Ricordando padre Leopoldo Schenetti

Frate e sacerdote che seppe ridare speranza agli ammalati

Image 132Nato a Debbia di Baiso il 17 luglio 1939
Morto a Reggio Emilia l’11 novembre 2012

Il sogno interrotto

Leopoldo era nato il 17 luglio 1939 a Debbia di Baiso, un minuscolo borgo sugli Appennini reggiani: un’infanzia, la sua, fatta di piccole cose quotidiane, ma illuminata da un cielo pieno di luce e dalla genuinità della gente.

A quindici anni entrò nel seminario serafico di San Martino in Rio per la prima media, per passare poi a Scandiano per la seconda media, ma le difficoltà che incontrava nello studio, molto più severo delle scuole del suo paese, consigliarono i Superiori di indirizzarlo verso una vita più alla sua portata, ma tutt’altro che meno impegnativa, fratello. Nell’aprile 1957 fu ammesso al noviziato di Fidenza con il nome di Beniamino da Debbia. L’anno seguente pronunciò la sua prima professione e tre anni dopo la professione perpetua. Dopo qualche mese come cuoco nella fraternità di Fidenza, nel 1961 fu scelto dal Ministro provinciale, Nazzareno Caselli da Poiago, come suo «compagno», cioè addetto alla sua persona e all’ordine nella Curia. Tale è rimasto fino al 1968, quando, sentendo ancora forte in sé la vocazione sacerdotale, chiese e ottenne di riprendere gli studi ed essere avviato al sacerdozio. Aveva già 29 anni e rimettersi sui banchi di scuola come un adolescente non fu di certo facile. Studiava e nello stesso tempo era assistente dei ragazzi del seminario di Scandiano. In un anno bruciò le tappe: nel 1969 conseguì il diploma di terza media, per cui si portò nel convento di Parma per frequentare le magistrali della città. Al termine di quattro anni superò l’esame di maturità e si trasferì nello studentato interprovinciale di Bologna per iniziare il corso di teologia. Furono anni duri per lui, poco avvezzo ai concetti filosofici e teologici, e varie volte fu tentato dall’avvilimento e dall’abbandono. Ma riuscì a rimanere saldo, confortato dal Maestro dello studentato e dall’amicizia dei suoi confratelli studenti.

Image 138Il sogno che si avvera

Completati finalmente gli studi teologici, il 22 ottobre 1977, venne ordinato sacerdote. Fu per lui la realizzazione di un sogno da sempre nei suoi pensieri, che tuttavia, per l’abbondanza delle vocazioni nei tempi del dopoguerra, era stato costretto a riporre nel cassetto dei desideri incompiuti. Ora, finalmente nella pienezza della sua antica vocazione, aveva davanti a sé la strada aperta per l’apostolato ministeriale.

Il suo primo impegno di sacerdote fu di assistente nel seminario serafico di Scandiano, di cui divenne, nel 1979, anche economo. I conti li sapeva fare e il lavoro non gli dispiaceva, ma Leopoldo, forse rivivendo in quell’ambiente l’entusiasmo dei suoi ideali, si accorgeva di aspirare a un lavoro apostolico più coinvolgente. Così nel 1982, accogliendo il suo desiderio, fu destinato come cappellano all’Ospedale di S. Maria Nuova a Reggio Emilia. In quell’apostolato avrebbe impegnato tanti anni della sua vita: amava gli ammalati e li visitava sempre con un sorriso che profumava di fiori di montagna per recare loro una parola di speranza e ascoltarli con umiltà, attenzione e disponibilità. Non solo degli ammalati si occupava, ma faceva pure esperienza di pellegrinaggi ai santuari francescani e mariani, anche a quelli semisconosciuti, e sempre era accompagnato da un folto gruppo di pellegrini, di amici e di conoscenti.

