Reggio Emilia, 14 maggio 2013

Tanto da dire

«Da dove cominciare?», si è chiesto fra Adriano Franchini, che per tanti anni ha condiviso la vita missionaria con fra Alberto, nel tentativo di tracciarne il profilo. Troppi ricordi, troppe sensazioni… Eppure anche delle figure più riservate, se si hanno gli occhi della sapienza cristiana, vi è sempre tanto da dire.

Fra Alberto - Francesco al battesimo - era nato nel 1915 a Vezzano Ligure, un borgo medievale della Bassa Val di Magra, arroccato su un rilievo collinare alla confluenza tra i fiumi Vara e Magra. Qui egli avrebbe potuto vivere in una terra baciata dalla bellezza selvaggia dei cangianti colori della natura, e invece ha voluto trasformare la propria vita in accoglienza, disponibilità e preghiera, che hanno fatto di lui prima un frate cappuccino e poi un missionario.

Nel novembre 1935 entrò tra i cappuccini della Provincia di Parma, e in noviziato a Fidenza ebbe il nome di fra Alberto da Vezzano Ligure. La sua prima professione è l’8 novembre 1936, e l’8 dicembre 1939 la sua professione perpetua. Poco sappiamo dei suoi primi anni da religioso: i ricordi di quel tempo lontano si sono perduti con lui, e nemmeno ci può aiutare la memoria dei suoi coetanei che vivono gli ultimi anni del loro pellegrinaggio terreno in un silenzio che solo Dio sa interpretare. Dopo un periodo vissuto a Piacenza, nel 1940 lo troviamo a Parma, in aiuto ai cappellani dell’ospedale. Proprio qui avvenne l’incontro per lui “fatale”: «Ero a Parma all’ospedale per aiutare i cappellani. È passato di lì il superiore della Turchia, e io, scherzando, gli ho detto: “Perché non mi porti in Turchia?”. Poco dopo il provinciale mi chiamò: “Dopodomani mattina, alle cinque, parti per la Turchia”. Presi una valigia, vi misi due paia di mutande, un cappotto militare, un breviario e un piccolo messale. E basta. Tutto lì il mio corredo». Non pensava minimamente che i tre mesi in cui si sarebbe dovuto fermare in Turchia, come per magia della Provvidenza, si sarebbero trasformati in settantrè anni.

Turchia, caleidoscopio di popoli

La Turchia, punto di incontro tra Oriente e Occidente, è una terra che comprende una grande varietà di popoli, di culture e di religioni, ma soprattutto una terra in cui si trovano le antiche radici cristiane e dove è avvenuta la prima apertura del vangelo ai pagani per opera dell’apostolo Paolo. Vivervi da cristiani non è una cosa facile pur essendo uno stato laico, e la popolazione di fede cristiana è ora ridotta a solo qualche decina di migliaia di anime. Come missione fu affidata ai cappuccini emiliani nel 1927, ma la presenza dei frati risale a ben prima, al 1628, con la venuta di cappuccini francesi, seguiti da spagnoli e italiani, e là, in quel territorio totalmente islamizzato, essi hanno reso testimonianza che Gesù non era scomparso, perché di lui parlavano persino le pietre.

Il viaggio di Alberto per la Turchia ebbe inizio il 17 dicembre 1940. In treno attraversò i Balcani e la Grecia, fino a giungere a Istanbul, un mondo a lui del tutto sconosciuto: «Venendo in Turchia pensavo che vi fossero dei neri. Sì, neri. E poi, quando ho visto le donne tutte vestite di nero, non capivo. Vedevo solo suore… Dopo due o tre giorni ho compreso che suore erano quelle…». A Istanbul Alberto fece subito conoscenza con il Nunzio Apostolico Angelo Roncalli, che con lui amava intrattenersi nella conversazione, nella preghiera e anche nel… gioco a bocce, sport di origine turca, ma da loro praticato in Italia fin dalla giovinezza.

