In Missione di aprile racconta prima la storia di un viaggio-esperienza che il Clan “La sorgente” Imola 3 ha fatto in Dawro Konta a fine dicembre, con ventitré scout pronti a portare un po’ dell’esperienza acquisita in Italia in aiuto ai capi scout dell’Etiopia, poi festeggia un compleanno importante: il 1° aprile l’EMI, l’Editrice Missionaria Italiana, ha spento quaranta candeline e noi vogliamo ricordare questi meravigliosi anni con le parole di Francesco Grasselli, per tanto tempo alla guida di questa piccola grande amica della missione.

Saverio Orselli

La dignità del niente

Breve storia di un viaggio-esperienza di un Clan scout di Imola

Image 156Anche se può sembrare un’esagerazione, il loro viaggio-esperienza è durato oltre un anno. In realtà i giorni trascorsi nel Dawro Konta, in Etiopia, sono stati non più di una dozzina, ma per riuscire a raccogliere i fondi necessari per un gruppo di ventitré scout - il Clan “La sorgente” Imola 3 - c’è voluto oltre un anno di lavori straordinari, dalla spalatura della neve (per una volta, grazie a Dio ne è venuta tanta!) al servizio di catering per feste tra amici. Ma quante badilate di neve e torte occorrono per pagare il volo aereo di un così folto gruppo di giovani è difficile immaginarlo…

Ad aspettarli in Dawro, padre Renzo Mancini, missionario cappuccino con un cuore scout. Significative le parole di Roberta, “capo fuoco”, che commenta: «Chissà, forse noi abbiamo piantato un seme, dall’insegnare a giocare a scalpo o a ruba bandiera figurata, allo stare assieme a loro, ma quel che abbiamo dato a loro secondo me è ben poco rispetto a quello che loro sono riusciti a dare a noi».

Felici del poco

Tra le immagini registrate durante il viaggio, anche le parole di padre Renzo nel primo incontro tra il Clan imolese e i Capi scout etiopi: «Il nostro obiettivo in questi giorni è questo: gli scout italiani, i quali vivono già in una comunità, stanno cercando di vivere una esperienza speciale per loro stessi e ci accettano come capi scout etiopi per stare con loro. Possiamo quindi cercare di usare la loro esperienza per trarne aiuto così come anche noi offriremo loro la nostra esperienza. Anche noi siamo scout da anni e quindi possiamo veramente condividere le conoscenze. Qui con noi c’è un bel gruppo: avranno tempo ed energie sufficienti per stare con noi e per insegnarci qualcosa». Dice Roberta, ripensando all’incontro tra le due realtà scout: «Loro non fanno lo scoutismo come lo intendiamo noi, anche perché c’è un capo con trecento bambini… ovviamente il concetto è diverso, in una situazione che sta crescendo. Loro dovranno trovare il loro modo di fare scoutismo, perché partono da una cultura diversa».

Approfittando di uno degli incontri settimanali del Clan, ho provato a raccogliere le impressioni dei ragazzi, qualche settimana dopo il ritorno. «Abbiamo iniziato a pensare di fare questa esperienza in Africa circa un anno e mezzo fa e da allora, attraverso svariate forme di finanziamento e in periodi alterni facendo vari lavori concentrati nei fine settimana, siamo riusciti a pagarci ampiamente il viaggio». «Pensavamo di trovare persone infelici perché - dal nostro punto di vista - non avevano niente e invece abbiamo trovato persone felici anche del poco a disposizione». «Siamo stati accolti con curiosità e con calore: nonostante non ci conoscessero avevano un atteggiamento accogliente, magari prendendoci per mano o sorridendoci e tentando di essere socievoli il più possibile, nei limiti di un rapporto reso comunque difficile dal non conoscere la lingua dell’altro». «È vero, comunque, che abbiamo incontrato anche qualche anziano più diffidente nei nostri confronti, forse vedendo in noi persone arrivate da tutta un’altra realtà, convinte di essere lì per far del bene…». «L’accoglienza più bella è stata senz’altro quella dei bambini». «Una cosa che ci ha colpito della gente che abbiamo incontrato è la grande dignità, nonostante la povertà diffusa. Se hanno un vestito, lo portano bene e fino al totale logoramento: per la loro cultura le cose vanno usate fino in fondo e solo dopo puoi prendere qualcosa d’altro. Certo non hanno tante cose. Io pensavo di arrivare in un luogo povero non solo materialmente ma anche moralmente, convinto che non avere quasi niente di tutto quello che abbiamo noi potesse spingere a compiere furti, come potrebbe accadere qui. E invece non abbiamo trovato nulla di tutto questo, se non un episodio al mercato rapidamente risolto da loro stessi, così come non abbiamo visto bambini malati o malconci. Abbiamo davvero incontrato una grande dignità. Per non parlare delle loro liturgie: sono delle vere feste, con le donne che arrivano alla chiesa già cantando e danzando da chissà dove o la raccolta delle offerte in cui tutti donano qualcosa, dalle due pecore al sacco di grano e fino ad un elastico, che può servire a qualcuno nella comunità».