Otto anni dopo, nel 1990, da buon pellegrino, intraprese il cammino verso un altro ospedale, l’Ospedale civile di Piacenza, come superiore e cappellano, e anche qui distribuì quello che le sue povere mani avevano: il pane della speranza. Era la sua ricchezza, quella che intendeva vivere ma anche donare a chi ne aveva fame. Tre anni dopo, nel 1993, riprese il cammino, e con le stesse mansioni giunse all’Ospedale di Parma. Qui si trattenne poco, perché nell’aprile del 1994 venne nominato responsabile dell’Infermeria provinciale di Reggio Emilia. Ora aveva un compito ancor più difficile: non più solo l’assistenza spirituale, ma anche la cura materiale dei suoi stessi confratelli, di cui condivideva la vita quotidiana e l’attesa dell’incontro con il Signore. Con il suo faccione tondo come la luna piena, divenuto ancor più rotondo quando si tagliò quel poco di barba che aveva al mento, ispirava fiducia e infondeva coraggio anche in chi il coraggio non sapeva come trovarlo.

L’antica strada

Il 2 agosto 1996, riprese l’antica strada per l’Ospedale civile di Piacenza. Non fu una scelta casuale quella dei Superiori, ma oculata: ormai si era in vista di un disimpegno dal ministero ospedaliero in quella città, e si voleva lasciare un buon ricordo dei Cappuccini come assistenti spirituali degli ammalati, dopo che per tanti anni vi avevano prestato prezioso servizio. Tuttavia Leopoldo, anche quando venne presa la decisione di interrompere la nostra presenza in ospedale (1997), rimase ancora per due anni a Piacenza, nel convento, come assistente degli ammalati del medesimo ospedale.

Nel 1999, si mise nuovamente in cammino, ritornando a Parma come cappellano dell’Ospedale, finché nell’agosto 2002 fu nominato guardiano del convento della città, quando ormai se ne era decisa la chiusura. Fu un momento doloroso per tutta la Provincia, che aveva visto i suoi frati sempre presenti a Parma fin dal 1565, pur peregrinando in posti diversi, ma che solo nel 1881 avevano preso dimora stabile in quel convento, divenuto in seguito anche sede della Curia provinciale. Lì i frati avevano dato esempio di solidarietà nelle circostanze più difficili della storia della città e nelle sue esigenze di assistenza spirituale ai malati e ai carcerati. Leopoldo gestì l’abbandono con particolare buonsenso, rasserenando gli animi di quanti erano profondamente addolorati di quella decisione e facendo del sorriso la sua arma migliore per lasciare un ricordo gioioso dei Cappuccini.

Concluso nel 2008 il suo delicato compito di «portinaio» che chiude la porta per non riaprirla più, fu inviato come superiore nel convento di Piacenza. Qui Leopoldo si dimostrò amante del decoro della chiesa e del convento, dimostrando di avere lo spirito contemplativo di Maria, ma anche quello operante di Marta. Accanto alla preghiera di carattere prevalentemente devozionale e alla testimonianza religiosa, si dimostrò come San Francesco amante del «bello» come manifestazione della bellezza di Dio: il convento divenne un giardino profumato di verde, custode di alberi frondosi, ornato della ricchezza di una povertà gioiosa. Si avvertiva che non era un luogo in abbandono o di passaggio, ma vivo e abitato, riflettendo il candore dell’animo di Leopoldo. Curava anche gruppi di preghiera, in particolar modo quello di Padre Pio, che conduceva a conoscere sempre meglio il dono prezioso del parlare con Dio e del dialogare con Maria e i Santi.

Nel 2011, quando già un male oscuro lo stava minando, fu destinato a Scandiano come custode della chiesa. La sua salute ormai era precaria, tanto che l’anno seguente fu costretto a essere ricoverato più volte in ospedale. A chi un giorno gli chiese come stesse vivendo la sua malattia rispose: «Una volta, in ospedale, feci anch’io la medesima domanda a una signora gravemente ammalata. Essa mi disse: “Se sta bene a Lui, sta bene anche a me”. Anch’io dico la medesima cosa: “Se sta bene a Lui, sta bene anche a me”».

Sottoposto a un delicato intervento chirurgico, il suo fisico non ha retto alle inevitabili complicanze e Leopoldo è corso incontro al Medico che guarisce ogni male.

Nazzareno Zanni