Sposati con madonna Povertà

Scegliere la povertà per mettersi in relazione fruttuosa col mondo 

di Dino Dozzi 

Image 040Fratello di tutti

Le ciliegie di Vignola, le patate di Montese, l’albana di Dozza, solo per restare da queste parti: l’elenco potrebbe continuare a lungo. La povertà di san Francesco. Chi dice povertà pensa a san Francesco e ai francescani. Non solo per le discussioni e le lotte che hanno caratterizzato la storia del francescanesimo fin dagli inizi proprio sull’interpretazione della povertà, ma anche, e speriamo soprattutto, perché la povertà fa parte del nucleo profondo dell’intuizione e della proposta evangelica del santo di Assisi e continua a caratterizzare, speriamo non solo nell’immaginario collettivo, la tradizione e la vita dei francescani.

Va detto subito che per Francesco la povertà è importantissima, ma non è la cosa più importante. Egli vede e vive la povertà come condizione per essere minore di tutti; e poi vede e vive la minorità come condizione per essere fratello di tutti. La sua classifica è dunque la seguente: al primo posto la fraternità, al secondo la minorità; la povertà deve accontentarsi della medaglia di bronzo. Bene che vada, perché di povertà, ieri e oggi, ce n’è anche troppa nel mondo: bisogna darsi da fare perché ce ne sia di meno. E il modo più efficace per fare questo è farsi poveri. Esattamente come ha fatto Gesù che «da ricco che era si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi» (2Cor 8,9). Esattamente come facevano i primi cristiani che mettevano tutto in comune, cosicché non c’era più tra di loro chi fosse nel bisogno (cf. At 2,45).

Image 044I suoi seguaci san Francesco li ha chiamati “fratres minores”: il primo termine significa “fratelli”, persone con sentimenti fraterni (da non dimenticare quando lo si traduce “frati” che oggi fa riferimento ad una categoria religiosa o sociale); “minores” è uno strano comparativo perché privo di termine di comparazione. La definizione va dunque intesa come “fratelli minori di tutti”, fratelli che si mettono all’ultimo posto per potersi realmente sentire ed essere sentiti come “fratelli di tutti”. Come si vede, nel nome ufficiale non figura la povertà, che è però inclusa nella minorità. Se si vuole davvero essere fratelli di tutti, bisogna essere al livello degli ultimi, anche economicamente.

Ma non basta la povertà materiale, che potrebbe diventare - come di fatto storicamente accadde - motivo di orgoglio spirituale per sentirsi più bravi degli altri, superiori e non più “minori” di tutti. Per questo la povertà, sottolinea Francesco nei suoi scritti, dovrà sempre essere accompagnata dall’umiltà, il terreno (illuminante è l’etimologia da “humus”) su cui possono crescere tutte le virtù, e senza la quale nessuna virtù resta tale. Rinunciare a tutto, ma mantenere l’orgoglio di sentirsi migliori degli altri e il diritto di giudicarli e disprezzarli, non sarebbe povertà francescana. La povertà va sempre accompagnata dall’umiltà e da sentimenti fraterni nei confronti di tutti, ricchi compresi. «Senza nulla di proprio»: questa l’espressione che Francesco usa per indicare la povertà, e quel “nulla” esclude anche l’orgoglio e il giudizio degli altri.

Specialisti di povertà

I francescani sono gli specialisti della povertà: si spera lo siano a livello di vita vissuta, certamente lo sono a livello di riflessione. Fin dall’inizio hanno fatto la distinzione tra la povertà subìta e quella scelta: reale e sofferta la prima, abbracciata e discussa la seconda. Occupati come sono a sopravvivere, i poveri veri hanno poco tempo per disquisire sulla povertà. Di questo si occuperanno coloro che la povertà l’hanno scelta. Ma non c’è ironia in questo discorso: sarà la riflessione anche teorica dei francescani ad indicare le strade per uscire dalla povertà subìta. Saranno loro ad inventare i Monti di pietà che porranno un valido argine all’usura e allo strozzinaggio; nasceranno da loro gli ospedali per i nullatenenti; ci saranno soprattutto loro tra i lebbrosi e gli appestati; saranno loro a questuare cibo e offerte anche per se stessi, ma anche per condividerli poi con altri poveri alla portineria del convento.

Francesco aveva qualche perplessità riguardo ai libri e agli studi: vedeva che spesso portano in dote orgoglio e superbia. Ma lui ancora vivente e ancor più dopo la sua morte, tipi come Antonio di Padova e Bonaventura da Bagnoregio stimano molto i libri e pongono la domanda sul loro utilizzo per aiutare i poveri sotto molti aspetti, da quello sociale a quello culturale a quello spirituale. E la storia andrà in quella direzione, da Antonio a cui Francesco stesso darà il permesso di studiare e insegnare teologia, ai tanti che seguiranno e ai quali verrà poi riconosciuta la qualifica di “scuola francescana”, una delle più profonde e stimolanti sia ieri che oggi. Povertà non è nascondere e seppellire i talenti ricevuti, ma farli fruttare per il bene di tutti. Vale per il denaro come per le doti di intelligenza e di cuore.

Image 051Nella gioia e nella letizia

“Come gli altri poveri” è il modello sociale e concreto che Francesco propone ai suoi frati per quanto riguarda il cibo, il vestito, l’abitazione; “come il Signore Gesù Cristo” è il modello spirituale per quanto riguarda il modo, i sentimenti con cui vivere. La povertà francescana dovrà avere in ogni tempo e in ogni contesto geografico questi due punti di riferimento: la concretezza della povertà dei poveri e i sentimenti che furono in Cristo Gesù. Anche recentemente, nel 1998, i frati cappuccini hanno dedicato un loro Consiglio Plenario alla riflessione su come vivere oggi la povertà in fraternità nei vari Paesi del mondo.

Si tratta di una povertà scelta e quindi andrà vissuta nella gioia, o nella “letizia” per usare un termine tipicamente francescano. Nella Regola Francesco scriverà che i frati «devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada» (Rnb, IX,2: FF 30). Qui appare evidente lo stretto e necessario collegamento tra povertà, minorità e fraternità; tra il vivere per i poveri, con i poveri e da poveri. Il tutto nella gioia espressa anche in quella straordinaria allegoria del Sacrum commercium sancti Francisci cum domina Paupertate (FF 1959-2028), che non si sa ancor bene come sia meglio tradurre: contratto? alleanza? nozze? L’anonimo autore della seconda metà del XIII secolo riesce comunque a trovare immagini e parole di alta poesia per esprimere l’ammirazione entusiasta per la coppia felice frate Francesco-madonna Povertà.

Ma è soprattutto in tempi di crisi economica come i nostri che la povertà francescana può avere qualcosa da suggerire/regalare a tutti: una verifica per stabilire che cosa è davvero necessario e che cosa è superfluo; il recupero di uno stile di vita più semplice, sobrio ed austero rispetto a quello proposto dalla pubblicità consumistica; un cambiamento di prospettiva che privilegi la qualità delle relazioni interpersonali rispetto alla quantità delle cose possedute. La crisi economica, da grande disgrazia, potrebbe così diventare per tutti provvidenziale occasione di arricchimento in umanità. È il suggerimento di quel Poverello che, oltre ad essere ammirato da tutti, potrebbe forse venire anche imitato da qualcuno.