Memoria difensiva dello sceriffo di Nottingham

Elogio al pagamento delle tasse come forma di partecipazione sociale

di Alessandro Casadio
della Redazione di MC

Image 088Bellissime, adorabili tasse

«Bellissime, adorabili tasse» è l’esclamazione del tirannico principe Giovanni, personaggio personificato da un leone, nel film d’animazione della Walt Disney “Robin Hood”. Mentre faceva saltellare le monete d’oro tra le sue mani, ulteriormente arricchite di preziosi anelli, il despota canticchiava allegramente e cinicamente, sicuro che quel denaro andasse a rimpinguare il suo già ingente tesoro dopo essere stato spremuto ai poveri della Contea di Nottingham.

Esecutore materiale di tali iniquità il corpulento sceriffo che, forte del mandato ricevuto, si aggirava per le campagne e i borghi estorcendo gli spiccioli residui dalla povera gente, ormai non più in grado di far fronte ai propri impegni economici di mantenimento di lavoro e famiglia. Se qualcuno alzava la cresta e protestava contro queste ingiustizie veniva incarcerato e, perché no, condannato al patibolo.

Ora io non voglio affermare che lo sceriffo fosse una persona proba e meritevole di stima, ci sono tuttavia delle considerazioni che vanno fatte e che diminuiscono il suo fardello di colpe, fino quasi a farlo apparire, quasi involontariamente, una sorte di giustiziere occulto. La prima cosa da sottolineare è che, nonostante l’avversione che pressoché tutti hanno nei confronti delle tasse, esse rappresentano il mezzo più comune ed efficace di compartecipazione sociale. In una società così complessa quale la nostra, sarebbe impossibile configurare un sistema diverso per la ridistribuzione delle risorse in modo da salvaguardare le fasce più povere della popolazione e permettere loro di accedere a servizi che privatamente non potrebbero permettersi. L’idea che le tasse siano il demone che produce povertà e miseria è concettualmente sbagliata. Così come ritengo corretta l’applicazione di un’aliquota di pagamento delle stesse che non sia proporzionale ma pressoché esponenziale sul reddito percepito dalle persone. Nel contesto, quindi, del racconto disneyano, l’esattore sceriffo opera un atto di giustizia accumulando tesori… se questi fossero messi a disposizione del bene comune. In questo caso le tasse avrebbero ben meritato l’appellativo di «bellissime, adorabili tasse».

Image 094Ci sono dei se

Se dunque c’è qualcosa su cui recriminare, ciò deriva, non tanto dal principio sacrosanto di raccogliere risorse per le spese pubbliche, quanto più dall’impiego che viene fatto di queste risorse. Certamente qualche aggiustamento ci vorrà anche nelle proporzioni e modalità della richiesta, ma questo non inficia il principio generale. Perché va da sé che non è bene correggere un errore impostandone un altro: pertanto, le soluzioni per un più corretto sistema fiscale sono da ricercare nei principi che dovrebbero ispirare la ricerca del bene pubblico. Oggi invece, nel glossario comune, la parola “tassa” viene rivestita delle più nefande atrocità, al punto che il togliere questa o quella tassa, come facile promessa di governo, fa elevare il consenso di qualsiasi politico e le classi meno abbienti, accecate da un ipotetico rimborso, dimenticano l’elementare conseguenza di un provvedimento di questo tipo: che il rimborso di una tassa soppressa premia maggiormente le persone con maggior reddito, che in gergo robinhoodesco significa ridare poco ai poveri per poter ridare tanto ai ricchi. Questo metodo contribuisce ad allargare ulteriormente la forbice tra poveri e ricchi e ad aggravare l’allarme sociale, in quanto i rimborsi suddetti verrebbero comunque coperti, e non può essere diversamente, con altri più subdoli metodi di tassazione o andrebbero a scapito di qualche servizio sociale.

Partita doppia

Sono, da sempre, due i modi che esistono per risanare qualsiasi bilancio, da quello dello stato a quello di una normale famiglia: controllare che le entrate entrino e sorvegliare che non ci siano uscite immotivate e superflue. Per quanto concerne le prime, la grossa magagna dell’evasione fiscale è arrivata a un punto di aberrazione tale, da non poterla pensare se non come costume sociale, che vede il contribuente in regola come il “fesso di turno”. Grosse omertà e responsabilità sono da ascriversi anche alla realtà ecclesiale, che troppo a lungo ha ignorato, quando non beneficiato di questa forma di illecito, perpetuato dalla comunità nelle sue molteplici forme.

Ma, ancora, sulle uscite credo esista un universo che possa essere riscritto a partire dalle sempre più scandalose spese militari, continuamente in crescita anche se in parte mascherate da finanziamento alla ricerca (bellica). Quello che oggettivamente fa scandalo e giustamente indispettisce l’opinione pubblica verso la classe politica, anche se bisogna stare sempre attenti a non fare di ogni erba un fascio, è il disperdersi di vere e proprie fortune per i capricci o le depravazioni di una categoria governante, imperi politici e finanziari, che a loro insaputa o con la complicità di goliardiche prostitute e transessuali, delapida patrimoni pubblici. Concentriamoci, di conseguenza, sul “come” il bilancio dello stato e di tutti gli enti pubblici investe le proprie risorse, alla luce, soprattutto, degli effettivi bisogni ed effettive disponibilità.

Alla luce di tante e conclamate complicità, il comportamento del vecchio Bracalone, soprannome affibbiato nel film allo sceriffo di Nottingham, mi sembra del tutto ordinario rispetto alle accuse che gli vengono rivolte, considerando anche il fatto che egli ha già parzialmente scontato la sua pena vedendo beffeggiata e vilipesa la sua immagine, nonché stroncata la sua possibilità di carriera nell’amministrazione pubblica, dall’ardito bandito Robin Hood con la complicità di tutta la gente.

Chissà se un giorno potremo dire anche noi del mondo reale che stessa sorte è toccata anche ai nostri tiranni e ai nostri esattori, che bruciano gran parte delle risorse per assecondare i propri vizi e le proprie manie. Chissà se, allargando la prospettiva, saremo anche noi condannati ai lavori forzati dai miliardi di poveri del mondo che, con estrema noncuranza, deprediamo di risorse e di possibilità esistenziali per cullare il nostro egocentrismo di mondo civile. È una domanda che dovremmo farci più spesso, prima di dover essere messi da altri di fronte alle responsabilità che abbiamo come società opulente. Prima di perdere, per improvviso risveglio di coscienza, quella serenità citata in una delle canzoni del film: «Ogni città qualche guaio ha, / ma qua e là c’è serenità, / ma non a Nottingham».