Image 246Cesare deve morire

un film di Paolo e Vittorio Taviani (2012)
distribuito da Sacher

«Da quando ho conosciuto l’arte questa cella è diventata una prigione». Sono le parole del carcerato Cosimo Rega, che concludono il film dei fratelli Taviani, incentrato sulla rappresentazione teatrale del Giulio Cesare di Shakespeare ad opera dei detenuti della sezione alta sicurezza del carcere di Rebibbia, sotto la direzione di Fabio Cavalli. Quella della drammaturgia è un’esperienza presente nel sistema carcerario italiano che ha già dato frutti eccellenti, sia nel campo artistico, che in quello morale di recupero sociale. Gli autori, che hanno vissuto in prima persona l’esperienza di assistere a diversi di questi spettacoli, più che raccontare il lavoro fatto con i detenuti, ci mostrano, per gran parte, i passaggi più importanti dell’opera shakespeariana; scene che, a causa dell’inagibilità provvisoria del palcoscenico su cui dovrà essere rappresentata, vengono provate negli spazi del carcere: nelle celle, nei cortili, nei corridoi e nella biblioteca. Questo espediente coinvolge, più o meno direttamente, le guardie carcerarie e gli altri detenuti e le situazioni del copione del dramma si intrecciano con l’esperienza personale degli attori-detenuti, creando un meta-spettacolo di teatro nel cinema, come quadro in cui l’allegoria della vita si presenta nei suoi contrasti e nei suoi aneliti di libertà e di significato. Per analogia, anche gli spettatori della tragedia delle idi di marzo, sia quelli nel teatro di Rebibbia che noi del film, compiono la medesima operazione, sdoppiando e sovrapponendosi. Gli attori, spontanei nella mescolanza dei dialetti di origine, si esprimono con una certa efficacia, creando un mosaico di suoni che si muove e connette le sequenze in bianco e nero delle prove con quelle a colori della rappresentazione. L’universalità dei versi di Shakespeare, che trattano di vendetta, omicidio, tradimento, ambizione, lealtà aiuta la fusione della doppia dimensione in cui i personaggi si muovono, provocando anche in noi interesse, dubbi e fascinazione.