Padre Lorenzo Volpe non è una figura che ti passa accanto senza che tu non te ne accorga, vuoi per l’imponenza della sua figura, vuoi perché ben raramente ti si avvicina senza dire una parola. È sacerdote da venticinque anni: lo facciamo conoscere ai pochi che non hanno ancora avuto il piacere. L’ormai consueto fioretto cappuccino ricorda frate Gioacchino che disse “una buona parola” ricordando la benedizione di sant’Antonio.

Nazzareno Zanni

La semina del predicatore

Intervista a padre Lorenzo Volpe nel 25° di sacerdozio

Image 123Possiede una voce calda, ricca di armoniche come quella di un pianoforte. Per di più ha una faccia rubiconda come un cocomero appena aperto in due, che crea subito simpatia e attenzione, soprattutto quando si presenta sul pulpito a predicare. Se fosse mingherlino come un’acciuga e con una voce appena sussurrata, nessuno lo prenderebbe sul serio, perché il predicatore deve avere anche doti fisiche ed estetiche proporzionate all’importanza di quello che dice e capacità vocali tali da attrarre l’attenzione.

 Tu non hai la tipica cadenza emiliana nel tuo parlare. Forse che sei stato pescato altrove?

È vero, sono nato ad Aosta, una città posta in una valle tra una corona di monti, e ho vissuto la mia infanzia e l’adolescenza a Pré-Saint-Didier, un piccolo comune a oltre mille metri di altitudine, sulla via romana delle Gallie che là transitava. Ma proprio su quei monti ho avvertito la voce alla quale, quando la senti, non riesci a opporre resistenza. Furono i canonici regolari del Gran San Bernardo il mio primo contatto, in quanto frequentavo la scuola di agraria da essi diretta, e in loro intravidi un grande campo che aspettava la semina.

 Come mai hai lasciato i tuoi monti e sei disceso nella pianura emiliana?

La strada è stata alquanto tortuosa, ma alla fine sono approdato dove solo Dio sapeva. Mentre stavo ultimando le scuole superiori, vi è stato l’incontro con un cappuccino, padre Nicola Gontier, uno dei predicatori della missione popolare al mio paese, una figura che è stata decisiva per la mia scelta di vita. Dapprima sono entrato tra i cappuccini di Torino e lì ho fatto il noviziato e gli studi filosofici. La formazione teologica l’ho proseguita a Reggio Emilia e in quelle terre mi sono fermato, facendo nel 1987 la professione perpetua nella regola di san Francesco. Finalmente il coronamento del mio sogno: l’ordinazione sacerdotale a Modena nell’ottobre 1988.

 Qual è stata la tua prima esperienza ministeriale?

Sebbene il mio pensiero fosse quello della predicazione per l’influenza esercitata su di me da padre Nicola Gontier, ho dovuto fare un po’ di gavetta come viceparroco nella nostra parrocchia di Sant’Antonio di Salsomaggiore. E lì che ho appreso le “tecniche” come incontrare la gente e seguire i ragazzi e i giovani: un insieme di solide pratiche devozionali, di intense catechesi, ma soprattutto di esperienze evangeliche vissute in campi di studio estivi nel Trentino e nella Valle d’Aosta.

 E poi? Come hai realizzato il sogno della predicazione?

Quando fui trasferito a Reggio Emilia, ho avuto modo di iniziare a dissodare il campo affidato alla Chiesa con la predicazione, non solo in città o nei centri rurali della regione, ma anche a livello nazionale con le grandi missioni popolari che il segretariato nazionale della predicazione organizzava ogni anno. È in queste circostanze che ho avvertito dentro di me sempre più forte l’impegno di essere “voce di uno che grida nel deserto”.

 Ma allora il lavoro della tua predicazione si è svolto quasi solo in occasione delle Missioni popolari o di eventi straordinari?

