“In Missione” di maggio non può ignorare ciò che sta avvenendo in Centrafrica, dove la gente e i missionari sono costretti a convivere ancora col dramma degli scontri armati tra ribelli e forze governative. Per provare a capire quel che sta accadendo, ospitiamo un interessante intervento di Claudio Zaniboni, il volontario laico impegnato nella missione di Gofo. Si conclude poi con questo numero la nostra celebrazione del quarantesimo anniversario della nascita dell’EMI, l’Editrice Missionaria Italiana, ospitando un’intervista dai toni forti al padre comboniano Giovanni Munari, con trent’anni di missione sulle spalle e cinque alla guida dell’EMI.

Saverio Orselli 

Un sorriso nel caos

La situazione in Centrafrica tra violenza e mancanza di sicurezza

di Claudio Zaniboni
volontario laico nella Repubblica Centrafricana

Image 160Insicurezza a Gofo

L’insicurezza è un modo di vita cronico e altalenante in molte zone dell’Africa: a periodi di relativa stabilità si susseguono momenti in cui riemergono vecchi problemi.

Ci sono due tipi di eventi che rendono insicura la zona di Gofo, come altre della Repubblica Centrafricana: le incursioni di allevatori di mucche e la presenza di ribelli nelle zone circostanti. Le due cose convivono e si intersecano, rafforzandosi a vicenda. Così, soprattutto nel 2012, si è innescata una progressione di fatti delittuosi che hanno reso la vita difficile a quanti operano in questa regione, più di tutti alla popolazione, ma anche a missionari e a organismi di aiuto internazionale.

Già da più di un decennio la qualità della vita in Centrafrica si è via via degradata, con la connivenza del sistema politico centrale, tramutata in un’assenza di controlli sul territorio. Nel 2003 e 2004 c’è stata una guerra civile, con la presa del potere dell’attuale presidente; al termine della quale molti suoi guerriglieri sono tornati nella savana, scontenti del premio che avrebbero dovuto avere e che non hanno avuto. I ribelli vivono principalmente sulle spalle del commercio che transita sulle strade da loro controllate, provocando un aumento dei prezzi a causa delle loro esazioni: chiedono un tot a persona e un tot per le mercanzie.

Poi ci sono gli scontri tra agricoltori e allevatori; qui in Africa, in molti luoghi dell’Africa, è un continuo ripetersi di quel vecchio evento che funesta il mondo dai tempi di Abele e Caino. Gli allevatori in questione sono nomadi, si muovono a cavallo, e vengono dal vicino Ciad. Quando la stagione secca avanza, le mandrie scendono più a sud, escono dal Sahel per trovare nuovi pascoli, ed entrano nella Repubblica Centrafricana. Inevitabilmente incrociano i campi degli agricoltori, che vengano devastati.

Image 167Di male in peggio

L’anno scorso le cose sono ulteriormente precipitate, su tutti i fronti. Tutto è cominciato a fine gennaio con un attacco congiunto degli eserciti centrafricano e ciadiano ad un gruppo di ribelli, a circa 60 chilometri da Gofo. Questa azione ha definitivamente rotto il precario equilibrio che si era creato di fatto tra ribelli e popolazione locale. Alcuni ribelli si sono dispersi nella savana, diventando briganti, altri si sono uniti agli allevatori di mucche.

Dopo lo scontro tra esercito e ribelli, anche le incursioni degli allevatori si sono intensificate; la gente dei villaggi qui intorno, incoraggiata anche dai militari dell’esercito centrafricano, ha organizzato dei gruppi di autodifesa, anche per combattere i ribelli dispersi dalla precedente azione militare.

Così è nata e si è sviluppata questa nuova puntata di scontri. Fino ad arrivare all’eccesso: cosa si fa in Africa quando si è potenti? Si impone un dazio a chi passa, per fare pagare ad altri, normalmente più deboli, i costi della “sicurezza”. Un bel giorno, questi giovanotti hanno messo una barriera all’ingresso del paese, per chiedere una tassa di passaggio. I militari, fino a quel momento, molto assenti dalla scena degli scontri, sono usciti dalla città, hanno preso parecchi di questi baldi giovanotti, e li hanno messi in carcere. Si tenga presente che i militari fanno la stessa cosa: mettono barriere e spesso fanno richieste di denaro alle porte di quasi tutte le cittadine lontane dalla capitale, ma continua a valere la legge del più forte.

Alla fine questi gruppi di gente armata hanno creato più problemi che benefici. Hanno ucciso mucche delle mandrie degli allevatori, provocando una feroce reazione degli allevatori, meglio armati e più abili nella guerriglia. Ci sono stati ancora più morti e altri villaggi bruciati. Di conseguenza, sono stati abbandonati molti villaggi, i più lontani dalle basi dell’esercito, e Gofo, come qualche altro villaggio, ha improvvisamente triplicato la popolazione.

Image 170Trasformazione di un’economia

Paura e rassegnazione: camminando tra questa gente si percepisce questo strano miscuglio di sentimenti, che stanno in equilibrio precario tra loro.

Si sono sistemati ai bordi del villaggio di Gofo, con le loro cose. È tutto quello che possiedono. Non ci vuole molto a trasportare le loro proprietà: la sedia del capofamiglia, la stuoia per dormire, il vestito buono, una o due taniche per l’acqua, qualche pentola, un poco di sementi. Siamo alla fine della stagione secca, e le riserve di granaglie stanno finendo, qualcuno consuma anche le sementi per l’imminente stagione delle piogge. È una rassegna di povertà composta, consolidata nel tempo; ultimamente molti hanno aggiunto alle loro proprietà il cellulare: simbolo stridente di un qualcosa che non appartiene a questa terra, ma di cui la gente vuole mostrare il possesso.

