Scaltri come colombe

Rilettura critica della parabola dell’amministratore disonesto

di Giancarlo Biguzzi
docente di Nuovo Testamento all’Università Urbaniana e al Pontificio Istituto Biblico

Image 030Titoli di coda

I titoli di certi film o di certi romanzi sono tratti spesso da una loro battuta. Basti l’esempio di Signori si nasce del 1960 dove Totò pronuncia una sola volta quella frase, con la folgorante aggiunta: «… e io lo nacqui!». Questo insegna molto ai lettori delle parabole di Gesù che siamo noi. Ebbene, la battuta che deve dare il titolo alla scomoda parabola dell’amministratore licenziato per frode è quella che la chiude: «Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza» (Lc 16,8). La riprova è che Gesù ad essa si collega nel suo commento in cui riprende il termine e il tema della scaltrezza: «[E fece bene a elogiarlo,] perché i figli di questo mondo […] sono più scaltri dei figli della luce».

La punta della parabola è, dunque, quella della scaltrezza, termine usato nella versione della CEI del 2008, ma meglio sarebbe stato scrivere “accortezza”, “prontezza di spirito”. Il tema è frequente nelle parabole evangeliche: il padrone mette a capo della servitù evidentemente un servo avveduto e coscienzioso (Lc 12,42); è poi avveduto e assennato chi costruisce la casa non sulla sabbia ma sulla roccia (Mt 7,24); sono avvedute e preveggenti le cinque ragazze che nella notte vanno al corteo nuziale con la fiaschetta piena di olio di riserva (Mt 25,2), e avveduti come i serpenti, e non solo semplici come le colombe (Mt 10,16), devono essere infine i discepoli di Gesù che egli manda come agnelli fra i lupi.

L’arma dell’accortezza

In tutte le salse, dunque, Gesù invita all’accortezza. Di essa c’è bisogno nello scontro, furibondo e senza esclusione di colpi, tra bene e male, che la nostra povera umanità si trova a vivere e da cui ognuno di noi è quotidianamente attraversato. Qui si può citare il lungo romanzo (e i relativi film) del Signore degli anelli che, nel bel mezzo del relativismo novecentesco, non ha avuto paura di parlare, e con quali tinte!, di bene e di male. Nella parabola di Gesù l’alternativa è tra «figli di questo mondo» e «figli della luce», e la constatazione di Gesù secondo cui i figli delle tenebre sono più accorti che i figli della luce è molto amara e deve fare molto pensare. Nell’insegnamento di Gesù poi c’è bisogno di accortezza soprattutto quando sono in gioco le cose che valgono, per essere pronti a disfarsi di quelle che non valgono e che ad esse sono di ostacolo: «Un occhio, una mano, o un piede ti sono di ostacolo? Tagliali! È meglio entrare nel Regno con un occhio solo ecc.».

È per questo che Gesù mette provocatoriamente come protagonista della sua parabola un gaglioffo che però merita di essere elogiato perché si è mosso con accortezza: l’esempio è tratto dal campo negativo al fine di scuotere coloro che nello schieramento giusto se ne stanno ignavi e incoscienti, senza rendersi conto che ne va di loro stessi e di tutti.

Sul lato provocatorio della parabola, e cioè sull’elogio del disonesto, è bene insistere. La predicazione e la spiritualità cristiane hanno troppo esclusivamente selezionato e proposto i risvolti edificanti delle pagine bibliche, per cui è raro che si commenti la morte istantanea di Anania e Saffira per aver mentito a Pietro (At 5,1ss), o la sentenza della pietra scartata (e cioè Gesù morto e risorto) a proposito della quale si dice: «Chiunque cadrà su quella pietra si sfracellerà e colui sul quale essa cadrà verrà stritolato» (Lc 20,18), o, ancora, l’epiteto di «cani» (Fil 3,2) e di «falsi apostoli, lavoratori fraudolenti» (2Cor 11,13) che Paolo affibbia a missionari, cristiani come lui.

Certe operazioni cosmetiche, come quelle della koinè parrocchiale, sono comprensibili e forse inevitabili ma, come si dice colloquialmente, «non si possono mangiare sempre e solo dolci». Dall’incontro con persone oltre misura devote e pie si esce talvolta sentendosi così inzuccherati, dolcificati, spalmati di miele… che viene voglia di correre a farsi la doccia. E questo si può dire anche di certe immagini di Gesù, sia nella catechesi che nell’iconografia: il tipo iconografico di “Gesù-Sacro Cuore”, ad esempio, praticamente non è mai stato riscattato da tratti dolciastri o addirittura femminei. Ma il Gesù dei vangeli ha anche cacciato i venditori e compratori dai cortili del tempio brandendo la frusta, ha disseccato il fico infruttuoso, e ha gridato «Guai a voi, guide cieche … Ciechi che guidano nel fosso!». Nella vita quotidiana e nel messaggio evangelico e nello stesso Gesù c’è una complessità che non si può innocuamente eliminare. Certo!, al cuore del vangelo c’è il duplice amore, come affermano testi numerosi, centrali e ineludibili, ma c’è anche bisogno e urgenza di realismo.

Image 039Dolcezza e realismo

Nel suo elogio dell’agape (1Cor 13) Paolo insiste a lungo sulla carità che agisce magnanimamente e benevolmente, che non tiene conto del male ricevuto, che tutto sopporta e tutto crede… ma nel v. 6, Paolo scrive anche: «L’agape non gode dell’ingiustizia», così che sul volto di lei si deve saper cogliere anche la nobile smorfia dell’ira.

Il cerchio si sta chiudendo perché, se il padrone della parabola elogiava l’amministratore disonesto (non perché disonesto ma perché accorto), è proprio contro la disonestà e l’ingiustizia che donna Agape di 1Cor 13 agita la verga della sua condanna. L’Agape di Paolo è come Giano: è bifronte, e vede davanti a sé il bene per compierlo, ma vede anche alle spalle, e sta all’erta per difendersi dall’insidia del male che non è affatto remota.

Si è disonesti dunque quando si semplifica ciò che è complesso, quando si riduce l’ampio spettro della fede a solo uno spicchio di essa, quando se ne ingigantisce un tratto rendendola una caricatura, perché si rompono l’equilibrio e l’armonia che la devono caratterizzare. Anche quella nei confronti del vangelo, del suo dettato e del suo spirito… è onestà, e disonesto è chi, come Enrico IV, dice: «Parigi val bene una messa». La messa come merce di scambio per avere Parigi è come quando si chiude un occhio sul vangelo per avere vantaggi e privilegi, accomodamenti e scorciatoie. Tempo fa apparve un libro dal titolo Honest to God (Onesto con Dio). Non è onesto chi defrauda negli affari, ma si può dunque essere non onesti con Dio, e questo accade se di lui si parla sciattamente, con frasi fatte e consunte, di routine, invece che con un discorso pensato, accurato, rispettoso del suo infinito mistero.

Gesù diceva che non si possono servire Dio «e» mammona, ma con tutti e due bisogna essere onesti.

Segnaliamo il volume:

Giancarlo Biguzzi - Carlo Bazzi (a cura)

Cantiere aperto sul Gesù storico

Urbaniana University Press, Roma 2012, pp. 272