Oltre all’impegno nelle missioni popolari, sono stato sempre disponibile a predicare un po’ dappertutto: novene, ottavari, tridui, quarantore, ritiri al popolo, e anche esercizi spirituali dalle religiose. Si tratta di una predicazione più umile, ma non meno preziosa, perché, anche se non hai tanta folla davanti a te, ti facilita un contatto più personale con la gente. Inoltre per sei anni sono stato segretario provinciale della predicazione, con il compito di coordinare il lavoro dei predicatori della Provincia cappuccina di Parma.

 Poi ti hanno fatto superiore del convento di Pavullo nel Frignano, sulle montagne modenesi, per nove anni, dal 2002 al 2011. Come sei riuscito a coniugare le pastoie del superiorato con la tua vocazione di predicatore?

Credevano di fermarmi. Invece, pur adattandomi a svolgere un ruolo locale, ho cercato di dare nuova linfa alla mia predicazione. Nella nostra chiesa ho rivitalizzato la novena dell’Immacolata, ho rilanciato la festa del Perdono d’Assisi, a conclusione della quale è stata istituita una solenne processione serale, che è divenuta la più importante e partecipata della cittadina, e ho ridato vita e importanza a tutte le feste devozionali infrasettimanali. Ho organizzato concerti di musica classica, sacre rappresentazioni (natalizie e della passione), conferenze e proiezioni sulla Sacra Sindone. Ho costituito un gruppo di giovani (universitari e giovani sposi) che ogni sabato sera si incontrava per una riflessione sul vangelo o su un tema di attualità inerente alla fede o alla morale. Per fare tutto questo occorreva non solo chiamare predicatori di grido da altre parti d’Italia, ma spendersi personalmente per le occasioni “minori”, che sono poi quelle che esigono una presenza più continua e impegnativa.

Image 129Devi quindi riconoscere che avevi ristretto il tuo raggio di azione.

Ho detto solo che ho dovuto rivedere in forme più differenziate la mia predicazione, non ridurla. Anzi l’ho intensificata. Ho organizzato pellegrinaggi e gite a sfondo religioso in Italia e all’estero, aperte a tutti come momenti di cultura e di approfondimento della fede. Ho curato personalmente l’Ordine francescano secolare e il Gruppo Missionario, con incontri formativi periodici, ritiri, pellegrinaggi e vacanze comunitarie estive. E poi qualche scappata in giro per l’Italia non è mai mancata, perché seminare nel proprio campo in fondo è più facile che seminare in altri terreni, dove non conosci nessuno e non sai neppure quello che ti aspetta.

 Hai dedicato nove anni al convento e alla chiesa di Pavullo, e poi sei andato altrove. Che cosa hai lasciato in quella cittadina montana?

Devo riconoscere o, meglio, altri hanno riconosciuto che il mio lavoro è stato fecondo. In occasione del mio ultimo saluto alla cittadina, la nostra chiesa, pur capiente, era gremita all’inverosimile. Erano presenti tre corali che si sono alternate nei canti: il Coro San Francesco (del convento), il Coro R. Montecuccoli (comunale) e il Coro San Bartolomeo (parrocchiale). Il Sindaco della cittadina, dottor Romano Canovi, mi ha rivolto parole di ringraziamento per tutta l’attività religiosa, culturale e sociale da me svolta in quegli anni. Mi ha poi consegnato una pergamena con attestato di benemerenza da parte del Comune.

 Un po’ di incenso non fa mai male, anche se talora acceca e fa tossire. Hai dei rimpianti?

Assolutamente no, non vivo di rimpianti. Mi sento sempre pellegrino e forestiero in questo mondo, e per il momento ho fatto tappa a Reggio Emilia, dove a livello locale sono stato nominato segretario dei religiosi della diocesi e membro del Consiglio presbiterale diocesano. Ma ho sempre una voglia matta di annunciare il vangelo dovunque c’è un pezzo di terreno da seminare. Ora che sono libero da impegni di superiorato, ho ripreso a darmi a tempo pieno alla predicazione e all’evangelizzazione un po’ in tutta l’Italia, con l’ardore e l’entusiasmo di sempre. Essa rimane sempre la mia prima vocazione e il primo impegno su tutti gli altri. Per ora sono arrivato al 25° anniversario di sacerdozio, ma continuerò a seminare finché il padrone della messe vorrà.