Ama Dio, amando il prossimo

La faticosa risposta umana all’amore di Dio

di Giuseppe De Carlo
della Redazione di MC

Image 029Un popolo duro a convertirsi

Nell’Antico Testamento è proprio il profeta Osea che annuncia con estrema chiarezza che l’amore di Dio è un amore totalmente gratuito, che non è condizionato dall’amore umano. Dio perdona il suo popolo prima che esso si converta, anzi è proprio il perdono di Dio che rende possibile la conversione. Dio riconosce che il suo popolo «è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo» (Os 11,7). E il profeta Geremia dice la stessa cosa con parole ancora più chiare: «Può un Etiope cambiare la pelle o un leopardo le sue macchie? Allo stesso modo: potrete fare il bene voi, abituati a fare il male?» (Ger 13,23).

I profeti dicono questo non perché hanno una concezione pessimistica dell’uomo, ma perché osservano la storia dell’alleanza e ne ricavano che dei due partner Dio è sempre fedele e l’uomo è infedele. È ancora il profeta Osea che narra la storia dell’alleanza attraverso l’immagine dell’amore sponsale. Il popolo è apostrofato come moglie infedele, adultera, prostituta. Altri profeti, Isaia, Geremia, Ezechiele, lo seguiranno nell’usare la metafora matrimoniale per dire la continua infedeltà del popolo all’alleanza.

L’alleanza biblica è innanzitutto una relazione di amore e gli impegni che i partner si assumono sono quelli di un amore reciproco. L’infedeltà da parte dell’uomo dice la difficoltà dell’uomo ad amare, a mantenere relazioni d’amore. Infatti, quando i profeti rimproverano il popolo di non attenersi agli impegni assunti non si riferiscono tanto a questa o a quella norma, ma dicono che in tal modo si dimentica Dio e tutti i suoi benefici. Il peccato più grande è quello dell’ingratitudine nei confronti di Dio: «Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua» (Ger 2,13).

È paradossale vedere come il popolo cerchi in tutti i modi di sfuggire all’amore di Dio e si lasci facilmente attrarre dagli amanti (gli altri dèi), in particolare quando Dio chiede una crescita in fedeltà e costanza nell’amore. Infatti, poco dopo la stipulazione dell’alleanza al Sinai, basta che Mosè e il Signore si attardino un po’ nel dialogo sul monte e subito il popolo chiede ad Aronne di fabbricare un dio alternativo, il vitello d’oro. E così accadrà nel corso di tutta la storia, sempre il popolo cercherà di sfuggire al Signore che gli indica la via dell’amore e di crearsi alternative.

Image 031La specificità dell’amore

Stando alla predicazione profetica, appare che per il popolo la difficoltà maggiore sta nel fatto che l’amore che Dio chiede passa necessariamente per l’amore verso i propri simili. Gli altri dèi possono anche essere accontentati con un po’ di incenso, con sacrifici, liturgie e preghiere; ad essi poco importa come poi si comportano i loro devoti nei rapporti sociali. Il Dio dell’alleanza invece è un Dio geloso, perché chiede che ci si dedichi a lui in maniera esclusiva, e questo implica necessariamente dedicarsi in maniera esclusiva ai propri simili: «Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio» (Mic 6,8). Ancora più provocatoriamente Amos dice che la giustizia e la rettitudine sociali sono più gradite a Dio che non il culto religioso: «Io detesto, respingo le vostre feste solenni e non gradisco le vostre riunioni sacre; anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco le vostre offerte, e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo. Lontano da me il frastuono dei vostri canti: il suono delle vostre arpe non posso sentirlo! Piuttosto come le acque scorra il diritto e la giustizia come un torrente perenne» (Am 5,21-24).

Gesù ha confermato in modo ancora più esplicito che «Dio è amore» e che è l’amore l’unica motivazione che è alla base della creazione e di ogni intervento salvifico di Dio. Egli stesso è il segno vivente di questo amore benevolente: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,16-17).

Gesù ha reso visibile e operante l’amore di Dio per l’uomo facendosi vicino e rendendosi amico degli uomini: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15). Ha espresso nella maniera più sublime il suo amore gratuito con la morte in croce per la salvezza dell’umanità e l’ha fatto «mentre eravamo ancora peccatori» (Rm 5,8).

L’alleanza nuova

Ancora nel segno dell’alleanza, ma “nuova” perché instaurata nel suo sangue sparso per noi sulla croce, Gesù ha dato agli uomini la legge dell’amore: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). E nella linea dei profeti veterotestamentari, Gesù ha indicato nell’amore per gli altri la misura dell’amore per sé: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). E ha detto che tutta la volontà di Dio si riassume nei due comandamenti che sono «simili»: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente (…) Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Mt 22,37-39). E perché l’uomo non si creasse alibi circa l’identificazione del proprio prossimo, Gesù ha raccontato la parabola del “buon Samaritano” (cf. Lc 10,30-37).

Gli apostoli hanno ben compreso questa lezione di Gesù e l’hanno espressa nel loro annuncio evangelico: «Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4,20). E Giacomo ancora più concretamente spiega: «Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: “Tu siediti qui, comodamente”, e al povero dite: “Tu mettiti là, in piedi”, oppure: “Siediti qui ai piedi del mio sgabello”, non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi? (…) Se adempite quella che, secondo la Scrittura, è la legge regale: Amerai il prossimo tuo come te stesso, fate bene» (Gc 2,2-4.8).