L’amore al tempo delle reti

I media offrono modelli devianti di sessualità e amore

di Giusy Baioni
giornalista

Image 095Ama e compra ciò che vuoi

L’amore. Banalmente, e con un po’ di tristezza, si può dire che mai merce fu più venduta e mai argomento fu più usato - e abusato - per invogliare a comprare qualunque altro genere di mercanzia. Del resto, se è l’amore a far girare il mondo, è sull’amore, sulla sua ricerca, sulla sua presenza o assenza che si punta per qualunque tipo di attività.

Siamo esseri assetati d’amore, perennemente in cerca di qualcosa o qualcuno da amare. Ed è su questa banale, innegabile verità (che in realtà dice in maniera semplice qual è la natura più profonda dell’essere umano), che si punta per scopi che spesso esulano dalla gratuità. L’amore e i suoi surrogati fanno vendere: che siano film o libri, che siano gli oggetti o le attività più disparate, se si scava, sotto sotto c’è sempre la nostra eterna, insoddisfatta domanda di amare ed esser amati.

Osserviamo le pubblicità: da quelle che più esplicitamente adoperano come richiamo corpi voluttuosi (anche per prodotti che ben poco hanno a che fare con l’argomento), a quelle che, particolarmente in periodo natalizio, bombardano i nostri figli per indurre mille falsi bisogni, passando per le nuove tecnologie o i prodotti per l’igiene. Dietro a tutto si cela un bisogno di dare/ricevere amore, magari mal posto, mal gestito, ma autentico: il desiderio di piacere, per conquistare qualcuno o per continuare a risultare gradevoli agli occhi del partner; la gioia di far felice il proprio figlio (e chi è genitore sa che non esiste amore più grande); una casa da rendere sempre accogliente per la propria famiglia; un computer o un cellulare di ultima generazione per tenersi in contatto con chi si ama, o per conoscere qualcuno con cui si spera di costruire qualcosa. O di colmare un vuoto.

Image 097La barbarie dei surrogati

Del resto, ce lo dicono tutti gli studiosi: la società occidentale è sempre più alienante, priva di rapporti interpersonali genuini. Ma non sono cambiate le necessità profonde del cuore umano. E così, ci si accontenta di surrogati. E spesso il passo è breve e si cade in vere e proprie patologie: dalla dipendenza dai social network a quella dal sesso fine a se stesso.

È facile puntare il dito contro chi, per far tacere l’urlo della solitudine, colleziona “lenzuola” o si estrania in mondi cibernetici a volte anche profondamente abbietti. Ma ci sono altri pericoli, più subdoli e in apparenza meno gravi, come chi, invece di cadere vittima di sessodipendenze reali o virtuali, si intasa la testa e il cuore di sottoprodotti commerciali che fanno leva sul sogno del grande amore: dalle soap opera ai romanzetti di quart’ordine, tutti palpiti e tradimenti, passando per le riviste scandalistiche che ci propinano gli ultimi gossip amorosi di questa o quella celebre nullità, trasformandoci tutti in guardoni che spiano dal buco della serratura.

Non si sottovalutino queste forme apparentemente innocue di adulterazione affettiva, che fanno leva sul cuore femminile e sul suo approccio all’amore: si finisce per idealizzare i sentimenti, assolutizzare le passioni, relativizzare il peso dei tradimenti, considerar lecito il lasciarsi andare senza ritegno a gelosie, invidie e grettezze: insomma, tutto il contrario di una vera, sana educazione sentimentale, fatta di concretezza, mediazione e piedi per terra. Se l’uomo è spesso vittima di un’esaltazione del sesso fine a se stesso, la donna (non immune per la verità dal primo rischio, specie con l’evoluzione del costume) è più spesso oppressa dall’esasperazione del romanticismo e delle passioni, che fan sembrare sempre inadeguato ciò che si vive e portano a desiderare “grandi sogni”, “grandi avventure” destinate a non realizzarsi e a lasciarle sempre insoddisfatte.

Non ne faccio un discorso moralistico, ma antropologico: non si tratta qui di condannare un peccato, ma di indicare vie deviate che portano all’insoddisfazione e all’infelicità. Lo dico con una grande comprensione: siamo, noi esseri umani, sempre alla ricerca di qualcosa o qualcuno che ci riempia le giornate e il cuore. E che si riassume in quella sete di infinito che ben ritraeva duemila anni fa Agostino: «Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te».

La fragilità dei nativi digitali

Giada Bartocetti, psicologa, lavora al consultorio parrocchiale di un comune dell’hinterland milanese. Con le sue colleghe, promuove ogni anno incontri di educazione all’affettività e alla sessualità per le terze medie: «Interveniamo nella fascia d’età in cui inizia lo sviluppo, ma non c’è ancora un’identità sessuale ben definita. In questa fase così delicata, oggi il vero problema è internet. Già in prima media molti ragazzini hanno smartphone con l’accesso illimitato al web: ciò vanifica i filtri che i genitori possono imporre sul computer di casa».

Quali siano i rischi della rete per i giovanissimi, la dott.ssa Bartocetti lo spiega senza tanti giri di parole: «I ragazzi hanno da sempre una sana e legittima curiosità, che oggi colmano su internet, dove però trovano un’idea deviante di sessualità. Ormai tutti i maschi vanno su Youporn, una fonte veramente deleteria. La libertà maggiore di cui spesso godono a casa e a scuola non si accompagna a un altrettanto precoce sviluppo cognitivo ed emotivo. E la curiosità legittima diventa distorsione anche tramite mezzi apparentemente innocui come Youtube: i ragazzi ci raccontano che mentre svolgono attività normali come scaricare canzoni o film (magari cartoni animati), compaiono all’improvviso video porno, anche violenti. Ma ciò che più colpisce è la loro reazione: per loro non c’è nulla di strano, non rimangono sconvolti, col rischio che certe scene estreme divengano la normalità e tutto diventi acritico. I ragazzi si creano un’immagine distorta della realtà: tra l’altro, spesso ciò si traduce per i maschi in sensi di inferiorità sulla propria fisicità e il proprio sviluppo, per le ragazze nel sentirsi brutte e inadeguate, con conseguenti disturbi alimentari».

C’è poi il capitolo dei social network. Spiega la dott.ssa Bartocetti: «Oggi ci si innamora, ci si prende e ci si lascia attraverso la chat o sulla bacheca di Facebook. Si perde l’emotività, il coraggio di dire le cose in faccia. Se glielo si domanda, i ragazzi ammettono che è più bello farlo dal vivo, ma confessano che su Facebook è più facile superare la timidezza e la paura del rifiuto».

Come intervenire? «Sarebbe anacronistico vietare i mezzi informatici, i nostri figli sono nativi digitali. Quello che possiamo e dobbiamo proporre è invece un uso consapevole delle tecnologie, spiegando loro che quel che vedono su questi canali web non è la normalità. Alla loro età l’uso di internet va assolutamente guidato. I genitori non possono controllare tutto, ma mettere regole e orari sì: dare lo smartphone, ma non con l’abbonamento illimitato a internet, dare il cellulare ma insegnandone un uso cosciente. I ragazzi spesso hanno il pc in camera e ci raccontano di star svegli fino a tardi ogni sera, senza un minimo di orari. Lo stesso vale per la tv, in tanti ne hanno una personale in camera e la guardano fino a tarda notte, quando le trasmissioni sono senza filtri e trasmettono immagini volgari. Ma il rischio maggiore resta internet e a questo bisogna prestare la massima attenzione».