L’onestà di abbandonarsi a Dio

Francesco e il lavoretto onesto dei frati

di Grado Giovanni Merlo
docente di Storia del Cristianesimo presso l’Università degli Studi di Milano

Image 040Un lavoretto per tutti

Nel Testamento, risalente all’ultimo periodo della sua esistenza terminata agli inizi dell’ottobre 1226, frate Francesco d’Assisi ricorda alcuni caratteri della vita che egli e i suoi “fratelli/frati” conducevano negli anni appena successivi al viaggio romano del 1209: vita connotata da povertà, preghiera, lavoro. Sul lavoro frate Francesco così insiste:

«E io con le mie mani lavoravo e voglio lavorare, e fermamente voglio che tutti gli altri fratelli lavorino di un lavoretto (de laboritio) che sia onesto. Coloro che non sanno [lavorare] imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per [dare] l’esempio e per cacciare l’oziosità. E quando non ci sarà data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l’elemosina di porta in porta» (FF 119-120).

Il brano si muove tra ricordo, ammonizione ed esortazione, secondo le profonde intenzioni che guidano la stesura del Testamento. Il ricordo riguarda il lavoro esercitato con le proprie mani dallo stesso frate Francesco che, pur malato e al termine dei suoi giorni, riafferma la volontà di lavorare: a sottolineare l’importanza assoluta dell’indicazione memorativa e propositiva. L’esortazione è verso l’impegno lavorativo di tutti i “fratelli/frati”, anche per quelli che, provenendo da famiglie di livello elevato o da ambienti chiericali e scolastici, non lo avessero mai praticato. L’ammonizione concerne il senso del lavoro, che non doveva essere finalizzato al guadagno e al miglioramento della propria condizione sociale, bensì essere un’occupazione destinata a tener lontana l’oziosità e a manifestare l’immagine pubblica dei “fratelli/frati” in quanto «idioti e sottomessi a tutti» e, come tali, alieni da ogni pretesa e rivendicazione sociali ed economiche: tanto da accettare la concreta possibilità di chiedere l’elemosina, di farsi mendicanti, tra i mendicanti, per vivere.

In tale contesto quale lavoro svolgevano i “fratelli/frati”? Il Testamento utilizza un termine particolare, tra il latino e il volgare, laboritium. Come tradurlo oggi? La parola italiana corrispondente parrebbe essere lavoretto, che in modo più pregnante occorrerebbe volgere e assumere al plurale, lavoretti. I “fratelli/frati” dovevano impegnarsi in lavori umili, di nessun rilievo e, potremmo aggiungere, temporanei e precari: gli stessi lavori che erano svolti dagli “ultimi” e dai “penultimi” della società. I lavori comunque non potevano non essere onesti. L’evidenza dell’aggettivo non spinga subito verso interpretazioni semplicistiche, che occorre invece evitare, ricercando nel corpo degli scritti di frate Francesco il senso o i sensi del termine “onestà”.

Image 050Non cedere alle tentazioni

Le ricorrenze delle parole onestà e onestamente sono poche, quasi che il loro significato fosse ovvio e scontato, immediatamente comprensibile senza ulteriori chiarimenti e precisazioni. Nella Regola non bollata del 1221 vi è un capitolo che riguarda il «modo di servire e lavorare». In esso si precisa che la posizione lavorativa dei “fratelli/frati” non deve essere di comando, né implicare un qualsiasi rapporto con il denaro, né generare alcuna pretesa e attesa. Inoltre, quando siano a servizio presso qualcuno, i “fratelli/frati” non possono esercitare qualsiasi attività «che crei scandalo o arrechi danno alla loro anima»: attività, dunque, che non sia «in contrasto con la salvezza» e che invece «possa essere praticata onestamente». “Onestamente” (honeste) parrebbe avere una duplice direzione: una verso l’esterno dell’individuo e una interiore, poiché in gioco, nei comportamenti dei “fratelli/frati”, c’è il destino eterno di sé stessi e degli altri. Onesto è ciò che non crea scandalo e che non comporta un negativo allontanamento dall’autentica testimonianza evangelica e dalla via della salvezza.

Lo stesso orientamento è rilevabile nel capitolo della Regola non bollata che concerne «i cattivi sguardi e la compagnia delle donne»: entrambi da evitare. In più i “fratelli/frati” sacerdoti sono ammoniti affinché «discorrano onestamente» con le donne «quando danno la penitenza o qualche consiglio spirituale» ad alcuna di loro. In modo onesto sia ci si deve comportare sia si deve parlare, poiché l’onestà è propria degli individui «miti, pacifici e modesti, mansueti e umili», i quali «parlano onestamente con tutti, come conviene». Le ultime espressioni sono tratte dal capitolo terzo della Regola bollata del 1223, in cui si mettono in stretta relazione e dipendenza le virtù evangeliche della mitezza, pacificità, modestia, mansuetudine e umiltà con l’onestà della comunicazione verbale - ma non solo - con gli altri.

Stare nella volontà di Dio

L’aggettivo onesto compare ancora in altri due testi di frate Francesco. Nella Lettera ai chierici e nella Lettera ai custodi si leggono le seguenti medesime espressioni: «I nomi e le parole scritti del Signore, dovunque siano trovati in luoghi immondi, siano raccolti e collocati in luogo onesto». Il contrasto è qui tra immondo e onesto, sottolineando come il primo aggettivo sia collocabile in un contesto contrario a ogni disegno di salvezza, mentre il secondo è consentaneo con il piano soteriologico.

Perciò, tornando alle parole del Testamento «lavoretto che sia onesto», da quanto abbiamo sinora detto deduciamo che i lavoretti in cui erano impegnati i “fratelli/frati” della prima generazione minoritica e in cui erano invitati a impegnarsi i “fratelli/frati” del presente e del futuro, non dovevano condurre lontano dalla salvezza eterna, ma costituire un mezzo per esserne degni e uno stimolo esemplare per gli altri: nella subordinazione a ogni creatura e, quindi, anche attraverso i lavoretti destinati alla sopravvivenza, ovvero attraverso la precarietà di lavoretti per avere il pane e il poco companatico quotidiani. Il tutto all’interno di una testimonianza cristiana che dimostrava come i “fratelli/frati”, non diversamente dagli uccelli del cielo e dai fiori dei campi, riponessero totalmente la loro propria «volontà nella volontà del Padre».