Fioretti cappuccini

Come frate Gioacchino chiese un ago 

Image 115Girando alla questua per le campagne imolesi, frate Gioacchino era divenuto il confidente di tutti, come uno di famiglia. Vuoi perché vestiva sempre il saio cappuccino, seppure tutt’altro che stirato e pulito, vuoi perché tutti ne conoscevano la sapienza, che profumava di semplicità, ma soprattutto di buon senso. E di buon senso era piena la sua bisaccia. Si adattava al linguaggio della gente e alla loro esperienza campagnola, e parlava sempre nella sua lingua materna, il dialetto romagnolo, facendosi comprendere anche da quelli che non avevano tanto studiato.

Un giorno, giungendo a una casa per la questua del grano, vi trovò un’atmosfera alquanto pesante. La padrona lo salutò e gli fece, sì, un cenno di sorriso, ma di quelli che si fatica a tirare fuori con le tenaglie. Il marito non diceva nulla, chiuso in un silenzio che faceva supporre che poco di buono bolliva in pentola. Frate Gioacchino si preoccupò, e dentro di sé si chiese se per caso non fosse anche lui responsabile di quel clima così gelido. Allora avanzò timidamente una domanda: «Ma che avete? Sembrate come se foste tornati dal cimitero!». «Eh, frate Gioacchino - gli rispose la donna con una voce che non sembrava la sua -, voi non sapete cosa significa avere una figlia!». Al che frate Gioacchino riconobbe che la sua esperienza in quel campo era zero tondo tondo, ma sapeva anche che, per la lunga esperienza acquisita girando di casa in casa, avere in famiglia una figlia da marito era come avere una brace in mano. Chi non sa che, in estate, quando fa molto caldo, da un momento all’altro può scoppiare un temporale? «Ma che cosa ha fatto la su burdèla?» (traduzione: la sua ragazza). La donna sembrava restia a rispondere. Ma il frate, solleticato dalla curiosità, non si diede per vinto: «Dica pur tutto, signora. Quando avrà sputato il rospo, vedrà che starà meglio». Alla fine la donna, dando un grande respirò, sbottò: «Sì, frate Gioacchino, me l’ha messa incinta!». Frate Gioacchino non chiese chi fosse il responsabile, ma cercò di smorzare gli animi: «Beh, tutto lì? Farà un bel bastérd» (traduzione: bambino). Al che la donna diede sfogo a tutto il suo risentimento e alzò la voce: «Ma se lo prendo, ne faccio un cappone! Un delinquente! Un disgraziato! Abita qui vicino, veniva a prenderla tutti i sabato sera e la riportava tutto contento, con tante moine. Brutto sporcaccione!».

Frate Gioacchino ci pensò un po’ su, lasciando che la donna tornasse a respirare con più calma. Gli veniva alla mente una poesia di quando ancora andava a scuola, e non se ne era mai dimenticato, anche perché aveva sperimentato lui stesso che era così: dopo la tempesta, arriva sempre la quiete. Alla fine riprese: «La mia donna, ha ragione, ma, in fondo, sono cose che capitano a questo mondo. E poi quando una donna è giovane e troppo bella, e si è innamorati, la tentazione è troppo forte! Sono cose che capitano dappertutto, e bisogna avere pazienza». «Sì, sì. Pazienza, pazienza! - ribatté la donna, che non sembrava assolutamente darsi pace - Ma se lo vedo tornare qui… Una famiglia disgraziata e un figlio ancora peggio! Lo strozzo! Ecco che cosa gli dovrei fare!».

La quiete sembrava non vedersi, ma Gioacchino non si perse d’animo e sembrò come sviare il discorso: «La mia donna, avete un bell’ago? Di quelli grossi, da lana? E anche un po’ di filo di lana?». La donna si meravigliò di quella domanda fuori argomento, ma poi chiese: «Lana scura?». «Come è, va bene!», rispose frate Gioacchino, intravedendo già allontanarsi il temporale. La donna aprì un cassetto, prese una scatola di latta e tra gli aghi infilati in un piccolo cuscino scelse il più grande. Poi rovistò per trovare un gomitolo di lana, alquanto spessa, ne strappò una gugliata, e si diresse verso il frate, che le disse: «L’ago lo tenga lei, e io infilerò il filo di lana». La signora rimase perplessa, convinta di non aver mai visto infilare un ago in due: «Ma, frate, non può fare tutto da solo?». «Abbia pazienza, signora, tenga l’ago: in due vedrà che riusciremo meglio», ribatté frate Gioacchino.

La donna si sedette, afferrò l’ago tra due dita e si mise in posizione perché si potesse infilare il filo. Frate Gioacchino si accostò con il filo, ma, nonostante ogni tentativo, questo non voleva entrare nella cruna. Allora si bagnò le dita, arrotolando la lana perché fosse il più sottile possibile e a punta, e fece altri tentativi. Niente da fare. La mano della signora non riusciva mai a stare sufficientemente ferma e l’ago oscillava continuamente, tanto da non consentire a frate Gioacchino di portare a termine l’impresa. Alla fine tutti e due si arresero. «Gliel’ho detto, frate. Io dovrei riuscire a rimanere perfettamente ferma, per consentirle di riuscire a infilare il filo», brontolò la donna. Frate Gioacchino era proprio quello che voleva sentirsi dire e commentò: «Vede, la mia donna? Se la sua figlia non fosse stata ferma, quel delinquente di giovane non l’avrebbe mai messa incinta!». Poche parole, ma di quelle che più chiare non potevano essere.

Così le due famiglie, che avevano cominciato a guardarsi in cagnesco, si rappacificarono, e quel giovane poté continuare a entrare in casa ad ammirare la bellezza della sua futura sposa, che in capo a qualche tempo portò all’altare con vestito bianco, anche se alquanto abbondante. Con buona pace e gioia di tutti, soprattutto quando nacque il bastérd, il bambino più bello del mondo a dire dei genitori della sposa.

Frate Gioacchino, nel riportare l’episodio in convento, concludeva sempre alla sua maniera: «Quando ci vuole una buona parola, io gliela metto sempre».