Fioretti cappuccini

Image 146Come frate Francesco vide un asino volare

Infinite sono le avventure dei nostri frati questuanti che meriterebbero di essere tramandate prima che il loro ricordo sfumi nell’oblio. Quando la questua era ancora una prassi usuale, nessuno annotava le esperienze a volte alquanto spassose di quei frati, per cui solo nella bisaccia della memoria dei frati più anziani ne è rimasta traccia. Come l’avventura capitata a frate Francesco, accaduta tanto tempo fa.

Frate Francesco era un uomo alto e imponente, un bel fratone a dire della gente, di quelli che, al solo vederli, suscitano simpatia, non come quei frati mingherlini per i quali basta uno sbuffo di vento per farli andare a gambe all’aria. Frate Francesco era addetto alla questua in campagna: grano, uova, formaggio, uva e anche legna, a seconda delle stagioni. Con la gente ci sapeva fare, perché mai si turbava di fronte agli imprevisti, e andava d’accordo con tutti, pure con chi considerava un sacrilegio mettere anche un solo piede in chiesa.

In autunno, quando ormai l’inverno era alle porte, frate Francesco usciva con il suo asino e il carro, e girava per la campagna a raccogliere qualche fascina delle potature già fatte o vecchie di un anno. Guidava il suo compagno d’avventura tenendolo per la cavezza e camminando a piedi, perché lui era ligio alle Regola, che vietava ai frati di cavalcare se non il «cavallo di san Francesco», cioè camminare con i propri piedi. Ogni tanto, quando era preso dalla stanchezza, si sedeva su una stanga del carro, ma, dato il peso che portava sotto il saio, veniva a squilibrare l’andatura dell’asino, il quale a volte ricambiava lo sgarbo con il piantarsi d’improvviso senza volerne più sapere di andare oltre. Per tale ragione frate Francesco si concedeva questa “trasgressione” alla Regola il più raramente possibile e solo quando le gambe non lo reggevano più.

Fu così che, un giorno di tanti anni fa, frate Francesco se ne stava tornando al convento con il carro carico di fascine al traino del suo asino. L’animale camminava lentamente come al solito e il frate, per passare il tempo, recitava le avemarie del rosario e gli pareva che l’asino pregasse assieme a lui. La sua preghiera si interruppe, quando sulla sua strada si trovò davanti un passaggio a livello che stava abbassando le sbarre. Frate Francesco si arrestò, e con lui il suo compagno di viaggio, in attesa che passasse il convoglio ferroviario e la strada fosse liberata. Pure lui doveva liberarsi di un bisognino, che lo stava infastidendo da alquanto tempo. Si guardò attorno, e non vedendo passanti sulla strada e neppure contadini nei campi, approfittò di quella sosta obbligata, per lui provvidenziale, per sgravarsi di un peso inutile. Lì vicino vi era un fosso senz’acqua e quale migliore occasione per compiere la necessaria operazione? Così, con cura, perché conosceva l’indole imprevedibile del suo asino, ne legò accuratamente le briglie a metà della sbarra del passaggio a livello. Poi scese nel fosso e… Nel frattempo si sentì il fischio del treno in arrivo. Frate Francesco si voltò di schiena per non esporsi a sguardi indiscreti e continuò nella sua operazione, mentre lo investiva il rumore assordante del convoglio in transito.

Image 150Qualche momento dopo, le sbarre cominciarono ad alzarsi. E con le sbarre anche l’asino si sentì tirare su per la cavezza. E sempre più su, fino a toccare terra solo con le zampe posteriori. Mulinava quelle anteriori per trovare un appoggio. Ma inutilmente. Frate Francesco, alleggerito delle sue necessità, quando si voltò e vide il carro paurosamente inclinato e il somaro a mezz’aria, gli sembrò che l’asino tentasse di spiccare il volo portandosi via tutto quel ben di Dio che aveva al traino. Ma questo fu solo un pensiero passeggero, perché di asini volanti ne aveva, sì, sentito parlare, ma a lui servivano asini che camminassero. Bisognava trovare una via d’uscita da quella situazione, anche perché vi era il pericolo che il carico di fascine scivolasse fuori dal carro. Con tutto il fiato che aveva in gola diede una voce al casellante: «Ehi! Ehi!». Purtroppo non aveva una voce adeguata alla corporatura e il casellante che aveva azionato le leve delle sbarre non poteva vederlo né sentirlo, perché era rientrato nel suo casello ferroviario, senza gettare uno sguardo a quello che poteva essere accaduto sulla strada.

Frate Francesco non conosceva cosa fosse lo scoraggiamento e, non vedendo nessuno accorrere in suo aiuto, si attaccò a una stanga del carro e con tutto il suo peso si lasciò pendere. Piano piano ebbe la meglio e riuscì a forzare il meccanismo, tanto che la sbarra cominciò ad abbassarsi. Finalmente l’asino toccò di nuovo terra anche con le zampe anteriori, quelle che erano sembrate trasformarsi in ali.

Frate Francesco si sentì finalmente sollevato, e, come se nulla fosse accaduto, slegò l’asino dalla sbarra della ferrovia e ne prese la cavezza per riprendere il viaggio. Ma l’animale, inquieto com’era, non ne voleva sapere di muovere neppure un passo. Che quell’avventura gli avesse messo voglia di volare e non di camminare? Ma poi, a forza di sentire le voci di incitamento dell’amico frate, si arrese e riprese a seguire la strada.

Quando frate Francesco giunse in convento, non fece cenno alcuno alla sua (dis)avventura, perché nessuno avrebbe creduto che lui avesse visto un asino volare. Raccontò quell’esperienza solo molti anni più tardi, quando già la barba gli era divenuta tutta bianca e si era persa ogni traccia del suo asino. Eppure lui non aveva mai dimenticato la scena del suo antico amico asino che agitava le zampe come fa un uccellino con le ali ai primi tentativi di librarsi libero nel cielo.