Ricordando padre Antonio Stacchini

Generoso e infaticabile, venticinque anni parroco a Comacchio, poi “pescatore” a Cesena

 
Image 160San Giovanni in Galilea - Borghi (FC), 31 maggio 1923
Cesena, 20 dicembre 2012

Era atteso al capitolo locale, presieduto dal Ministro provinciale in visita pastorale, ma fra Antonio aveva ricevuto una visita ben più importante, la visita del Signore che lo aveva chiamato. Ed egli si era incamminato verso «un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più» (Ap 21,1).


Il temperamento degli antichi Galli

Fra Antonio era nato il 31 maggio 1923 a San Giovanni in Galilea, nel cuore della Romagna, un centro di aggregazione di popolazioni di varia origine, tra cui gli antichi Galli (di qui il nome di quella borgata), in seguito incorporato nel comune di Borghi. Antonio fu ammesso al noviziato di Cesena il 14 agosto 1940, per fare poi la sua prima professione l’anno seguente, e, tre anni dopo, quella perpetua. Le traversie belliche lo portarono come studente di filosofia prima a Lugo, poi a Ravenna e a Cesena, in quanto la linea Gotica aveva diviso la Provincia in due parti e gli studentati erano costretti a un continuo trasferimento. Anche per lo studio della teologia, Antonio dovette migrare da un convento all’altro: Rimini, Lugo e Bologna. Nella cattedrale di questa ultima città fu ordinato presbitero il 13 marzo 1948.

 
Il primo ministero: a Roma e a Pennabilli

Al termine degli studi, i superiori lo assegnarono al convento-parrocchia della Parrocchietta a Roma, molto estesa, al punto che la popolazione più lontana si trovava come estraniata dalla vita sacramentale. Erano così sorte delle chiese succursali, tra cui quella del “Trullo”, dove fra Antonio vi fu assegnato come assistente.

Nel 1951 fece ritorno in Provincia, a Lugo. In considerazione però della sua innata capacità comunicativa, l’anno seguente fu trasferito a Ferrara come cappellano del lavoro (Onarmo), un ministero sociale che portò avanti con passione per due anni. Nel 1954 nuovo trasferimento, a Castel San Pietro Terme, e, nel 1957, fu nominato membro del Centro Missionario delle Pontificie Opere Apostoliche (Poa) nella diocesi di Pennabilli, oggi San Marino-Montefeltro.


Image 162Il secondo ministero: giovani frati e malati

A Pennabilli rimase quattro anni, fino al 1961, quando fu trasferito a Castel Bolognese come superiore e direttore del nuovo «seminario serafico per fratelli laici». Qui i futuri fratelli avrebbero dovuto non solo apprendere un lavoro, ma, guidati da fra Antonio, avrebbero potuto acquisire una formazione francescana più solida.

Settimanalmente si recava presso lo studentato filosofico di Lugo, come confessore degli studenti, riuscendo a stabilire un dialogo sincero con i giovani in formazione. Approfondiva la conoscenza del loro carattere soprattutto sulla base dell’opera dell’insigne clinico Nicola Pende (1880-1970), che influenzava fortemente fra Antonio con le sue teorie sulla biotipologia umana, che insisteva sulla singolarità e irripetibilità della persona umana, un concetto che forse a quei tempi veniva lasciato un po’ nell’ombra dell’ovvietà.

Dopo due anni iniziò per lui un continuo pellegrinaggio da un convento all’altro e sempre per un tempo limitato, finché nel 1965 fu trasferito all’Arcispedale Sant’Anna di Ferrara, dove si fermò quattro anni.


Image 166A Comacchio, parroco per 25 anni

Nel novembre del 1969 fu inviato dai superiori come parroco nel santuario di Santa Maria in Aula Regia a Comacchio. Qui fra Antonio dimostrò tutta la sua capacità di ascolto della gente e avvertì nel più profondo di se stesso l’urgenza dell’annuncio della Parola, dando vita a tante attività, soprattutto di ordine catechetico.

Due cose, in particolare, non possono essere sottaciute di lui: la devozione a Maria, a cui il santuario era dedicato, e la dedizione nel promuoverla. Lo si vedeva tutti i giorni, nelle ombre serali, camminare lungo il porticale ritmato da 142 arcate che dall’abitato cittadino portava al santuario, recitando il rosario, quale silenzioso invito per chi lo incrociava a pregare pure lui.

Quando venne il momento del suo addio (maggio 1994), al momento della partenza così volle ricordare il suo primo arrivo: «“Vai a Comacchio come parroco”, mi disse il mio padre provinciale. “A Comacchio troverai tre cose belle, - mi dissero i miei confratelli - bei bambini, belle voci e una bella Madonna!”. Venni a Comacchio, salii sul carro dell’obbedienza e partii per la grande avventura, che è il servizio di un parroco alla sua gente. E ben presto mi accorsi che le cose belle, a Comacchio, erano quattro, invece di tre, come mi avevano detto i frati: Bei bambini! Belle voci! La nostra bella Madonna! E il vostro bel cuore! Ho bisogno in questo momento di dirvi grazie per avermi concesso d’avere un amore di predilezione per i vostri bambini: di accarezzarli, di invitarli a tirarmi la barba, di baciarli e di benedirli nel nome del Signore e della nostra Madonna».

A Comacchio lasciò ai parrocchiani anche il suo testamento: «Desidero che la mia salma sia sepolta nel vostro camposanto, tra le tombe dei vostri cari, per attendere assieme ai miei figli spirituali il giorno della nostra sicura risurrezione in Cristo».


A Cesena, “pescatore” per 18 anni

Così fra Antonio salì ancora una volta sul carro dell’obbedienza, che lo portò a Cesena. Che cosa avrebbe fatto lassù, in quel convento solitario su un monte, detto Monte Oliveto per l’abbondanza degli ulivi? Nelle giornate più limpide scorgeva in lontananza il mare, e quell’immagine gli richiamava l’episodio del vangelo, quando Gesù chiamò dei pescatori di lago a farsi pescatori di uomini (cf. Mt 4,19). Lui si sentiva ancora in forze e avvertiva dentro di sé un inestinguibile desiderio di gettare ancora le reti per la pesca (cf. Lc 5,4). Ogni giorno, a piedi, discendeva dal monte dei cappuccini per andare a prestare il suo aiuto ai parroci, per poi ritornare in convento, affrontando a piedi la ripida salita. Nonostante il peso del tempo che gli gravava sulle spalle, sentiva il suo cuore ancora giovane e pieno di un fuoco che non si spegneva con l’avanzare dell’età.

Così, con il suo andare di parrocchia in parrocchia, vestito con un saio alquanto sbiadito, e con la barba sempre più bianca, fra Antonio era giunto quasi alla soglia dei novant’anni: una figura divenuta ormai parte del paesaggio, che tutti conoscevano e che, per quanti incontrava per strada, aveva sempre un sorriso. Fino al giorno in cui, nel primo mattino del 20 dicembre 2012, non ha sentito il suono del “coppo”, che chiamava i frati al capitolo locale.

Nazzareno Zanni