Verrebbe da dire che uno entra e uno esce. In realtà non è così, perché Davide Bruzzi era già entrato da alcuni anni nella nostra fraternità; adesso è diventato anche sacerdote e siamo riusciti, faticosamente, a tirar fuori qualcosa da questo frate neo-sacerdote più amante del fare che del dire. Chi è “uscito” è padre Leopoldo Schenetti, morto l’11 novembre scorso e che qui ricordiamo con riconoscenza e affetto.

Nazzareno Zanni

Incominciando a spezzare il pane

L’ordinazione a Fidenza di fr. Davide Bruzzi

Image 121Riuscire a far parlare di sé chi è restio a parlare, e scrivere su chi di sé preferisce tacere, non è cosa del tutto agevole. Ma ci proverò, perché, come tutti, anch’io posseggo due facoltà di cui nemmeno l’animale più intelligente può fregiarsi: l’immaginazione e la fantasia.

Sabato 1° dicembre, a Fidenza vi è stata una grande festa, di quelle che cambiano la vita di un uomo. In realtà più che cambiarla, si presentano come il punto di arrivo ma anche di partenza di una vita: l’ordinazione presbiterale di fr. Davide Bruzzi per l’imposizione delle mani del vescovo cittadino mons. Carlo Mazza. «Un momento importante che coinvolge l’intera Chiesa locale», aveva scritto la Gazzetta di Parma nell’annunciare qualche giorno prima l’evento. E, a cose avvenute, il resoconto dei giornali locali , come è d’obbligo scrivere e come deve essere per un’occasione ormai non proprio tanto frequente, era unanime nell’attestare che la chiesa era « gremita». La liturgia si è rivelata addirittura «una funzione solenne e calda insieme», così la riassume la Gazzetta di Parma qualche giorno dopo. «Una funzione solenne e nello stesso tempo piena di calore», gli ha fatto eco «Il Risveglio», settimanale della diocesi di Fidenza. Forse agli occhi dei cronisti, la «funzione» era stata particolarmente «calda» in contrapposizione al freddo di quella giornata, la prima dell’inverno. Ma questo non fa che rendere ancor più preziosa l’atmosfera che si era creata nella chiesa cappuccina di Fidenza, dedicata a San Francesco, un santo che amava rotolarsi nella neve per sentire ancor più forte il calore del suo Signore. E di calore in quella chiesa ce n’era in abbondanza, tanto da creare «un crescendo di commozione che ha fortemente coinvolto l’intera assemblea dei fedeli» (Gazzetta di Parma). Tutto questo, però, niente in confronto alle parole solenni del Vescovo ordinante riportate dal medesimo giornale: «Nessuno è ordinato sacerdote per se stesso, ma è un uomo che si dona in pura perdita». 

In più. Di più. Per più

Ma chi è frate Davide Bruzzi? «Un frate cappuccino originario di Modena», così si è limitato a definirlo un cronista. «La chiesa di S. Francesco (a Fidenza) abbraccia un nuovo frate», ha titolato un altro. Ma tutte queste annotazioni risultano tutt’altro che esaurienti o pertinenti: fra Davide è frate fin dal 2004, quando fece il suo ingresso nel noviziato di Santarcangelo di Romagna, e l’essere originario di Modena o di altra località ha ben poca incidenza sulla persona. Essere ordinati sacerdoti è un qualcosa in più, di più, e per più. «In più»: si è perfettamente frati anche se non si è ricevuto il sacramento del presbiterato. «Di più»: la dignità del sacerdozio, da non concepirsi come dignità in senso umano, fa sedere il nuovo presbitero alla stessa mensa dell’ultima cena accanto a Gesù, che gli dice. «Fa’ questo in memoria di me» (cfr Lc 22,19). «Per più»: il sacerdote non è per se stesso, ma «per molti» (cfr Mt 26,28).

Il Vescovo, nella sua omelia, ha voluto sottolineare il duro tirocinio che Davide ha dovuto affrontare «per verificare di essere in grado di sostenere l’urto della vita». D’altronde quante volte lo stesso Davide, durante il suo cammino di avvicinamento alla vita religiosa e al sacerdozio, si è chiesto: «Che vuoi da me, Signore?», per poi rispondergli: «Ti seguo, Signore».

