Amor ricerca per balze e clivi

Superando ostacoli e reticenze, rincorriamo occasioni per amare

di Fabrizio Zaccarini
maestro dei postulanti cappuccini a Santa Margherita Ligure

Image 041Sale tutte le scale

L’amore sale tutte le scale. Questa frase, che vedete anche in foto, mi sorride ogni volta che vado a prendere il treno qui a Santa Margherita Ligure. Qualcuno ha riconosciuto nell’amore il moto ascensionale che offre la possibilità di autotrascendersi. Chiunque sia, saprà che a muovere quel moto, come «il sole e le altre stelle», c’è la stessa mano? Di fatto, leggere e respirare più profondo è un tutt’uno.

Tornerò su questa scritta e sulla sua immaginifica ubicazione, intanto confesso di aver desiderato di denunciare a pubblica riprovazione la redazione di MC che stavolta mi invita ad un’acrobazia prospettica mica da ridere: possiamo abbracciare in un solo sguardo l’eremo di Montecasale e la trasposizione poetica del Cantico dei cantici del nostro Agostino Venanzio Reali? Ma poi non posso denunciare nessuno: io ho accettato la sfida anche se c’è da diventare strabico… sia pure strabismo, sarà, spero, strabismo di Venere!

Incomincio dall’eremo di Montecasale. Dov’è? Sulle colline sopra a San Sepolcro, provincia di Arezzo. Cosa vi è capitato? Questo: nei pressi tre ladroni accumulavano crimini della peggior specie e, senza vergogna, non avendone, chiedevano da mangiare ai frati. Aiutarli non equivale a rendersi colpevoli dello stesso crimine? Il guardiano del convento la pensa proprio così, perciò quando bussano alla porta li rimprovera aspramente senza dar loro nulla. Francesco, di passaggio in quel luogo, fortemente lo riprese perché «il nostro maestro Gesù Cristo, il cui evangelo noi abbiamo promesso d’osservare […] non era venuto a chiamare li giusti ma li peccatori a penitenze, e però ispesse volte egli mangiava con loro. […] (Perciò n.d.a.) io ti comando per santa obbedienza, che immantanente tu sì prenda questa tasca del pane ch’io ho accattato e questo vasello del vino, e va’ loro dietro sollecitamente per monti e per valli tanto che tu li truovi, […] e poi t’inginocchia loro dinanzi e di’ loro umilmente tua colpa della crudeltà tua, e poi li priega da mia parte che non facciano più male, ma temano Iddio e non offendano il prossimo; e s’egli faranno questo, io prometto di provvederli nelli loro bisogni e di dare loro continuamente e da mangiare e da bere» (FF 1858).

Image 049L’angolo visuale giusto

È consolante che qualcuno, vinto dall’esempio di Gesù, voglia spingere il suo sguardo sull’altro al di là delle attuali e ingannevoli, o almeno parziali, apparenze. Ma noi oggi, in una situazione analoga, non troveremmo quanto meno doverosa una telefonata al braccio armato della legge, perché, catturati i tre malviventi, li tenga un bel po’ sottochiave a rinfrescarsi le idee? Francesco impone una caccia all’uomo di tutt’altro segno: «va’ loro dietro sollecitamente per monti e per valli tanto che tu li trovi e di’ loro umilmente tua colpa». L’espressione è così famigliare da farmi venir voglia di sfogliare la Bibbia. E cosa trovo? Trovo Gesù che, con nonchalance, invita a lasciare novantanove pecore nel deserto per andare in cerca di quella perduta «finché non la trovi» (cf. Lc 15,4). La ricerca del pastore evangelico e del guardiano di Montecasale possono esaurirsi solo nel rinnovato incontro con la pecora perduta o con il brigante maltrattato, perché entrambi sono (devono essere) oggetto di una passione che, avendo sorgente in Dio, è passione vera e lacerante.

Questa incoercibilità mi pare l’angolo visuale giusto. Guardàti da qui Francesco, i briganti di Montecasale e gli amanti del Cantico non sono più così lontani. «Cercai né lo rinvenni!// Mi sorprese la pattuglia di guardia:/ … - lo vedeste passare il mio amato? -// Ero appena trascorsa/ che mi si fece incontro: lo fermai/ e me lo tenni avvinto sino a quando/ non l’ebbi ricondotto alla mia casa,/ al talamo materno,/ ove reggendomi con la sinistra il capo/ con la destra mi cinse d’abbraccio». Così quegli amanti che, grazie a Venanzio, parlano poesia italiana. Anche qui un limite estremo, che, in questo caso, si pone di fronte all’abbraccio pubblico e minore perché questo, sul talamo materno, possa sciogliersi in un abbraccio intimo e maggiore. Significativamente nella trasposizione di Venanzio i due protagonisti del Cantico sono identificati semplicemente dal desiderio del/della partner: lei è “amata”, lui “amato”; la Cei nel 2008 fa la stessa scelta, mentre, nel 1974, pretestuosamente, li definiva “sposo” e “sposa”, tradendo un imbarazzo di timbro moraleggiante di fronte a un desiderio erotico cantato a prescindere da confini canonici.