Image 166La capacità di condividere

I filmati del viaggio raccontano molto bene delle attività che hanno visto impegnato il Clan nel Dawro Konta. Sicuramente i ragazzi hanno affrontato lo scambio di esperienze con i capi scout in Etiopia in modo più sciolto rispetto al rapporto col mio piccolo registratore acceso, in attesa dei loro ricordi e delle loro emozioni. Alla domanda se si erano sentiti più pellegrini o più turisti non hanno mostrato dubbi: certamente più turisti, anche se non era forse la loro intenzione. Le stesse attenzioni dei locali, decisi a non permettere loro di viaggiare nel cassone del pick-up (occupato da loro) ma solo nella cabina, li hanno fatti sentire ospiti di riguardo.

«Un’altra cosa che colpisce molto è la loro capacità di condivisione che arriva persino a condividere le forchettate di cibo nel piatto… Diverso è lo stile nell’affrontare le attività, come le camminate, ad esempio i 12 km di quando siamo andati a Waka: noi con scarponi e loro in ciabatte se non a piedi nudi o come le nostre creme solari e i cerotti per le vesciche, per loro sconosciute».

Lo scambio tra realtà scout è stato portato avanti a diversi livelli, con i capi imolesi impegnati a fare formazione ai rappresentanti scout dell’Etiopia - una dozzina circa - mentre i più giovani facevano altre attività con i lupetti locali il pomeriggio. La mattina era dedicata a lavori di tipo manuale, come il costruire una stalla o altri aiuti necessari alla comunità locale di Gassa Chare. «Con i lupetti abbiamo fatto molti giochi che ci eravamo preparati qui e poi altri che ci sono venuti in mente sul posto, nella speranza di trasmettere la mentalità scout». «Alla fine non erano certo solo i lupetti a venire a giocare, ma tutti i bambini del villaggio, attirati da giochi mai fatti prima. Quello che mi ha colpito è che se mi sforzavo di usare con loro qualche parola della loro lingua, si sentivano maggiormente spinti a venire da me ed erano più socievoli».

«Abbiamo fatto molte attività legate al mondo scout, ma anche tanto turismo con padre Renzo che ci ha portato in giro in diversi posti. In fondo, dopo tanti anni, era la prima volta che aveva a disposizione un gruppo scout italiano così grande e ha approfittato giustamente della nostra presenza per presentare lo scoutismo in vari villaggi, anche se le due realtà sono solo parenti alla lontana». Impressione questa confermata dai capi, ai quali è capitato il difficile ruolo indicato da padre Renzo e cioè di curare la formazione: «La difficoltà maggiore è stato rendersi conto della mancanza di una base linguistica comune, lo scoutese. Ma, dopo un primo momento di difficoltà, abbiamo aggiustato il tiro e con qualche gioco e qualche elemento comune siamo riusciti ad affrontare l’impegno. Si può riassumere l’esperienza dicendo che abbiamo dato spazio più alle attività pratiche che alla teoria».

Un gesto significativo per concludere l’incontro con il Clan “La sorgente” Imola 3: quasi tutte le mani si sono alzate rapidamente alla domanda «chi di voi vorrebbe tornare a fare questa esperienza?», a dimostrazione che il viaggio esperienza ha lasciato un segno. Un segno positivo.