Davide è figlio unico, come Francesco d’Assisi. Ma diversamente da San Francesco, che trovò nel padre Pietro di Bernardone un indomito oppositore alla strada che il figlio aveva intrapreso, i genitori di Davide sono stati molti più generosi. Hanno donato a Dio senza riserve quello che essi da Lui avevano ricevuto, nonostante la loro non più verde età e gli inconvenienti che gli anni si portano appresso. 

Image 124Dicci chi sei

A questo punto ci si potrebbe immaginare di porre a Davide alcune domande, e le risposte non saranno certamente scontate, in quanto riflettono il mistero di ciascuno, anche se il cammino di ognuno è sempre unico e diverso da quello degli altri.

Che cosa ti ha spinto a lasciare la sicurezza del tuo lavoro per affrontare il rischio di una strada ignota?

«Ho lavorato presso la Ferrari Auto a Maranello per due anni, per un anno presso la ditta Schiavi Padane di Modena, poi per un altro anno presso la Indus Ceramica di Maranello e infine per circa dieci anni presso la Tetra Pak di Modena. Poi nel 2003 ho cambiato strada. Mi è difficile spiegare l’iter di questa sterzata, ma penso che sia stata una buona decisione. Desideravo andare oltre quello che facevo».

Come al solito si tiene dentro tutto. Ma andiamo avanti. Quando sei entrato nel luogo di prima accoglienza di Fidenza, qual è stato l’impatto con i frati?

«L’accoglienza si è sempre dimostrata aperta e cordiale, anche se non mancavo di notare sul viso dei frati l’interrogativo: “Ce la farà?”. Penso che sia l’interrogativo che accompagna sempre un candidato fino alla sua definitiva consacrazione. E forse anche oltre».

E tu come ti sei sentito in mezzo a quelle strane figure di frati con barbe di tutte le forme (o anche senza), che conducevano un ritmo di vita molto diverso dalla tua? Ti è mai capitato di chiederti: «Ma dove sono capitato?».

«I frati un po’ li conoscevo, ma vivendoci assieme ho imparato a conoscerli meglio. In fondo sono buona gente. E poi sono così diversi tra loro!».

Nel tuo cammino di discernimento hai mai dubitato della tua vocazione?

«Il cammino è stato lungo e pieno di incertezze, perché consapevole dei limiti della mia persona e della debolezza della mia fede. Ho sperimentato quanto fosse sempre presente una fragilità interiore, ma ho sperimentato pure la forza che viene dalla misericordia di Dio».

E i tuoi genitori come l’anno presa?

«I miei genitori sono già avanti negli anni, e anch’io non sono più nel verde della mia età. I miei genitori, pur sapendo di affrontare il naturale e inevitabile cammino di discesa della loro vita terrena, hanno condiviso da subito la mia scelta. Anche perché convinti che un figlio religioso o sacerdote non sia mai perduto. Anzi, sarà sempre loro vicino, pur nella prospettiva di non essere circondati dall’affetto e dalle grida gioiose di nipotini. Quello che soprattutto mi ha colpito è che quando uno sente la chiamata del Signore, la medesima chiamata viene rivolta anche ai suoi genitori. I miei genitori hanno subito detto il loro “sì”, nonostante fossi figlio unico».

È risaputo che facevi parte di un corpo bandistico, che peraltro è stato presente con la sua divisa alla tua ordinazione sacerdotale. Hai proprio deciso di lasciare da parte ogni progetto musicale?

«Lo strumento che suonavo nella banda, il sassofono, difficilmente entra nelle chiese. Ma non dimenticherò che la musica crea amicizia, solidarietà e anche allegria. Vedrò come non disperdere il piccolo patrimonio appreso dalla mia esperienza bandistica».

E ora che cosa ti aspetti per la tua vita non solo religiosa, ma sacerdotale?

«Qui si pretende di sapere troppo. Per la vita religiosa, ormai ci sono nel mezzo già da tempo. Per il ministero sacerdotale dovrò guardarmi attorno e lasciare anche che altri mi guardino. Sarà la Provvidenza a tracciarmi il cammino».

Per questa volta è sufficiente quello che hai detto (o non detto). Ti aspetteremo al varco più avanti, quando, passata l’ubriacatura della festa dell’ordinazione e della prima Messa, ti troverai a spezzare il pane quotidiano alla mensa di tutti i giorni.