«Il cristianesimo, secondo Friedrich Nietzsche, avrebbe dato da bere del veleno all’eros, che, pur non morendone, ne avrebbe tratto la spinta a degenerare in vizio». Ricorda Benedetto XVI nella Deus caritas est. Con buone motivazioni mostra poi che si tratta di una visione parziale e ideologicamente condizionata. Tuttavia, non si può fare a meno di osservare che Nietzsche ha qualche argomento dalla sua. Lo si può verificare entro i confini del mondo cappuccinesco. I nostri padri dicevano che, a star vicino alle donne, il frate fa lo stesso guadagno che fa la paglia a star vicino al fuoco: brucia. Educato secondo questo parametro, un vecchio frate di cui ho sentito raccontare, se dava la mano a una donna, lo faceva soltanto dopo aver avvolto la sua nel mantello. Troppo spesso sacerdoti e religiosi abbiamo vissuto il nostro celibato come una chiamata disumana a una “vita angelica” che può essere dell’uomo solo a prezzo di avvilenti e repressive censure che hanno pesato, e tuttora pesano, non solo sulle nostre spalle, ma anche su quelle di tutto il popolo di Dio.

Ecco, a me pare che il frate, poeta e biblista, che si china sull’ebraico del Cantico e fa violenza alle parole italiane per trasporre nel nostro mondo linguistico e poetico il dettato ebraico che i millenni ci hanno consegnato, sia, nella stessa carne e nello stesso sangue di quell’uomo, credente, consacrato, poeta, la risposta più potente che si potesse dare all’accusa di Nietzsche. Proprio come otto secoli fa un altro cantico, quello di Frate sole, fu la miglior risposta alle deviazioni dualiste dei catari. Troppo spesso abbiamo trattato eros con la durezza del guardiano di Montecasale. Abbiamo convinto gli amanti che, per trovarsi e parlarsi nel linguaggio dell’amore, non conviene proprio chiedere a noi alcunché. Abbiamo svolto il ruolo unilaterale delle guardie sospettose, qualcuno, sorridendo di noi, dice “represse!”, e perciò pronte a rinchiudere nel recinto delle regole il desiderio, a sezionare i corpi col bisturi etico dei “si può” e “no! non si può”, precipitose a ridurre il desiderio erotico alla sua funzione riproduttiva. L’amore, depauperato di quelle gratuità giocose e libere tenerezze che lo rendono sacramento umano del divino, era pronto per ogni riduttivismo di stampo pornografico o svenevolmente sentimentale che oggi ci affligge

Image 051Non si può fare a meno di correre

Forse abbiamo dato l’impressione di non sapere che, a venire come un ladro nell’oscurità della notte, non c’è soltanto l’amore mercenario o immorale. Anche «il giorno del Signore viene come un ladro» (2Pt 3,10), piomberà su di noi scendendo dall’alto, come un amante atteso di cui non si sa l’ora d’arrivo perché viaggia su un treno con accumulato ritardo. Venanzio supera ostacoli alti di moralismi persistenti e spiritualizzazioni di bassa lega per trasporre in poesia italiana il canto degli amanti biblici. Con leggerezza, ha fatto suo il loro desiderio e ci dice che sì, eros è un ladro, di fronte al quale nessuno, che non voglia vivere una vita amputata, può sottrarsi. Un ladro da accogliere come una benedizione visto che ci porta la notizia che il sogno, o l’incubo?, dell’autosufficienza è per noi del tutto impraticabile.

L’amata sussulta ad un primo accenno di passi: «un trepestio, ritorna/ l’innamorato mio, per balze/ capriolando e clivi». E l’amato si rivolge a lei: «levati/ dunque, o graziosa, e vientene,/ amor mio colomba,/ dalle crepe di roccia/ dalle forre dei gioghi il tuo viso/ controluce risfolgori e dentro/ mi si rinfranga dolce/ l’eco della tua voce». Amore ci urge da dentro per strapparci da ogni impigrito paludamento; impone salite e fatica verso rinnovate intese; suggerisce discese e vertigine di unilaterali condiscendenze. Se Dio ci trova non è perché a noi riescano eroiche ascese, piuttosto è Lui che scende e ridiscende sulla terra, nel sepolcro, fino agli inferi. Anche gli innamorati che vogliono dare orizzonte al loro incontro devono scendere dal proprio piedistallo l’uno verso l’altro.

Così ora “per monti e per valli” io posso correre dietro a una pecora perduta, ai briganti, o alla ragazza che mi ha rubato gli occhi e il cuore. Certo devo correre: ciò che non ci corrisponde, infatti, è non desiderare. Ecco, trovo davvero commovente che per la scritta della foto sia stato scelto quel luogo, all’entrata di quel tunnel oscuro, lì, entri e non sai dove andrai, eppure non puoi farne a meno, perché, già prima lo sai, l’amore sale (e scende) tutte le scale.