Quando un nuovo missionario giungeva in Turchia, Alberto non mancava di cavare fuori dalla bisaccia della sua esperienza dei semplici consigli, tratti dalla vita di tutti i giorni, ma anche l’avvertimento che i frutti sarebbero stati tutt’altro che copiosi: «Vi saranno dei momenti difficili, terribili, come io stesso ho provato, ma non ti pentirai mai di aver fatto del bene». Alberto in Turchia è rimasto quasi unicamente nello stesso luogo, a Istanbul-Yeşilköy, che fino agli anni Settanta era solo un grosso villaggio costiero situato lungo il Mar di Marmara. Là esistono tutt’ora, oltre a diverse moschee e alla missione cattolica italiana, chiese armene e greche, dedicate nella totalità a santo Stefano, in quanto, prima del 1926, Yeşilköy (“Villaggio verde” in turco) si chiamava “Santo Stefano”. Attualmente, in seguito al rapido aumento della popolazione e all’urbanizzazione del territorio, si trova in un quartiere di Istanbul, fagocitato da questa megalopoli di circa quattordici milioni di abitanti. A Yeşilköy, Alberto si è dedicato all’accoglienza di quanti, cattolici, cristiani e anche musulmani, si recavano in quella località. Aveva anche la passione di coltivare fiori nel giardino della casa, per abbellire la chiesa e l’ambiente in cui viveva. Di quel convento fra Alberto era la colonna portante: ne amava le singole pietre, per vecchie che fossero, e grande fu la sua sofferenza quando fu necessario ristrutturare profondamente il fabbricato. Ogni picconata, ogni colpo di martello sembravano fossero dati a lui.

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Scomparso dalla geografia italiana a venticinque anni, solo di rado fra Alberto faceva ritorno in patria, anche se qualche soprassalto di nostalgia lo assaliva. Ma era un solo sentimento passeggero, perché la Turchia era la sua nuova patria, dove, come suggerisce il cristianesimo dell’apostolo Paolo, si era fatto greco con i greci e turco con i turchi. Nelle sue sporadiche “fughe” in Italia per rivedere i parenti e i confratelli, si concedeva il lusso di visitare i missionari emiliani della missione di Batangafo (Centrafrica) e anche di Malta, ripercorrendo le orme di san Paolo. Altre volte erano gli acciacchi legati all’età che lo costringevano a ricorrere alle cure italiane, ma faceva ritorno nella sua Yeşilköy il prima possibile, come se là, senza di lui, il tempo si fermasse in attesa del suo rientro. Per la sua opera di accoglienza e di testimonianza, nel 2006 è stato insignito dal Presidente della Repubblica Italiana dell’onorificenza dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana nel grado di Cavaliere, che viene conferita alle persone particolarmente benemerite per il nostro Paese.

In occasione del 60° di professione religiosa, un confratello non mancò di sottolineare davanti agli ospiti lì presenti un’anomalia nella vita di Alberto, cioè la sua presenza ininterrotta a Yeşilköy: «Avevo voglia di intitolare questo scritto: “Evviva le leggi… quando sono trasgredite!” (per intenderci alludo alle pur sagge leggi dei frequenti cambiamenti di fraternità). Alberto ne è la positiva testimonianza, avendo vissuto sempre nello stesso luogo». Spostarlo da lì sarebbe stato come farlo morire anzitempo, anche se vi erano momenti in cui non era facile la convivenza con lui, per il carattere «più duro dei sassi» della sua terra di origine.

Alberto, alla soglia dei 98 anni, ha fatto ritorno in Provincia, da dove era partito settantrè anni prima per recarsi nella terra nativa di san Paolo. La sua salute sotto il peso della macina del tempo aveva cominciato a vacillare seriamente. Si è spento presso l’Ospedale di Santa Maria Nuova di Reggio Emilia martedì 15 maggio 2013. Spento? Forse sarebbe più evangelico dire che, sulla fiamma ormai smorta della sua vita, si è riversato il soffio rinfocolante del Dio vivente.

Fra Adriano Franchini, nell’ultimo saluto di addio ad Alberto, ne ha sintetizzato la vita con una parola, presenza: «Eri sempre presente ad accogliere i cristiani locali e i musulmani. Anche ora vogliamo credere che sei presente in mezzo a noi e ci sorridi. E come a Istanbul preparavi la mensa terrena, così lassù preparaci la mensa del cielo dove assieme a te ci sederemo tutti con l’Amico comune. Ricordi la frase scherzosa che ripetevi spesso: “Meglio accompagnare che essere accompagnati”? Adesso siamo qui noi ad accompagnare te nel tuo ultimo viaggio, comunque sicuri che tu sei ancora presente in mezzo a noi».

Nazzareno Zanni