“In Missione” di giugno-luglio nel primo articolo non poteva dimenticare il momento storico che stiamo vivendo, con il primo papa della storia ad avere scelto il nome di Francesco, capace di parlare al cuore della gente e di invitarla ad accogliere e riconoscere la misericordia di Dio e diventarne testimoni, cioè missionari. Nel secondo articolo ricordiamo che è tempo di campi di lavoro e la “vigna” ha bisogno di braccia e di tempo messo a disposizione. Avremmo voluto parlare anche della Repubblica Centrafricana e di pace, ma la realtà registra spari, minacce e missioni abbandonate: speriamo che il futuro sia migliore e che si possa ancora raccontare la vita pacifica a Gofo, a Bangui e nel Villaggio Ghirlandina

Saverio Orselli

Parole chiave

La missionarietà vista con gli occhi di papa Francesco

Image 169 Per molti la sera del 13 marzo 2013 resterà impressa nell’album dei ricordi.

L’essere dentro, anzi, il sentirsi dentro una storia mai capitata prima si è fatto realtà: a ottocento anni dal passaggio sulla terra di un personaggio particolare di nome Francesco, santo tanto difficile quanto simpatico, tanto ammirato quanto scomodo, per la prima volta un papa «venuto dalla fine del mondo», sceglie di mettere il proprio pontificato sotto il patronato di quel piccolo giullare di Dio, nato ad Assisi, capace di scegliere tra le immense ricchezze di famiglia e madonna povertà quest’ultima. Poche parole e subito, in quella sera di marzo, è sembrato chiaro il fenomenale gioco di prestigio riuscito allo Spirito Santo in poco più di ventiquattro ore: in un’unica persona mettere insieme il primo papa latino americano, il primo gesuita, il primo di nome Francesco, a cui in pochi giorni si sono aggiunte tante “prime volte” da non poterle elencare tutte. Per partecipare nel nostro piccolo al gioco di prestigio, abbiamo voluto proporre, attraverso alcune parole del primo mese di papa Francesco, un percorso missionario, dal quale emerge che la missione coincide con la vita, accolta come dono e, come tale, donata.

Servizio

L’esempio del Signore: lui è il più importante e lava i piedi, perché fra noi quello che è il più alto deve essere al servizio degli altri. E questo è un simbolo, è un segno, no? Lavare i piedi è: “io sono al tuo servizio”. E anche noi, fra noi, non è che dobbiamo lavare i piedi tutti i giorni l’uno all’altro, ma che cosa significa questo? Che dobbiamo aiutarci, l’un l’altro. A volte mi sono arrabbiato con uno, con un’altra… ma… lascia perdere, lascia perdere, e se ti chiede un favore, fatelo. Aiutarci l’un l’altro: questo Gesù ci insegna e questo è quello che io faccio, e lo faccio di cuore, perché è mio dovere. Come prete e come vescovo devo essere al vostro servizio. Ma è un dovere che mi viene dal cuore: lo amo. Amo questo e amo farlo perché il Signore così mi ha insegnato. Ma anche voi, aiutateci: aiutateci sempre. L’un l’altro. E così, aiutandoci, ci faremo del bene. Adesso faremo questa cerimonia di lavarci i piedi e pensiamo, ciascuno di noi pensi: “Io davvero sono disposta, sono disposto a servire, ad aiutare l’altro?”. Pensiamo questo, soltanto. E pensiamo che questo segno è una carezza di Gesù, che fa Gesù, perché Gesù è venuto proprio per questo: per servire, per aiutarci.
(omelia del 28 marzo)

Pazienza

Eh!, fratelli e sorelle, il volto di Dio è quello di un padre misericordioso, che sempre ha pazienza. Avete pensato voi alla pazienza di Dio, la pazienza che lui ha con ciascuno di noi? Quella è la sua misericordia. Sempre ha pazienza, pazienza con noi, ci comprende, ci attende, non si stanca di perdonarci se sappiamo tornare a lui con il cuore contrito. “Grande è la misericordia del Signore”, dice il salmo.
(Angelus, 17 marzo)

Image 171Accoglienza

Accetta allora che Gesù Risorto entri nella tua vita, accoglilo come amico, con fiducia: lui è la vita! Se fino ad ora sei stato lontano da lui, fa’ un piccolo passo: ti accoglierà a braccia aperte. Se sei indifferente, accetta di rischiare: non sarai deluso. Se ti sembra difficile seguirlo, non avere paura, affidati a lui, stai sicuro che lui ti è vicino, è con te e ti darà la pace che cerchi e la forza per vivere come lui vuole.
(omelia della veglia pasquale, 30 marzo)

Unzione

Il buon sacerdote si riconosce da come viene unto il suo popolo; questa è una prova chiara. Quando la nostra gente viene unta con olio di gioia lo si nota: per esempio, quando esce dalla messa con il volto di chi ha ricevuto una buona notizia. La nostra gente gradisce il vangelo predicato con l’unzione, gradisce quando il vangelo che predichiamo giunge alla sua vita quotidiana, quando scende come l’olio di Aronne fino ai bordi della realtà, quando illumina le situazioni limite, “le periferie” dove il popolo fedele è più esposto all’invasione di quanti vogliono saccheggiare la sua fede. La gente ci ringrazia perché sente che abbiamo pregato con le realtà della sua vita di ogni giorno, le sue pene e le sue gioie, le sue angustie e le sue speranze. (…)

Il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco - non dico “niente” perché, grazie a Dio, la gente ci ruba l’unzione - si perde il meglio del nostro popolo, quello che è capace di attivare la parte più profonda del suo cuore presbiterale. Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con l’odore delle pecore - questo io vi chiedo: siate pastori con l’odore delle pecore, che si senta quello -; invece di essere pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini.
(omelia della messa del Crisma, 28 marzo)

SImage 175peranza

Cari fratelli e sorelle, a chi ci chiede ragione della speranza che è in noi, indichiamo il Cristo risorto. Indichiamolo con l’annuncio della Parola, ma soprattutto con la nostra vita di risorti. Mostriamo la gioia di essere figli di Dio, la libertà che ci dona il vivere in Cristo, che è la vera libertà, quella che ci salva dalla schiavitù del male, del peccato, della morte! Guardiamo alla Patria celeste, avremo una nuova luce e forza anche nel nostro impegno e nelle nostre fatiche quotidiane. È un servizio prezioso che dobbiamo dare a questo nostro mondo, che spesso non riesce più a sollevare lo sguardo verso l’alto, non riesce più a sollevare lo sguardo verso Dio.
(udienza generale, 10 aprile)

Testimonianza

Ricordiamolo bene tutti: non si può annunciare il vangelo di Gesù senza la testimonianza concreta della vita. Chi ci ascolta e ci vede deve poter leggere nelle nostre azioni ciò che ascolta dalla nostra bocca e rendere gloria a Dio! Mi viene in mente adesso un consiglio che san Francesco d’Assisi dava ai suoi fratelli: predicate il vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole. Predicare con la vita: la testimonianza. L’incoerenza dei fedeli e dei pastori tra quello che dicono e quello che fanno, tra la parola e il modo di vivere mina la credibilità della Chiesa.
(omelia del 14 aprile)