Image 132Fioretti cappuccini

Come frate Diego si spogliò dell’abito

Frate Diego era un romagnolo di razza, senza però quel carattere sanguigno che caratterizza la gente di Romagna. Era nel pieno delle sue forze e amava la vita campestre, lui che fin da bambino aveva vissuto tra gli odori della terra arata e il profumo dei prati. Quando si fece frate, sentì che la sua missione era di fare fiorire la terra. Per questo era stato destinato come ortolano del convento di Lugo, dove c’era un gran bell’orto, con tanti filari di viti, e questuante di campagna. Dopo ogni semina, quasi non riusciva a dormire finché non vedeva spuntare i primi germogli, e immaginare che crescessero di un palmo ogni giorno, quando invece la natura seguiva il suo corso.

Anche il lavoro di questuante gli piaceva, e i contadini del circondario lo conoscevano come un frate lavoratore, ma di poche parole. Anche perché parlare non era il suo mestiere: incespicava sulle parole, precedendole con brevi e ripetute aspirazioni, come se balbettasse. Spesso lo si vedeva lavorare assieme ai contadini vicini: era la sua testimonianza, ma anche la sua predica, che più efficace non poteva essere.

Frate Diego nella stagione estiva si alzava prestissimo al mattino, quando tutti gli altri frati erano immersi nel sonno più profondo e faceva ancora buio. Come’era gradevole l’aria fresca notturna dopo la calura del giorno! Il cielo era illuminato solo dalle stelle, ma lui preferiva guardare la terra del suo orto, perché dalle stelle non gli era mai venuto niente. Le aveva sempre viste, e aveva imparato che chi sta a guardare le stelle, non tarda a morire di fame. Poi si metteva alla guida del suo camioncino, il suo compagno di lavoro, e si recava dai contadini ad aiutarli a lavorare la terra. Vangava e zappava, mescolando il suo sudore a quello della gente, fino alle prime luci dell’alba, quando suonava la campana del convento che chiamava i frati alla preghiera del mattino. Allora lasciava il lavoro e raggiungeva i confratelli in chiesa.

Un giorno, nel buio di un mattino di piena estate, si recò presso una casa di contadini, a cui aveva promesso di dare un aiuto nello zappare la terra lungo i filari delle viti. Aveva con sé le sue inseparabili amiche vanga e zappa e si mise con lena al lavoro insieme agli altri. Ben presto il sudore cominciò a infastidirlo. Sì, perché frate Diego era ligio alla regola e lavorava con il saio. E il saio non era certo fatto di seta trasparente, ma di lana pesante. Per di più il sole aveva fatto capolino all’orizzonte e cominciava a scaldare l’aria. Una contadina gli gettò la voce: «Ma frate, si tolga il saio! Non vede come suda?». Al che frate Diego, incoraggiato, perché la tentazione l’aveva avuta anche lui, rispose: «Sì, sì. Ha ragione». Si diresse verso l’albero più vicino, si tolse il cordone, che era più nero che bianco, e cominciò a sfilarsi il ruvido saio. Oh come si stava bene! Che fresco gradevole! Ma non aveva fatto i conti con l’oste. Nel riprendere in mano la vanga, si accorse di essere nudo come mamma lo aveva fatto. «Che vergogna! Che vergogna!», si disse. La contadina lo stava osservando, forse perché curiosa di vedere un frate in pantaloni, e invece… Frate Diego si affrettò a rivestirsi delle sacre lane, non prima che un leggero rossore tentasse di tingerne il volto, già cotto dal sole. «Che vergogna! Che vergogna!», continuava a ripetersi, mentre la contadina, mettendosi una mano sugli occhi, si era voltata dall’altra parte e guardava con malizia gli altri contadini, che avevano assistito a quell’infortunio.

A frate Diego venne in mente la scena di san Francesco che si era spogliato di tutti i vestiti davanti al padre e al vescovo. Ma quello era un racconto vecchio di secoli, mentre lì non c’era un vescovo che lo coprisse con il suo mantello, come aveva fatto con Francesco, ma occhi di donne curiose e risate di contadini. Per non darla troppo a vedere e che commenti maliziosi si soffermassero sull’episodio, volle cercarsi di cavarsi d’inciampo, dicendo: «Ormai è l’ora in cui i frati si alzano, e devo andare anch’io a pregare. Ci vediamo domani». Quando stava per montare di nuovo sul suo camioncino, la contadina che gli aveva dato quel brutto consiglio, come per scusarsi si avvicinò e gli disse: «Frate, ho nel pollaio tante uova. Ne vuole un cesto?». Diego, benché volesse togliersi dai piedi il più preso possibile, non resistette: «Sì, sì. Volentieri!». Si allontanò con la donna, stette alla lontana dal cane di guardia sull’aia, sapendo che mordeva qualunque estraneo si avvicinasse, e con lei si diresse al pollaio. «Uova fresche, frate. Di questa mattina!». «Sì, sì La ringrazio!», rispose balbettando frate Diego. Fece per andare via, ma la donna non aveva finito: «Frate, vuole un cane? La nostra cagna ha figliato, e ce n’è uno anche per lei! Maschio come i frati del convento!». «Sì, sì», fece Diego, che, da buon cercatore, non diceva mai di no a niente. Poi ci ripensò e chiese: «Ma il cane fa le uova?». «Ma frate! Un cane fare le uova!». «Allora, da farne?», rispose frate Diego, a cui vennero in mente le stelle, che stanno solo a guardare senza fare nulla. Tutto si risolse in una risata. «La saluto, sssignora», si accomiatò frate Diego, mostrando così tutta la gentilezza di cercatore, benché ancora pieno di vergogna per via dell’abito sfilato.

Caricato sul cassone del camioncino il prezioso cesto di uova fresche, riavviò il motore e, senza ulteriore convenienze, prese la via del ritorno in convento, propria all’ora giusta in cui i frati si recavano nel coro per la preghiera del mattino.

Naturalmente tenne per sé la cosa a lungo, e per un certo tempo si guardò bene dal recarsi al lavoro da quei contadini amici, in barba al suo «Ci vediamo domani», perché quell’avventura era certamente passata di bocca in bocca. Vi fece ritorno solo verso il tardo autunno, quando il sole non scaldava più di tanto e i contadini avevano altro da pensare che a un frate senza saio.

In convento, solo più tardi, raccontò quell’episodio, e fu per lui come un liberarsi di un peso dalla coscienza. I frati risero di gusto, ricostruendo con la fantasia, ciascuno a modo suo, la scena, e a quelle risa aggiunse anche le sue. Un inconveniente, solo un inconveniente. Ma altro era raccontarlo, altro esserne stati protagonisti.