Accompagnati da fra Vittorio Ottaviani, entriamo nella Mensa Sant’Antonio che, nel convento dei cappuccini di Rimini, dà da mangiare - e anche docce e vestiti - ai poveri. A molti poveri, grazie alla generosità di chi, senza clamore e nella fedeltà dell’impegno quotidiano, rende visibile la fraternità e la fratellanza, fa memoria del sacrificio di Cristo preparando cibo e bevande per chi ha fame e sete: la notizia bella si fa visibile, concreta, di carne e di sudore, sapida e odorosa di pane e di minestrone.

Lucia Lafratta  

Due piani di osservazione per incontrare un volto

L’attenzione ai poveri, nella concretezza e nella riflessione, ci fa vedere Gesù

di Vittorio Ottaviani
guardiano della Fraternità di Rimini

 

Image 194Piani comunicanti

Da poco tempo mi trovo nel convento di Rimini, dove sono stato posto con un mandato specifico che è quello di attendere alla Mensa “Sant’Antonio” dei poveri.

Di questa vi parlerò, distinguendo bene il lavoro del piano terra, da quello del primo piano.

Quello del piano terra impegna occhi, mani, piedi e quel tanto di forza fisica di cui ancora si dispone; diverso dal lavoro del primo piano che riguarda il cuore, mente, fantasia e sensibilità. E se il primo risulta di chiara evidenza, non così il secondo, quando esiste, perché impalpabile, sottile, da venticello leggero che fluttua nell’aria, e la cui presenza può essere rivelata solo da lievi fremiti.

Iniziamo dal lavoro del piano terra. Già il dire “piano terra”, significa dire orizzontalità, contatto, osservazione, operosità. Si esce dalla porta della cucina del convento e ci si trova immediatamente sul posto di lavoro, e basta poco ad accorgersi che, almeno una volta alla settimana, ci sono i lavoratori della prima ora che ti hanno preceduto; e dire “prima ora”, nel nostro caso, vuol dire ore 6,30. Eh sì, perché le sportine che verranno distribuite dalle ore 8 in poi alle famiglie non possono essere riempite di niente o di buone intenzioni; occorre far trovare tutto ciò di cui si dispone: frutta, verdura, carne e possibilmente anche vestiti.

Ore 8,30. Ci spostiamo in cucina. Cambia orario e cambiano i volontari. Si tratta di organizzare la cena e quindi pulire verdure, insaporire la carne e cuocere il tutto. Lavoro che dura fino alle ore 12. Ore 14,30. Ancora cambio di persone in cucina, con il compito di continuare il lavoro del mattino: riscaldare, cuocere la minestra, preparare frutta, dolce; mentre altri pensano a preparare i tavoli con tutto l’occorrente.

Non vanno dimenticati i volontari del lavoro docce delle ore 15. Da sapere che, se anche noi ce ne dimenticassimo, sarebbero i clienti a ricordarcelo!

Ore 17. La fila degli ospiti, fuori della porta, si è fatta consistente; anzi si tratta di una piccola folla che incomincia a premere per entrare. All’interno vi è la persona che pensa all’apertura, un altro al controllo tesserini, e quindi gli ospiti, una volta dentro, si spostano con discreto ordine al punto-distribuzione, dove si trovano già altri volontari, pronti ad entrare in azione. Va detto che tutto questo si svolge in tempi molto brevi. La distribuzione va avanti fino alle ore 18,30. Gli operatori lavorano freneticamente con mani e anche di fantasia, per dare soluzione a qualche piccola difficoltà di menù, almeno per alcuni.

Alle ore 19 circa, il compito è stato portato a termine; quasi 200 persone sono state soddisfatte nella loro esigenza primaria; si spengono le luci e i volontari se ne tonano alle proprie case, pieni di soddisfazione e di fatica.

Va pure detto che, in contemporanea, altre persone, strumenti della Provvidenza, sono usciti con il furgone, per il giornaliero rifornimento davanti ai vari supermercati, e così disporre di materia prima per continuare. Questo è il lavoro del “piano terra”, in cui io sono coinvolto solo marginalmente.

Image 198Pochi gradini più su

Salgo al primo piano, solo pochi gradini, mi affaccio alla finestra ed ha inizio il mio lavoro. Mi trovo di fronte il verde dell’orto, striature di colore all’orizzonte e gioco di ombre sulla terra, dovute al sole nell’atto di tramontare, alcuni uccelli che cercano riparo per la notte e il vecchio cipresso dell’orto che si innalza verso il cielo, arricchendolo di una pennellata di colore scuro. Il pensiero va alla giornata, a quanto visto, nel tentativo di cogliere, oltre la pura materialità dei gesti o delle persone, l’anima e i gemiti di cose e persone.

Ho davanti agli occhi quella fila, sempre troppo grande, che sosta lungo il muro del convento, in attesa di entrare, fatta di persone spesso vestite malamente, ammalate, alcune ubriache, inevitabilmente esposte agli sguardi che umiliano di chi transita lungo la strada a piedi o in macchina, oltre agli inevitabili giudizi, che, si sa, non sempre sono benevoli e di comprensione; tutto ciò non può lasciare indifferenti. Il pensiero raggiunge pure le file dei poveri del mondo che supplicano e chiedono quei diritti elementari di cui tutti dovrebbero godere. Folle che giacciono lungo le strade della terra, in attesa di qualche buon samaritano che li rialzi e dia forza di vivere. Poveri, ma ricchi nello stesso tempo, ricchi di umanità, di sentimenti forti, di sogni spezzati, di coraggio, di sofferenze segrete e che sembrano non interessare alcuno. E tu che osservi, che pensi, che vorresti fare, anche se di preciso non sai cosa; mentre un senso di colpa ti prende e ti inquieta. Si sa che materialmente quanto si fa è ben poca cosa; ma un dubbio ti sorge prepotente a sconvolgere le viscere: fino a che punto ti lasci mangiare l’anima da tutti questi affamati non solo di pane, ma anche di affetto, di attenzione, di ascolto? Non sarà che Dio te li presenta perché tu abbia a guarire dal tuo malessere e crescere in umanità?
Così è la mensa

Passiamo ora dai poveri a quanto viene loro dato, si tratti di cibo o vestiti. Ma è proprio vero che sono doni poveri, perché da altri scartati o, peggio, gettati via? Di per sé lo sarebbero, se in questo caso non intervenisse un fattore talmente importante da renderli quanto mai preziosi e profumati. Essi sono il segno dell’attenzione, solidarietà, del coinvolgimento di altri nelle necessità dei poveri, e quindi, anche se non sempre profumano di terra, sicuramente di cielo e di vangelo, sì.

Che dire dei volontari che sono l’anima di tutto? Persone ricche di cuore e di umanità; di quelli che non si rassegnano a segnalare o a dire “si deve fare”, ma molto concretamente fanno! Osservarli a lavorare, in cucina o fuori, con la naturalezza e semplicità del bambino che gioca, ed in armonia, raramente sfregiata da qualche piccolo screzio, sembra di vedere uno spettacolo bello e che allarga il cuore.

Essi vivono il proprio servizio non da assistenti sociali, ma con motivazione più elevata, suggerita dalla fede: dietro il volto di ogni persona scorgono il volto sofferente di Cristo, avendo presente le cinque parole di Gesù, che madre Teresa era solita citare, contando con le dita: “Lo-avete-fatto-a-me”. Di questo ne sono certo, perché altrimenti che valore avrebbe quella preghiera di inizio servizio ed a cui essi restano fedeli? Questa è la Mensa “Sant’Antonio” dei frati cappuccini di Rimini.