Ci sono libri che offrono un’impostazione di vita; che, senza plagiarti, ti aiutano a scoprire qualcosa di vero che hai dentro: un talento, un’attitudine, una sensibilità, che rischierebbe, se non fosse percepito e razionalizzato, di rimanere sepolto, perdendo con esso anche qualcosa di noi. Sono libri esistenziali che, dopo letti, potremo sempre riprendere in mano per una nuova ispirazione. In questo caso parliamo di “Vita di Pi” di Yann Martel e “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry.

Alessandro Casadio

Image 249Vita di Pi

un libro di Yann Martel
Piemme, Milano 2012, pp. 336

Forse, più che di un libro, si tratta di un’opportunità per riflettere intensamente sulla nostra voglia di vivere e di quanto siamo disposti a metterci in gioco per ricercarne il senso. Il libro, attraverso il racconto della vita di Pi, vuole farci aprire gli occhi su come ciò che ci circonda possa aprirci la via verso l’infinito, verso quel mare di meraviglie che distrattamente scegliamo di ignorare. Il suo lento navigare, i dettagli descritti minuziosamente dall’autore ci svelano la vera essenza del viaggio, attraverso il puro sguardo del protagonista. Articolata in tre grandi capitoli, la storia, raccontata in prima persona, ci guida in un cammino iniziatico all’esistenza di un ragazzo, figlio del padrone di uno zoo, nell’India di Indira Ghandi. Il suo grande viaggio è reso autentico e impreziosito dallo spirito religioso (cristianesimo, induismo e islamismo), che il protagonista abbraccia contemporaneamente con estremo candore, fino al punto di generare sconcerto tra i suoi stessi maestri, ministri dei diversi culti. Non c’è qui un anelito di mediazione interreligiosa, quanto più la sete di abbracciare totalmente l’esistenza, resa motivata e comprensibile dal dialogo con Dio. Per tutto il romanzo, infatti, ritorneranno insegnamenti e chiavi per la lettura delle difficoltà di volta in volta incontrate, suggerite dal medesimo spirito.

Un altro fattore essenziale nell’approccio all’esistenza è la consapevolezza di un dinamismo relazionale con le altre creature. Affrontando a tratti con crudezza le leggi che regolano questi legami, facendosi forza dell’esperienza maturata dal protagonista nella sua infanzia, l’autore pone il lettore in maniera quasi ancestrale di fronte alle proprie domande di senso, le cui risposte autentiche hanno sempre come antagonista la paura, che a volte si insinua impercettibile nelle nostre scelte e in altri casi le condiziona ferocemente. Tutto efficacemente raccontato nel naufragio su una scialuppa in compagnia di una tigre del bengala.

Un sottile gioco sui nomi armonizza con un garbato velo di ironia tutta la storia, regalandoci un prezioso taccuino di testimonianza per la nostra ricerca. (AC)