I poveri, oggetto e soggetto di rivelazione

La presenza perenne dei poveri ci garantisce la compagnia di Gesù

di Giuseppe Scimè
docente di Patrologia alla Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna

Image 031Dal vangelo ai Padri della Chiesa

«I poveri li avete sempre con voi» (Mt 26,11) sono parole di Gesù che emergono unanimemente dalla più antica tradizione evangelica e sembrano affermare simultaneamente il primato preteso dal Maestro nei confronti dei suoi discepoli nell’urgenza del tempo che si è fatto breve - «non sempre mi avete» (Mt 26,11) - e la continuità della presenza del Risorto - «io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20) - nella persona dei poveri. Il vangelo afferma così nello stesso momento che «Dio è l’unico Signore» (Dt 6,4) e che la sua presenza permane nei poveri, «i più piccoli dei miei fratelli» (Mt 25,40).

L’affermata permanenza sostanziale del Cristo nei poveri e la permanenza storica dei poveri, i primi destinatari della buona notizia, nel cristianesimo primitivo spingono tutta la nuova comunità fondata da Gesù nella direzione di una vita attenta a chi si trova nel bisogno, perché a nessuno manchi il necessario per la sopravvivenza. I Padri della Chiesa, spesso provenienti da ceti sociali alti e acculturati, hanno recepito ed elaborato per primi tale elemento non secondario dell’antica tradizione di origine apostolica ed hanno cercato di vivere la povertà sia conducendo personalmente una vita sobria sia invitando i fedeli a vivere poveramente e a servire i poveri. Le sette opere di misericordia corporale - dar da mangiare agli affamati… - riflettono tardivamente un sentire anticamente diffuso.

Se tra la fine del II e l’inizio del III secolo Clemente rivolge ai cristiani ricchi di Alessandria d’Egitto la sua esortazione per la salvezza distinguendo tra beni materiali e spirituali e giustificando anche l’uso dei primi per il bene del prossimo, Basilio di Cesarea in Cappadocia, nella seconda metà del IV secolo, scrive nettamente: «Sono poveri in spirito quelli che non sono divenuti poveri per altra causa che non sia l’insegnamento del Signore che ha detto: “Va’, vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri”. Se però uno accetta la povertà in cui venga a trovarsi per un motivo qualsiasi e la vive secondo la volontà di Dio come Lazzaro, neppure costui è estraneo a quella beatitudine» (Regole brevi 205). In tale dottrina vi è congiuntamente l’asserzione che da una parte la povertà va liberamente scelta da parte del battezzato che voglia essere fedele al vangelo e d’altra parte va accolta da circostanze contingenti nelle quali il cristiano venga di fatto comunque a trovarsi: libertà di scelta e stato di necessità sono da intendersi ugualmente come condizioni nelle quali si viene riconosciuti beati perché poveri.

Il monachesimo

Nell’ambivalenza necessariamente pastorale e perciò onnicomprensiva di ogni interlocutore, povero o ricco, colto o indotto, la letteratura patristica ospita dall’inizio del IV secolo in Egitto un ambiente, quello monastico, nel quale la povertà è fortemente legata ai dettami fondamentali descritti dai sommari lucani degli Atti degli Apostoli relativi alla vita della prima comunità cristiana di Gerusalemme. Povertà diviene qui rinuncia alla proprietà privata, consegna dei beni materiali a chi guida la comunità, redistribuzione ad ogni membro a seconda del bisogno, condivisione con chi ha di meno perché i fratelli siano uguali e formino un cuore solo ed un’anima sola. In una parola povertà diviene sinonimo di comunione.

Gli apophtegmata Patrum sono ricchi di detti sapienziali e di aneddoti - che talora rasentano l’assurdo ed il ridicolo - riguardanti la radicalità della scelta evangelica e realmente totalizzante della povertà, intesa sia materialmente sia soprattutto spiritualmente. Agli inizi del movimento monastico troviamo tratti sconcertanti di rifiuto categorico della cultura letteraria: «Il padre Teodoro di Ferme possedeva tre bei libri; si recò dal padre Macario e gli disse: “Ho tre bei libri che mi sono molto utili. Anche i fratelli li usano e ne traggono vantaggio. Dimmi, che devo fare? Li tengo per l’utilità mia e dei fratelli, oppure li vendo e do il ricavato ai poveri?”. “Buone cose ambedue - rispose l’anziano - ma la cosa migliore di tutte è il non possedere nulla”. A queste parole, Teodoro se ne andò, vendette i libri e distribuì il danaro ai poveri» (Vita e detti dei Padri del deserto, vol. I, p. 221).

Più tardi e altrove appaiono segnali del tutto contrari: il monachesimo colto e raffinato di Girolamo a Betlemme alla fine del IV secolo anticipa la prosperità secolare dei celebri scrittoi dei monasteri benedettini medievali che hanno ricoperto un ruolo fondamentale non solo per la conservazione dell’antica cultura libraria, classica, biblica e patristica, ma anche per la promozione sociale e l’ascesa economica delle nostre regioni.

Da Benedetto e Francesco ai nostri giorni

Image 035Se a Benedetto di Norcia è stato riconosciuto il prestigioso patronato dell’Europa, esso è stato pagato al caro prezzo di una povertà divenuta soprattutto virtù spirituale e meno stile di vita liberamente scelto. Comprendiamo per naturale reazione il ritorno del Poverello d’Assisi all’itineranza motivata dall’abbraccio suadente di madonna Povertà.

Nei nostri anni, ritornando a nostra volta, con la suggestione arcana degli anniversari, alle fonti conciliari, ci rendiamo conto che i testi del Vaticano II su Cristo povero e sui poveri sono forse più rari e comunque meno incisivi nel tessuto vitale delle nostre comunità cristiane di quelli sulla necessità di lottare contro la povertà e di aiutare generosamente le chiese povere. La Chiesa povera, la Chiesa dei poveri, è forse rimasta in ombra e minoritaria.

Don Giuseppe Dossetti, segretario particolare del card. Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, e protagonista con lui del rinnovamento conciliare, vedeva bene come la povertà e la pace dovessero essere riconosciute come il cuore palpitante della Chiesa sognata da papa Giovanni con l’ispirazione estraniante di un Concilio ecumenico. Il 25 Marzo 1978, Sabato Santo, commentando la nostra frase di Gesù, don Giuseppe Dossetti diceva: «Gesù non rinnega, evidentemente, la sua presenza nei poveri, ma dice che la presenza sua in quel momento è una presenza tale, così forte, come non lo è la sua vera e reale presenza nei poveri» (Omelie e istruzioni pasquali 1975-1978, p. 234). 

Segnaliamo il volume:

GIUSEPPE Dossetti
Omelie e istruzioni pasquali 1975-1978
Paoline, Milano 2009, pp. 296