La conversione più facile per i lontani

Il profeta d’Israele trova ascolto nella grande periferia

di Piero Stefani
biblista

Il paradigma del libro

Image 030Il libro di Giona si propone di attestare che Dio è ovunque; Egli, perciò, si prende cura di tutti e non solo degli appartenenti al popolo d’Israele. Tuttavia, per conseguire questa meta, occorre passare attraverso molte svolte.

Il breve testo si apre con una chiamata rivolta al profeta ad alzarsi per andare a predicare contro Ninive, la grande, corrotta città posta a Oriente. Giona fugge dall’altra parte, verso Tarsis, nell’estremo Occidente. Il libro commenta tutto ciò dicendo che il proposito del profeta era di andare lontano «dal volto del Signore» (Gn 1,2.10). Ma è forse possibile, per un testo “universalistico” in cui si afferma che vi è un solo Dio per tutti, sottrarsi al volto del Signore? Forse che Dio abita un’unica terra ed è assente nelle periferie del mondo? Eppure Giona non sbaglia. In effetti ci si sottrae sempre dalla presenza del Signore quando si rifiuta il compito a cui si è stati chiamati. Non è questione di latitudine o di longitudine; si tratta di non assunzione della vocazione che ci è stata rivolta. Quando si dice no a quanto Dio ci domanda si stende un velo sul volto di chi ci interpella.

Per quale ragione il profeta si allontana da quel che gli è richiesto? Per rispondere alla domanda dobbiamo ripercorrere la vicenda del nostro profeta. Giona è chiamato a proclamare prossima una severa punizione riservata a una grande città. Egli si sottrae forse al compito perché teme di formulare minacce o, al contrario, lo fa perché paventa che esse non vengano attuate? L’autentico profeta annuncia la sventura nella speranza che essa non giunga. Quando la conversione e il mutamento di vita scongiurano la catastrofe, la parola profetica consegue il suo vero scopo. L’esempio paradigmatico di questo procedere è tratto proprio dal libro di Giona.

Il profeta, una volta ricondotto dalla sua iniziale fuga a predicare a Ninive, diede corso a una predicazione tutta posta all’insegna di un «fato enunciativo». Egli non dice: «se non vi convertite perirete tutti allo stesso modo» (cf. Lc 13,1-5); al contrario, afferma seccamente: «ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta» (Gn 3,3). La sua è una pura previsione che se fosse smentita lo consegnerebbe, secondo la sua opinione, al ruolo di falso profeta. La grande intuizione dei niniviti consistette nel non lasciarsi sgomentare dall’annuncio infausto. Ad esso si rispose con penitenza e digiuni. Il pentimento degli abitanti di Ninive trova corrispondenza in una misericordia divina che sembra falsificare quanto, in apparenza, predetto dal profeta. L’annuncio rivolto alle periferie del mondo non comporta solo che la parola del nostro Dio giunga anche a esse; significa di più, vale a dire che i “lontani” divengono in proprio protagonisti. Sono i niniviti a diventare soggetti attivi in grado, contro la lettera della parola, di convertire Dio stesso facendo sì che si penta del male minacciato (Gn 3,10). Il più grande messaggio del libro di Giona sta forse proprio in ciò: gli “altri” sono diventati soggetti. In virtù dell’annuncio, i niniviti sono andati oltre l’annuncio.

I protagonisti della profezia

Visto dalla parte di Dio, quanto è avvenuto è riassunto da un lapidario detto di Tommaso d’Aquino: «Egli muta decisione, ma non muta consiglio» (Sum Theol. q. 171, a. 6, 2um). La dialettica della misericordia esige appunto questa asimmetria in cui la lettera della profezia deve essere falsificata affinché se ne realizzi il senso più profondo. Giona cercò di sottrarsi alla chiamata proprio perché sapeva tutto ciò. Egli non voleva che gli “altri” diventassero protagonisti in grado di annullare la lettera della sua parola profetica. Sapeva che Dio l’avrebbe condotto a vedere capovolte le certezze a cui era attaccato. Giona è chiamato a predicare il giudizio e sa che nel Signore prevale sempre la misericordia. Il profeta non sopporta questa contraddizione; a dirlo è lui stesso: «Signore non era questo quello che ti dicevo quando ero nella mia terra? Per questo motivo mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore e che si pente del male» (Gn 4,1-2).

Image 034L’amore che ci sovrasta

Specialmente nel nostro tempo, non si tratta, però, solo di riconoscere il prevalere della divina misericordia; occorre anche prendere atto che questo mutamento - ma il libro biblico non esita a parlare anche per Dio di conversione (Gn 3,10) - è dovuto alle opere di penitenza compiute dai niniviti e che li rende protagonisti di un nuovo modo di intendere Dio: le periferie diventano interpreti “autorizzati” della Parola.

Dopo aver cercato di fuggire, Giona va a Ninive a cui annuncia la distruzione; la città è grande, per percorrerla occorrevano tre giorni di cammino, ma ne bastò uno per muovere gli abitanti alla conversione (Gn 3,3-5). Quella prontezza è vissuta dal profeta come un ulteriore scacco. Alla fine Giona, seduto all’ombra del ricino, si rammarica di non poter assistere alla catastrofe. Quando, come ammonizione, fu privato della protezione vegetale, Dio rispose alle sue lagnanze, mostrandogli la forza della conversione (Gn 4,5-11). Dopo i niniviti e Dio, anche Giona è chiamato a convertirsi. Tuttavia il libro finisce in modo sospeso (non a caso termina con un punto interrogativo, sia pure posto a coronamento di una domanda retorica). Non ci è dato di sapere se il profeta che annunciò la distruzione e, con le sue parole, indusse alla conversione si sia a propria volta convertito. Ci è noto, solo, che gli abitanti di Ninive lo hanno fatto.

«Dio irrompe nella sua vita come un torrente. Lo invia a Ninive. Ninive è il simbolo di tutti i separati, i perduti, di tutte le periferie dell’umanità. Di tutti quelli che stanno fuori, lontano. Giona vide che il compito che gli si affidava era solo dire a tutti quegli uomini che le braccia di Dio erano ancora aperte, che la pazienza di Dio era lì e attendeva, per guarirli con il suo perdono e nutrirli con la sua tenerezza. Solo per questo Dio lo aveva inviato. Lo mandava a Ninive, ma lui invece scappò dalla parte opposta, verso Tarsis. Quello da cui fuggiva non era tanto Ninive, ma proprio l’amore senza misura di Dio per quegli uomini». La frase è tratta da un’intervista rilasciata nel 2007 da Jorge Mario Bergoglio a Stefania Falasca di 30 giorni riportata nel Corriere della sera del 14 marzo 2013. Giusto, ma tutto questo non sarebbe avvenuto se i niniviti fossero stati solo destinatari della Parola e non già interpreti attivi del messaggio portato loro, sub contraria specie, da un profeta d’Israele.

Dell’Autore segnaliamo:

Gesù

Il Mulino, Bologna 2012, pp. 137