Come acqua che pugno non trattiene

«Lo Spirito Santo, ministro generale dell’Ordine, si posa egualmente sul povero e il semplice» (FF 779)

di Dino Dozzi 

Image 045Non si può imbrigliare lo Spirito

È difficile tenere dell’acqua in pugno: ti sfugge da tutte le parti. Forse è per questo che quella notte a Nicodemo, voglioso di avere tutto sotto controllo, Gesù dice che «se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5). Il vento poi come fai a prenderlo? «Soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8). Nella professione di fede che si recita a messa diciamo «credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita»: il “mestiere” dello Spirito, dentro e fuori della Trinità, è dare la vita; e la vita, come l’acqua e come il vento, è difficilmente prevedibile e imbrigliabile.

Francesco d’Assisi - che non è biblista né teologo di professione, ma che di bibbia insaziabilmente si nutre e che teologia trasuda da tutti i pori per contemplazione ed esperienza diretta - dice che del suo Ordine è ministro generale lo Spirito Santo, il quale «si posa egualmente sul povero ed il semplice» (cf. Tommaso da Celano, Memoriale nel desiderio dell’anima, 193: FF 779). È nota la battuta secondo la quale «non è impossibile governare gli italiani, è inutile». Qualcosa di simile deve aver pensato Francesco d’Assisi che faceva fatica a chiamare “Ordine” quel gruppo piuttosto eterogeneo di frati che andava crescendo a dismisura, affascinato e attratto dal suo esempio, ma perpetuamente in discussione sull’interpretazione della sua regola.

“Un Ordine in disordine” non è solo il titolo di una rubrica fissa della rivista ultratradizionalista Sì sì, no no a proposito del variegato mondo cappuccino - una parte dell’ancor più variegato mondo francescano - ma potrebbe esprimere, in qualche modo, l’anima profonda del gruppo più numeroso e più vivace ancor oggi presente nella Madre Chiesa. È un tronco vivo il francescanesimo e da otto secoli continua a “buttare” polloni: alcuni avranno la vita di una stagione, altri diventeranno rami secolari; ma è proprio inutile cercare di imbrigliarlo e di regolamentarlo. Difficile è tenere l’acqua in pugno e prevedere la direzione del vento. San Francesco l’aveva capito: già nel 1220 aveva dato le dimissioni da ministro generale in favore dello Spirito Santo (anche se, come vicario e per salvare le apparenze, indicherà Pietro Cattani).

Obbedirsi vicendevolmente

Ma la radice del “disordine” francescano l’ha piantata Francesco stesso. Prima di tutto con tutte le sue resistenze a scrivere una regola per i frati: pensa infatti che basti il vangelo, parola di Gesù letta nello Spirito. Ma la “santa” alleanza tra frati giuristi e curia romana lo costringerà a scrivere la Regola non bollata e poi quella bollata. Si rifarà con un paio di testamenti, che preferiva perché più in presa diretta con la vita. Ma nelle Regole stesse non tutto è giuridicamente chiaro e ordinato. Si prendano ad esempio i capitoli da IV a VI della Regola non bollata, dove si parla dei rapporti all’interno della fraternità. Certo, viene detto che “gli altri frati” debbono obbedire ai “ministri” (si noti la terminologia che esclude “superiori” e “sudditi”), ma poi in V,14 (FF 20) ecco una norma che scardina ogni rapporto giuridicamente ordinato: tutti i frati «di buon grado si servano e si obbediscano vicendevolmente». L’obbedienza vicendevole ha ben poco di giuridico, ma ha molto di spirituale. Come dire: bene l’obbedienza alla regola, ma ancor meglio l’obbedienza allo Spirito Santo, che può esprimersi sia con la voce dei ministri sia con quella dei poveri e dei semplici.

Un altro esempio della “libertà spirituale” che la Regola non bollata dà ai frati lo troviamo nel capitolo XVI che descrive la vita di «quei frati che per divina ispirazione vorranno andare tra i saraceni ed altri infedeli» (XVI,3: FF 42). Vengono presentati due modi: «il primo è che non facciano liti né dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani». Le “creature umane” alle quali “essere soggetti” in quei luoghi sono concretamente gli infedeli: il rapporto di obbedienza vicendevole che abbiamo trovato nei capitoli IV-VI e che si riferiva ai frati viene ora allargato a tutti, infedeli compresi. I casi sono due: o Francesco ha dimenticato quel “bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini” di At 5,29 oppure pensa che lo Spirito di Dio possa esprimersi anche attraverso quegli “infedeli”. L’orizzonte mentale dei suoi scritti fa propendere per la seconda ipotesi.

Il secondo modo suggerito ai frati missionari è che «quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano» (XVI,7: FF 43). Come faranno i frati a vedere il momento opportuno per passare dalla testimonianza silenziosa e minoritica di fraternità alla predicazione esplicita del vangelo? Saranno loro stessi a decidere: la manifestazione della volontà del Signore passerà attraverso il loro discernimento. Grande libertà viene loro data e grande responsabilità, che non possono basarsi se non nel riconoscere che in tutti loro è presente e agisce lo Spirito di Dio: è il primato della libertà responsabile rispetto alla rigida osservanza delle norme.

Image 050Ordine in disordine creativo

Il capitolo XXIV della Regola non bollata, quello conclusivo, offre la chiave di lettura globale della vita francescana. La cosa fondamentale è cogliere «tenorem et sensum eorum quae in ista vita scripta sunt» (FF 72) e cioè: obbedire a Cristo che parla nel vangelo vissuto nella Chiesa da fratelli minori. Non si dà la vita per uno scritto, ma per una persona. Questa persona, Cristo, ci parla attraverso il vangelo, che va non solo interpretato, ma vissuto nella Chiesa. Lo stile proprio di Francesco sarà quello della fraternità e della minorità. Eccoci al punto: al di là di tutte le indicazioni concrete offerte nella Regola, la “Regola delle regole” che Francesco consegna ai suoi frati è la seguente: in ogni momento della storia e in ogni luogo essi dovranno chiedersi: che cosa significa per noi qui e oggi obbedire a Cristo che parla nel vangelo, vissuto nella Chiesa da fratelli minori? Le risposte potranno essere concretamente diverse nei vari tempi e nei vari luoghi, ma lo Spirito Santo garantirà loro la fedeltà sostanziale al vangelo e allo stile di Francesco d’Assisi.

È proprio questo il significato della frase di Francesco morente: «Io ho fatto la mia parte, la vostra Cristo ve la insegni» (Bonaventura, Leggenda maggiore XIV,3: FF 1239). A me il Signore ha insegnato questo modo concreto per obbedirgli; voi fatevi prendere per mano dal suo Spirito che saprà indicarvi a quali lebbrosi fare misericordia, quali chiese riparare e come farlo, in mezzo a quali “infedeli” vivere da fratelli minori e quando e come annunciare loro la parola di Dio.

In tutto questo è naturale procedere per tentativi, è scontato che l’ordine sia sempre un po’ provvisorio, è auspicabile la disponibilità costante a lasciarsi guidare dall’alto, è certa la libertà e l’imprevedibilità di quel signore della vita che è lo Spirito Santo, ministro generale dell’Ordine.

Fedeltà nella creatività continua, unità nella diversità, armonia di voci diverse, libertà nell’obbedienza vicendevole, ricerca quotidiana di «ciò che piace al Signore»: sono gli aspetti positivi di un Ordine perennemente in disordine, ma certo senza monotonia. Perché dove c’è lo Spirito qui c’è la libertà e la vita.