Uniformare la complessità

Infiniti codici di comportamento regolano la nostra vita

di Fabio Florini
magistrato in Bologna

Image 065Varietà e tipologia

La sempre maggiore complessità delle relazioni in tutti i settori della vita contemporanea - in ambito sociale, economico, interpersonale - suscita un frequente senso d’insicurezza: ma esso non assume un rilievo solo “esistenziale”, poiché il tentativo di sfuggire ad un disagio tanto comune - magari con la speranza di superarlo - ha indotto ormai da tempo, assieme ad altri fattori, la diffusione di una varietà di strumenti, eterogenei nel loro contenuto ma accomunati dall’obiettivo pubblicamente dichiarato (e spesso propagandato) di garantire soluzioni dotate di efficienza, trasparenza ed affidabilità (di volta in volta, secondo le forme della fiducia collettiva, oppure dell’onestà personale).

In tale ambito, e sotto molti nomi - codici di comportamento, di autodisciplina, etici, deontologici, di tutela del consumatore, privacy, protocolli di trattamento dei dati personali, ecc. - troviamo due tipologie fondamentali, quella del “manuale ad uso interno” e quella del “prontuario per le relazioni esterne”: il primo è di più antica origine - quando soprattutto tendeva ad “uniformare” la condotta di una certa categoria di persone (dall’impiegato del ministero, agli insegnanti, ai militari, ai religiosi, ecc.), improntandone anche l’atteggiamento esteriore, con dettami precisi dall’abbigliamento fino ai requisiti morali - ma nella fase attuale esso serve soprattutto alla definizione di modelli standard, idonei (almeno tendenzialmente) a soddisfare le aspettative degli utenti, tenendo però conto delle risorse (spesso limitate) e dell’esigenza di evitare responsabilità (e risarcimenti) a carico sia degli operatori, sia dei sistemi che ne organizzano l’attività. Ovviamente, il caso tipico è quello della Sanità - ma altrettanto può dirsi per l’Esercito, la Polizia, gli Uffici Giudiziari, ecc. - ed i “protocolli” per l’accettazione dei ricoveri in ospedale o per le visite dei pazienti al Pronto Soccorso, ne rappresentano un esempio di comune esperienza.

Sull’altro versante, abbiamo poi infiniti esempi di garanzie rivolte all’esterno dei “gestori” che le propongono - dai prodotti agricoli esenti da OGM agli alimenti “solo italiani” (latte, carni, ecc.), dai servizi pubblici (codice di “autoregolamentazione degli scioperi”) alle banche, dalle Amministrazioni locali (con le varie modalità di “sportelli del cittadino”) al servizio di riscossione delle imposte, fino ai tariffari dettagliatissimi per le forniture di gas, acqua, energia elettrica, ecc. - ove la prestazione di attività specialistiche, spesso in regime di sostanziale monopolio, vuole comunque essere accompagnata dalla prospettiva di un rapporto esente da potenziali abusi, perché “limpido ed equo” nei confronti degli utenti.

Image 068Utilità e rischi

Sarebbe davvero arduo negare l’utilità funzionale e l’importanza pratica di molti degli strumenti appena descritti; tuttavia, la loro reale efficacia - soprattutto nei momenti critici, in circostanze contingenti, oppure per carenze strutturali - resta inevitabilmente collegata alle capacità ed alle reazioni (di testa e di cuore) delle persone concrete che si incontrano ed agiscono: se siano in grado di ascoltare e di farsi comprendere, se facciano il loro dovere generosamente o con pigrizia, se siano sensibili alle “tentazioni” - quella del denaro, della carriera, dei vantaggi per un familiare, a volte anche la paura - od invece sappiano agire onestamente, evitando anche gli ingiusti favoritismi di “piccolo cabotaggio”, che si compiono quasi senza farci caso.

Resta dunque la domanda fondamentale, sullo sfondo di tale panorama variegato: quali inconvenienti - sul piano individuale e sociale - possono derivare dalla situazione così creatasi?

Anzitutto, vi è il rischio che quanto più dettagliate sono le norme - spesso parcellizzate all’inverosimile - tanto meno si riesca ad individuare il “quadro d’insieme”, ed ancor meno agevolmente a percepire di quali problemi occorra davvero occuparsi, così accentuandone eventuali potenzialità negative, come insidiosi “precetti di uomini”; quest’ultimo aspetto sta sotto gli occhi di tutti, poiché notoriamente l’eccesso di dati equivale alla sostanziale incapacità di elaborarli per intenderne compiutamente il senso: certo è che basta pensare ad uno dei consueti moduli chilometrici di “autorizzazione/privacy” per concordare che l’essenziale sarebbe davvero «sì, sì, no, no… il di più viene dal maligno».

Inoltre, ogni formalismo favorisce nel singolo una duplice tendenza: da un lato - a fronte di situazioni che non possiamo evitare, ma che comunque non ci soddisfano - incrementa l’atteggiamento di sospetto e diffidenza verso l’interlocutore; d’altro canto è un incentivo a deresponsabilizzarsi, poiché suscita la convinzione che l’ossequio al “protocollo” debba divenire l’elemento determinante, soprattutto laddove consenta di evitare guai; viceversa, soltanto l’adesione morale - almeno nel momento delle scelte importanti - consente alle persone di agire con vera umanità, in modo pienamente consapevole.

Il piacere dell’onestà

È senza dubbio possibile, quindi, fare buon uso di tali “Guide” al “comportamento codificato” - o almeno trattarle con discernimento - ma esse non costituiscono, di per sé, un baluardo decisivo contro negligenza e disservizio, disonestà e corruzione; semmai, forse, l’eccezione positiva sta nella misura in cui si trasformino nello stimolo ad una coerente “risposta sociale”, sempre indispensabile.

Come ci insegna anche Luigi Pirandello in uno dei suoi testi teatrali più aspri, Il piacere dell’onestà, l’onestà presenta un rigore esigente, tanto da poter suscitare addirittura sospetti e perplessità: è «come uno che venga a mettere in circolazione oro sonante in un paese che non conosca altro che moneta di carta. Subito si diffida dell’oro; è naturale…» (atto 1°, scena VIII). Eppure, nessuno è nelle condizioni di ignorare davvero questa virtù - apparentemente negletta - tanto che se non riesce a coltivarla per sé stesso, tuttavia non può evitare di cercarla negli altri: «necessità di cose, di condizioni… costringono a non agire onestamente. Ma lei non può fare a meno dell’onestà! Tanto vero, che non potendo trovarla in ciò che fa, la vuole in me. Debbo rappresentarla io, la sua onestà» (ibidem); difficilmente, tuttavia, potrà essere questa sorta di “Codici” a “rappresentarci l’onesta”, davanti alla nostra coscienza distratta.

Vale quello che argutamente ci dice il profeta Malachia degli olocausti senza amore per il Signore: «Quando voi offrite un animale zoppo o malato, non è forse un male? Offritelo pure al vostro governatore, pensate che sarà soddisfatto di voi, o che vi accoglierà con benevolenza?» (1,8); piuttosto, sforziamoci di trattare gli “affari di Dio” - che sono poi davvero i “nostri affari” - come quelli che ci stanno più a cuore.