Un mosaico con la finestra aperta

Uniformità e pluriformità in un Ordine internazionale

di Dino Dozzi

 Ascoltarsi a vicenda

Image 044Nel settembre del 1992 ho partecipato all’Assemblea che i frati minori cappuccini tennero a Lublino su un tema complesso ma affascinante: “Identità cappuccina e culture”. Feci poi parte della Commissione che elaborò la documentazione in sei lingue diverse per permettere a tutti di passare dall’assemblea di Lublino all’assemblea di ogni fraternità, offrendo uno strumento di incontro, di dialogo, di confronto e di ricerca. Nel Capitolo generale del 2012, che ha aggiornato la legislazione, si è riconosciuto che il tema è ancora di travagliata attualità: non è facile incarnare una stessa identità in culture diverse; la pluriformità è faticosa e rischiosa, ma l’uniformità mortifica e appiattisce.

La fatica dei frati cappuccini ad incarnare il loro carisma nei centoventi Paesi in cui vivono è un piccolo esempio della fatica ancor maggiore che fa la Chiesa ad incarnare il vangelo nelle diverse culture dei diversi Paesi del mondo intero. Il concilio Vaticano II ha dato indicazioni precise, ha riconosciuto il dovere dell’inculturazione e il diritto di ogni cultura di avere il proprio modo di esprimere la fede, la liturgia, la teologia, la spiritualità, la vita cristiana. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, anzi molti oceani. L’uniformitas italica e il centralismo romano hanno bloccato sul nascere ogni tentativo di inculturazione extraeuropea del vangelo. L’argentino papa Francesco sta aprendo finestre sul mondo che portano aria nuova e fresca. Ma torniamo a Lublino e ai cappuccini, un laboratorio per la Chiesa intera, ma anche per la società e per ogni famiglia.

La prima cosa fatta e da fare è ascoltarsi a vicenda. Alcuni esempi. I cappuccini francesi dicono che per loro la cosa importante non sono le strutture e le case, ma le relazioni e la condivisione di vita dei frati; ne deriva l’esigenza della comunione nella diversità, dando fiducia ai singoli e ai gruppi per fare scelte significative. I cappuccini dell’America latina dicono di sentirsi fratelli e non genitori del popolo: ne deriva la rinuncia al gerarchismo, al paternalismo e all’assistenzialismo, per essere davvero poveri tra i poveri. I cappuccini indiani sentono molto significativo il metodo di vita “ashram” con la ricchezza dei suoi simboli e la sua relazione con il Trascendente.

L’identità che sa modularsi

Ciò che abbiamo e vogliamo tenere in comune è la nostra identità, la quale però non è monolitica e statica, ma è un processo aperto a sempre nuove espressioni. La sorgente è costituita dall’esperienza evangelica di san Francesco, rivissuta dai santi francescani nella storia, ma questo patrimonio deve entrare continuamente in dialogo con i singoli frati delle varie culture nei vari tempi e nei luoghi diversi. I frati cappuccini vogliono continuare ad essere “i frati del popolo” vivendo in mezzo ad esso e formando luoghi viventi di speranza e di solidarietà, così che le persone possano dire: “Vogliamo camminare con voi, perché abbiamo udito e visto che Dio è con voi” (cf. Zac 8,23).

Il valore da tradurre sempre e comunque è la fraternità, che pone al centro dell’attenzione la persona e la libertà creativa e responsabile di ogni fratello. Una fraternità che, per essere autentica, deve essere caratterizzata dalla povertà-umiltà-minorità, sia all’interno nel dialogo reale che all’esterno con un vero adeguamento alle condizioni di vita circostanti. Uno stile di vita lontano dalla cultura e dalla vita della gente con cui viviamo e lavoriamo sarebbe incomprensibile se non scandaloso.

C’è un desiderio comune di fraternità, ma non un modello unico. Per alcuni la fraternità è il convento con un bel numero di frati e una vita comune ben ordinata, per altri è una piccola comunità di due o tre frati che provvedono familiarmente a tutte le loro necessità, per altri ancora è un compito da vivere soprattutto nel servizio dell’evangelizzazione. Per alcuni la fraternità deve dare spazio soprattutto al ritiro e alla preghiera, per altri deve essere soprattutto aperta all’accoglienza. Per alcuni dobbiamo essere maestri di preghiera, per altri dobbiamo adattarci alla sensibilità delle persone con le quali preghiamo. Per alcuni la priorità va data al progetto della fraternità a cui tutti debbono adeguarsi, per altri il progetto della fraternità è offrire la possibilità ad ogni fratello di poter esprimere il proprio progetto verificato nel dialogo e nel confronto comune. Per alcuni il progetto personale è individualismo egoistico, per altri è la possibilità di esprimere un sano protagonismo, che valorizza la persona e arricchisce la fraternità.

Image 048Inculturazione e acculturazione

C’è diversità tra inculturazione e acculturazione. L’inculturazione è l’azione di mescolare il lievito evangelico in una determinata cultura in modo che questa possa trasformarsi dal di dentro. L’acculturazione, invece, è il processo faticoso con cui un immigrato si adatta ad una nuova cultura. Le domande sono queste, una interna e una esterna. Quando un giovane viene da noi per farsi frate, noi lo inculturiamo o lo acculturiamo? La domanda esterna: quando noi andiamo missionari in un Paese lontano, facciamo opera di inculturazione (portiamo il vangelo in quella cultura) o di acculturazione (portiamo il nostro modo di leggere e vivere il vangelo)? Le domande sono chiare ed hanno il pregio di focalizzare il problema; ma le risposte fanno fatica ad essere altrettanto chiare. Perché sia il modello da offrire ai candidati alla nostra vita sia il vangelo da portare in missione non possono mai essere disincarnati e allo stato puro, saranno sempre necessariamente connotati dall’esperienza di chi li porta. Alle due categorie di inculturazione e di acculturazione bisognerà allora aggiungerne una terza, quella della reciproca fraterna accoglienza, che arricchisce entrambi: la cultura locale e il vangelo, i frati che accolgono e i nuovi che arrivano.

E qui il discorso si allarga e vale anche per i popoli che migrano e i popoli che accolgono, come pure per i genitori e i figli che arrivano e crescono: è solo nella reciproca fraterna accoglienza che tutti ci si arricchisce, facendo spazio al nuovo che arriva e tenendo conto di ciò e di chi si trova arrivando. La fraternità diventa accoglienza vicendevole, la minorità diventa riconoscimento del dono che è l’altro. L’identità non sarà più qualcosa di statico e di fisso una volta per sempre, una proprietà privata e ben recintata da difendere contro tutti. L’identità sarà l’umile, fraterna, gioiosa e riconoscente accoglienza vicendevole, comunione nella diversità, bella come un mosaico bizantino nell’abside dell’umanità. Le piccole diverse e variopinte tessere sono tutte necessarie per costruire la grande e bella immagine del Cristo Signore. La fraternità cappuccina vuol essere una piccola scuola di mosaico.