Festival Francescano 2013. In cammino.
È questo il tema scelto per la quinta edizione del Festival Francescano (Rimini, 27/28/29 settembre 2013) alla quale, passo dopo passo, ci stiamo avvicinando sempre più, con la sana stanchezza di un intenso anno di lavoro e soprattutto con l’entusiasmo che solo una strada condivisa e una meta che si sta per raggiungere possono trasmettere.
La scelta del tema è in parte dovuta alla ricorrenza degli 800 anni del passaggio di san Francesco per la Romagna, durante il quale ricevette in dono il monte della Verna, oggi importante santuario meta di tanti pellegrini, ma anche alla consapevolezza che il cammino è la metafora perfetta per descrivere la condizione esistenziale di ogni uomo e di ogni donna.

Caterina Pastorelli

In cammino

Incedere come pellegrini, per lasciarsi cambiare e vivere per gli altri

Image 200Il comitato scientifico del Festival Francescano, composto da p. Paolo Martinelli, Preside dell’Istituto Francescano di Spiritualità all’Antonianum di Roma, p. Ugo Sartorio, Direttore del Messaggero di Sant’Antonio, p. Francesco Patton, Ministro provinciale dei Frati minori di Trento, Remo di Pinto e p. Prospero Rivi, Presidente e Segretario del Movimento Francescano italiano e suor Maria Gabriella Bortot, vicepresidente del Movimento Religiose Francescane, ci aiuta a cogliere meglio le diverse sfumature del tema. Riportiamo di seguito alcuni loro interventi, raccolti nel manifesto scientifico pubblicato sul sito www.festivalfrancescano.it.

Desiderio dell’altro e dell’altrove

La vita porta in sé l’insopprimibile desiderio dell’altro e dell’altrove e l’esistenza chiede di uscire dalla propria terra e dalle proprie misure. Come afferma Blaise Pascal: “L’uomo supera infinitamente l’uomo” e non bastiamo a noi stessi per essere noi stessi. Per questo siamo esseri in cammino, mai arrivati. Ma non tutti i cammini sono uguali.

Esiste il passo del vagabondo, che vede come protagonista il camminatore senza meta e senza orientamento. Si muove, lascia la propria casa e a volte rischia di perderla, perché non cerca veramente qualcosa o qualcuno e non ha una nuova dimora. La meta appare essere lo stesso cammino, che alla lunga potrà disperderne i passi e renderlo incapace di riconoscere il nuovo che si offre negli incontri. Il vagabondo è una figura sostanzialmente solitaria e difficilmente l’altro diventerà per lui compagno di cammino, giacché al cammino manca una direzione.

Esiste poi l’incedere del turista. Egli si muove ben volentieri; vuole conoscere; è curioso della realtà insolita. Cerca una discontinuità nel cammino ripetitivo della vita quotidiana. Il suo è un cammino, solitario o in compagnia, ben organizzato: sa qual è la meta, ma il suo cuore difficilmente si lascerà mutare interiormente. Trascorsi i giorni previsti, ritornerà alle cose solite, in attesa del prossimo viaggio, a meno che un imprevisto non rimescoli le carte in tavola. Per il turista, l’altro e l’altrove sono ricercati come benefiche distrazioni.

Infine c’è il camminare del pellegrino. Egli si muove per raggiungere una meta, profondamente desiderata. Si muove portando in sé una domanda, una preghiera. Il pellegrino gusta ogni passo e ogni incontro nella prospettiva della meta, dove depositerà e affiderà alla Vergine, al Santo, le proprie speranze, i propri dolori e le gioie inaspettate. Anche quando si parte da soli, sulla via del pellegrinaggio, ci si accorge sempre di appartenere a un popolo di pellegrini: alla meta si arriva in compagnia. Ogni istante è relativo allo scopo e lo scopo dà senso a ogni passo compiuto. Il pellegrinaggio è il cammino che cambia la vita; da esso non si ritorna mai uguali. È il cammino che cambia il cuore e lo sguardo sulle cose solite, che acquistano così un colore nuovo.

Pellegrini e forestieri

È a questo cammino di cambiamento che ci invita san Francesco d’Assisi quando, nella Regola Bollata, ci dice di essere “come pellegrini e forestieri in questo mondo” (FF 90). Non è un invito a estraniarsi dalla storia e dal mondo, ma a testimoniare un bisogno di comunione e di relazionalità che si traduce nella volontà di essere-per-gli-altri e di essere-con-gli-altri.

Attraverso l’itineranza è possibile seguire le orme di Cristo che, fin dall’inizio della sua vita terrena, ha scelto di stare sulla strada; anche la scelta di una povertà radicale fa parte di questa volontà di sequela e riflette l’atteggiamento di Cristo che, da pellegrino e forestiero, non si è attaccato a nulla e anzi, come afferma Francesco, è vissuto di elemosine (FF 31). Dal momento che il possedere incatena e spinge all’installazione, la povertà diviene la condizione caratteristica peculiare dell’itinerante.

L’itineranza francescana degli inizi contiene inoltre una forte valenza missionaria: Francesco e i suoi compagni andavano “per civitates et loca” per annunciare il Vangelo e invitare alla conversione. Essi non aspettavano che i laici venissero da loro, ma uscivano dalle chiese e si rendevano presenti nelle piazze, nelle case, sulle strade: là dove la gente era solita incontrarsi.

Proprio perché itineranti e per diverse vicissitudini storiche, i francescani sono divenuti custodi di molti grandi santuari - Terra Santa, Assisi, Padova, Loreto, San Giovanni Rotondo - che oggi manifestano l’impegno assunto dalla famiglia francescana nel custodire le domande e le preghiere che nascono nei cuori dei pellegrini.

Image 214Aprire i cuori

L’esperienza di Francesco insegna che l’uomo in cammino rivela la sua condizione incompiuta e solo uscendo da se stessi, mettendosi in cammino, si incontrano gli altri, si possono creare legami e scoprire appartenenze, antiche e nuove.

Tutto ciò ha una straordinaria conferma nella società contemporanea, caratterizzata da una tale accelerazione nelle relazioni e nelle attività da mutare la percezione umana del tempo e dello spazio e da farci sentire tutti in continuo movimento. È poi sotto gli occhi di tutti il forte fenomeno dell’immigrazione.

Nella volontà di seguire il Cristo pellegrino e forestiero è implicito l’impegno ad aprire il cuore a quegli immigrati o vagabondi per i quali la vita sulla strada è una dura necessità di sopravvivenza (FF 30); l’impegno a tenere presente che una società è viva quando riconosce di essere una relazione di elementi strettamente connessi fra loro; l’impegno ad accogliere lo straniero e a creare una società che non si identifica con qualcosa di fisico, ma che è un modello relazionale di persone concrete che cambiano nel tempo e che agiscono per il benessere delle nuove generazioni.

Avere la coscienza che la vita è un pellegrinaggio è il modo più vero per vivere ogni circostanza dell’esistenza. L’essere in cammino dà il giusto peso alle cose e ci impedisce di aspettarci da esse quella felicità che ci può venire solo dall’incontro con Dio. Per il pellegrino e forestiero, ossia per l’uomo in cammino, tutto è segno e profezia della meta.