Lo stile retrò è una tendenza che, nell’assenza di stilemi dominanti dell’arte postmoderna, guarda al passato, cercando di ripescare in esso valori estetici, che siano significativi anche per la nostra società liquida. Ci adeguiamo alla metodologia, recuperando dagli anni ’60 e ’70 l’ironia corrosiva del regista statunitense Billy Wilder, che certo ha molto da insegnarci riguardo al modo di condurre battaglie sociali, analizzando due suoi film: “Irma la dolce” e “Prima pagina”.

Alessandro Casadio

 

Image 254Irma la dolce

un film di Billy Wilder (1963)
distribuito da Metro Goldwin Mayer

Commedia americana per eccellenza, con una ricchissima galleria di personaggi comprimari finemente caratterizzati. Tale variegata umanità si muove nella periferia di una Parigi ricostruita in studio che, se da un lato deve rinunciare ad un realismo (o pseudo-realismo) talora ossessivo di tanto cinema, d’altro canto riesce ad astrarre i suoi personaggi dalla miseria dei sobborghi per trasformarli in maschere, romantiche rappresentazioni di ruoli e sentimenti, con cui il regista gioca mescolando e invertendone i ruoli. Un ingenuo poliziotto, una prostituta sentimentale, un barista filosofo, una cagnetta alcolizzata vengono accuratamente ritagliati dalla scrittura cinematografica e proiettati in una complessa serie di avvenimenti, che attorcigliandosi su se stessi porteranno i protagonisti ad alterne fortune e guai. La storia ci racconta della facilità di giudizio e condanna da parte dei benpensanti nei confronti di persone che, per sopravvivere, non si fanno troppi scrupoli morali, insinuando come la faccia pulita che essi presentano al mondo non sia che l’apparenza che cela vizi e povertà d’animo. Tutto però è presentato con un espediente narrativo quasi pirandelliano: uno sdoppiamento del personaggio protagonista, che si trova ad essere geloso di se stesso, mentre cerca di tirare fuori la prostituta di cui si è innamorato dal suo modo di vivere. Il gioco dello sdoppiamento risulta talmente perfetto che, nella sequenza finale, Wilder si concede il lusso di apportare un ulteriore colpo di scena al suo stesso schema narrativo, facendo comparire contemporaneamente il protagonista nelle sue duplici vesti. Vuole essere un’allusione al grosso limite di conoscenza della realtà, che ci poniamo in qualsiasi facile generalizzazione o pregiudizio, un’occhiata divertita e complice verso chi esce dai solchi segnati del moralismo sociale, indirizzata in particolare a quella società americana che si stava concretizzando sotto i suoi occhi, per tentare in autonomia di compiere scelte di vita alternative e originali.