Papa Francesco ha bisogno di noi

di Dino Dozzi
Direttore di MC

Image 008«Non abbiate paura della tenerezza!», «Dio non si stanca mai di perdonarci, noi ci stanchiamo spesso di chiedergli perdono!», «Come Giuseppe custodì Maria e Gesù, così noi dobbiamo custodire gli altri, soprattutto i più deboli, e custodire noi stessi e custodire il creato». Sono parole che profumano di vangelo. E sono parole profondamente umane. Di una semplicità e di una universalità sconcertanti. Come quei «buona sera!» o «buon giorno» e «buon pranzo!» invece del tradizionale «sia lodato Gesù Cristo». E poi le parole nuove “ad intra”, come quei «fratelli cardinali» invece di «signori cardinali», o «vescovo di Roma» invece di «papa» o «sommo pontefice»: parole nuove che preannunciano novità grandi in campo curiale, ecclesiale ed ecumenico.

Ma i gesti parlano ancor più delle parole, e sono segni di primavera. Quel «vescovo di Roma» che, prima di dare la benedizione alla folla in piazza San Pietro e al mondo, si inchina profondamente e chiede alla gente una preghiera silenziosa per essere lui benedetto, prima di benedire, rivela che la geometria è cambiata e la piramide è rovesciata. Il silenzio improvviso e profondamente orante che si è fatto in quel momento è segno che la cosa è stata compresa nella sua grandiosità. Da tutti, se persino una bambina di tre anni mettendosi a mani giunte ha esclamato: «Mamma, anche il papa prega come noi!».

E il nome scelto di Francesco, da lui stesso spiegato ai giornalisti, è un programma: «Non dimenticare i poveri, mi ha detto il mio vicino di banco, il mio grande amico cardinal Hummes. E io ho pensato subito al santo della povertà, a san Francesco d’Assisi. E poi mi sono venute in mente le tante guerre, e ho pensato a san Francesco, il santo della pace. E poi ho pensato al creato con cui non abbiamo un bel rapporto, e ho pensato a san Francesco e al suo cantico delle creature. Ho scelto quindi il nome di Francesco». Francesco nel Duecento e Ignazio nel Cinquecento contribuirono grandemente alla riforma della Chiesa dall’interno. Papa Francesco è un gesuita in saio francescano. Due carismi religiosi messi insieme che promettono cose grandi.

«L’opzione fondamentale è scendere per le strade e cercare la gente: questa è la nostra missione. Il rischio che corriamo oggi è quello di una Chiesa autoreferenziale: simile al caso di molte persone che diventano paranoiche e autistiche, capaci di parlare solo a loro stesse». Sono parole da Festival Francescano. Sono parole del cardinale Jorge Mario Bergoglio, ora papa. E che gli piaccia andare fra la gente l’abbiamo già visto. Ed è stato anche notato che, quando è fra la gente, il suo volto si illumina e sorride, quando è costretto a sedere sul trono alto e lontano, diventa serio. Speriamo che riesca ad andare spesso tra la gente, a portare il sorriso di Gesù ai bambini con una carezza, ai malati con un bacio (che bello quel fermare la papamobile per scendere e andare ad accarezzare e baciare Cesare, il paraplegico su quel lettino!).

«Cominciamo un cammino di fratellanza, amore e fiducia fra noi». Tre parole pesanti come macigni, preziose come perle fattesi rare. La parola “fratellanza” l’ha ripetuta e sottolineata nell’importante parallelo fra il “cammino di fratellanza” e il “cammino di Chiesa”: per dire che fare Chiesa significa fare fraternità. Le pecore un po’ sbandate hanno ritrovato il pastore buono e autorevole. I popoli del mondo, orfani e depauperati dei valori di riferimento, hanno intravvisto un padre e una guida e stanno riponendo tanta fiducia in lui.

Le parole e i gesti di questi primi giorni dicono uno stile del nuovo vescovo di Roma chiamato a presiedere nella carità. Uno stile sobrio, semplice, essenziale, fraterno, povero. «Quanto mi piacerebbe una Chiesa povera e per i poveri!». Lo chiamavano il vescovo dei poveri, lo chiamano già il papa dei poveri. Non sarà facile, ha bisogno di tanto aiuto dall’alto e dal basso. Lo sa e continua a chiedere di pregare per lui. Arriverà presto il momento delle scelte, delle riforme, delle contestazioni. Francesco è un nome impegnativo: le stimmate non sono rossetto, fanno male; e rimandano a un Cristo che è morto in croce.

Camminare con la fede di Abramo, costruire sul fondamento di Gesù, confessare il Signore crocifisso. Son cose che ha detto “a braccio” ai «fratelli cardinali», perché gli vengono dal cuore e fanno parte di un programma già sperimentato e vissuto. La novità è nello stile, un vangelo dal volto umano, da portare ai poveri, con semplicità e tenerezza, con autentico spirito di servizio. Non può farcela da solo papa Francesco. Ha bisogno di tutti noi. «Camminiamo insieme…».