Qui ci sono circa 2.500 rifugiati, e a pochi chilometri da qui, in un altro piccolo villaggio, ce ne sono quasi altrettanti. Questa gente ha costruito capanne di paglia di fortuna, poi ha ricevuto qualche aiuto: tende dalla Croce Rossa, cibo dall’ONU.

Si sono creati dei quartieri nuovi intorno al villaggio, sono stati scavati nuovi pozzi per l’acqua, sono stati impiantati gabinetti e docce, si sono edificate scuole di fortuna (tutto questo con l’intervento di altre onlus internazionali presenti sul territorio).

La vita si è riorganizzata in questa nuova situazione, trasformando l’economia di sussistenza in un’economia di assistenza.

Gli aiuti dati dagli organismi hanno innescato un nuovo filone di attività parallele. Come in tutto il mondo, una parte dei beni di aiuto viene prelevata come tangente da militari, politici, funzionari governativi e anche funzionari delle organizzazioni umanitarie; ovviamente non tutti sono disonesti… ma quelli non mancano! Non c’è da meravigliarsi: avviene anche nei paesi “progrediti”. Un’altra parte si è trasformata in mercanzia da piccolo commercio che la gente stessa utilizza per avere denaro: si possono acquistare dai profughi riso, olio, teli di tende…

Siamo andati tra di loro, io con la macchina fotografica, e padre Valentino con alcune scatole di zollette di zucchero. È tutto un allungarsi di mani verso padre Valentino, è tutto un chiedere foto a me. Basta poco, a chi ha poco. Bambini e adulti, tutti si scuotono dal loro tranquillo aspettare, o dal fare le semplici attività quotidiane, e fanno ressa, ridono, chiedono.

I poveri si sanno adattare alle disgrazie e riescono a trovare una specie di compensazione da ciò che ne consegue. Così, poiché continuano ad arrivare aiuti dagli organismi umanitari, la situazione di incertezza piano piano si trasforma in un modo di vita stabile; la gente si organizza, studia i piccoli sotterfugi per avere qualche razione di cibo in più, qualche telo supplementare, e rinasce il piccolo commercio delle cose necessarie: si monetizza una parte degli aiuti ricevuti, e ci si normalizza in uno stile di vita.

A fine aprile, con l’arrivo delle piogge, sarebbero dovute riprendere le normali attività agricole, fonte di vita fino all’anno precedente; ma la maggior parte della gente non se l’è sentita di andare nei campi, spesso lontani parecchi chilometri dal villaggio. Solo dopo qualche mese, anche se con ritardo, qualcuno ha trovato il coraggio di andare a coltivare, scongiurando almeno per un anno una grave crisi alimentare.

La guerra civile

Quando sembrava che le cose potessero migliorare, è iniziato un nuovo atto di questa tragica storia: in dicembre, poco prima di Natale, è esplosa la guerra civile. Nuovi gruppi di ribelli, molti dei quali provenienti da altri stati, coalizzati tra loro sotto l’appellativo “Seleka” (Alleanza), ben armati da non si sa bene quali finanziatori, hanno sferrato un’offensiva in grande stile, puntando inizialmente alla destituzione dell’attuale presidente. Nel giro di una decina di giorni, hanno occupato quasi due terzi del paese, arrivando a minacciare la capitale e il governo centrale del paese. A fronte della loro avanzata, l’esercito centrafricano spesso si è ritirato senza combattere.

Solo l’intervento di una forza militare di interposizione creata da stati africani limitrofi ha fermato questa avanzata, a poche decine di chilometri dalla capitale. Un susseguente cessate il fuoco, accettato da governo e ribelli, ha congelato la situazione di divisione del paese.

Fin dall’inizio di questa guerra, i peggiori elementi della società hanno approfittato della situazione caotica venutasi a creare in seguito alla fuga delle forze dell’ordine, e per la presenza tra i ribelli di molti stranieri e di gente senza moralità. Mentre nella capitale si cercava di costruire un governo di unione nazionale, composto da rappresentanti del vecchio potere, oppositori e ribelli, nel paese si è assistito ad un degrado della sicurezza, con continui atti di ruberie, sequestri, omicidi. Anche nella missione di Gofo abbiamo dovuto subire delle vessazioni. Una notte di febbraio, alcuni ribelli si sono introdotti nella missione: dopo aver malmenato la sentinella, per fortuna senza gravi danni per lui, hanno rubato un’automobile, del denaro, e altre piccole cose. Dopo due settimane hanno cercato di fare un’altra incursione, fallita solo per la paura dell’arrivo dei militari a causa degli spari in aria del gruppo di autodifesa (per una volta efficace!). In tutto questo caos, la gente continua a vivere, anche se molte attività sono quasi paralizzate dalla paura. Non tutte le coltivazioni dei campi sono ripartite, le scuole funzionano a singhiozzo, il sistema sanitario qui va avanti solo per la presenza di Medici Senza Frontiere, che non hanno abbandonato le loro aree di intervento; altri organismi hanno prima interrotto, poi ripreso le loro attività. Le attività della missione sono andate avanti senza interruzione.

Basta qualche giorno di relativa calma, la mancanza di segnali di pericolo imminente, e vedi che la gente riprende a sorridere; la sera i tamburi tornano a suonare, e ci si addormenta tra l’allegro vociare dei bambini del vicino villaggio. Questo dà speranza per il futuro, anche se questo continua ad essere molto incerto. Il sorriso dei bambini ne è una prova certa.